Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
un mondo asettico

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“Infezione dopo intervento di cataratta. In due rischiano di perdere la vista. Al San Giovanni di Roma si ipotizza un problema con strumenti di sala operatoria non sterilizzati.”

L'accaduto fa notizia perchè al giorno d'oggi è impensabile ritenere l'ambiente di sala operatoria diverso da un mondo completamente asettico, provvisto di rigide regole che garantiscono elevati standard di igiene . Ma se questo lo diamo per scontato non è sempre stato così.

Fino alla seconda metà del 1800 la mortalità chirurgica era altissima e la setticemia colpiva il 90% degli operati. Chirurghi e assistenti svolgevano i loro compiti senza prendere alcun precauzione: mani ancora sporche da interventi precedenti e camici con evidenti tracce di sangue.

Le cose iniziano a cambiare, anche se tra la completa opposizione se non indifferenza dell’allora mondo accademico, quando l’ungherese Ignaz Philipp Semmelweiss (1818-1865) intuisce che la causa della febbre puerperale, che nel suo ospedale causava la morte di tante donne, erano gli stessi medici e le loro scarse norme igieniche. Ordinò quindi l’accurato lavaggio delle mani con soluzione disinfettante a base di cloruro di calcio comportando una drastica riduzione dei decessi.
Osteggiato da tutti cadde in depressione e finì i suoi giorni in manicomio.


Ma fu Louis Pasteur (1822-1895) a gettare le basi teoriche di quella che sarebbe diventata la futura chirurgia asettica. Con i suoi studi dimostrò che la fermentazione dei liquidi era dovuta ai batteri presenti in essi, e che la bollitura era in grado di arrestare questo processo.

Tutto ciò fece intuire a Joseph Lister (1827–1912) che forse i frequenti casi di cancrena postoperatoria non erano dovuti come si credeva a gas venefici contenuti nell’aria.
Non potendo bollire gli arti dei pazienti, pensò dapprima di detergere le ferite con acido fenico, poi attraverso l’uso di un nebulizzatore da lui costruito iniziò a praticare una disinfezione degli ambienti e dei ferri chirurgici ottenendo ottimi risultati.
Come ebbe a dire lo scrittore George Bernard Shaw : “la fine del secolo sa di acido fenico”.



Come ufficiale medico al seguito delle armate prussiane e poi di quelle russe, Ernst von Bergmann (1836-1907) sviluppò notevoli capacità nelle pratiche chirurgiche; al suo rientro iniziò ad operare presso l’ospedale di Wurzburg in Baviera dove ideò e costruì una particolare autoclave adatta a sterilizzare strumentario e indumenti. Tale pratica, anche se evolutasi dal punto di vista tecnologico, viene tuttora adottata nei vari ospedali.


Finiamo con una storia d’amore, nata in sala operatoria tra il medico americano William Halsted (1852-1922) e la sua futura moglie, l’infermiera Caroline Hampton. L’utilizzo di sostanze antisettiche su mani e braccia aveva comportato nella Hampton l’insorgere di una fastidiosa dermatite; non potendo sopportare la sofferenza della sua amata compagna, Halsted si rivolse alla famosa ditta Goodyear per avere dei guanti in gomma con cui proteggersi.

Questo, banale pensiamo ora noi, accorgimento ebbe successo e l’utilizzo, dapprima limitato ai soli assistenti fu poi esteso anche ai chirurghi.