Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
la medicina al tempo dei faraoni

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L'antico Egitto è tra le prime civiltà conosciute della quale resta traccia scritta di pratiche e procedure mediche. In questa terra, che possiamo definire culla delle arti e delle scienze, si studiava anatomia e fisiologia, al pari di igiene,botanica e chimica; il nome di quest’ultima probabilmente deriva da “chemi” (terra nera), antico nome con il quale era conosciuto il territorio egiziano. Territorio attraversato e bagnato dal grande fiume Nilo, per secoli via di comunicazione fluviale.

La medicina degli antichi Egizi era comunque una medicina empirica e si basava sull’esperienza più che sul rigore scientifico. Certo si rimane sorpresi nel leggere dell’uso del miele per medicare ferite, ma studi successivi hanno dimostrato la sua efficacia; della pratica di usare escrementi di animali per medicare le bruciature, ma è risultato successivamente noto il loro contenuto “antibiotico”. Alcune scoperte che ai giorni nostri hanno anche avuto importanti riconoscimenti scientifici, possiamo farle risalire a questo periodo; la “scorza di salice” che in Egitto serviva a curare i reumatismi non è altro che la nostra moderna aspirina, il cui principio attivo è noto come “acido acetilsalicilico” prendendo quindi il nome dall’arbusto; l’impiego di muffe per curare ferite infette anticipa di molto la scoperta della penicillina da parte di Fleming.

Notevole esperienza fu fatta in campo chirurgico e in special modo nella sutura delle ferite; usuali attrezzi erano coltelli, forbici, trapani e pinze. Karl Sudhoff (1853-1938), storico della medicina e fondatore dell’Istituto di Storia della Medicina presso l’Università di Lipsia, riporta nei suoi studi la descrizione dei primi strumenti chirurgici in uso presso gli antichi egizi.
Qui vediamo riprodotti alcuni strumenti facenti parte della collezione dello stesso Sudhoff.

Nonostante tutto quello che abbiamo sinora detto, anche gli egiziani come tutti i popoli antichi, facevano discendere ogni male dall’intervento divino e attribuivano all’arte della cura una origine sovrannaturale affiancando alla pratica medica un certo numero di divinità. Tra le più citate troviamo Ra, il dio del sole; Isis, la madre terra e suo figlio Horus, di cui viene spesso riprodotto l’occhio, Set, che rappresenta il male, portatore di pestilenze.

Poi c’erano figure che facevano da tramite tra “il cielo e la terra”; figure metà dio e metà uomo come Thoth, “il saggio”, vissuto nel 5000 a.C. che per primo estrae oppio dalla pianta del papavero sonnifero. A lui viene attribuita la pratica del clistere che si fonda sull’osservazione dell’uccello ibis, ricordiamo che egli viene spesso rappresentato con corpo umano e testa di ibis, che opera in tal senso iniettandosi acqua marina con il suo lungo becco.
Viene considerato l'inventore della scrittura geroglifica, e qui lo vediamo rappresentato con in mano una tavoletta d’argilla e uno stilo. Esercitava funzioni di giudizio verso i defunti pesando il loro cuore al fine di stabilire la loro possibilità di ingresso nel mondo dell'aldilà.

Imhotep, qui riprodotto, il cui nome significa “colui che viene in pace”; spesso confuso con lo stesso Thot, fu sacerdote a corte oltre che medico; di lui si ricordano anche alcune opere architettoniche e alcuni trattati di astrologia; gli si attribuisce la costruzione della piramide a gradoni di Djoser presso Saqqara. Nei papiri si riconducono a lui diverse terminologie anatomiche e la descrizione di molte malattie. C'è traccia di una scuola di medicina da lui fondata a Memphis,ben 2200 anni prima della nascita di Ippocrate. La visita del malato, la relativa diagnosi e la successiva prescrizione erano spesso precedute da preghiere ed invocazioni; la preparazione dei “farmaci” veniva accompagnata da formula magiche che a volte venivano fatte recitare dagli stessi pazienti.

Le fonti principali della nostre conoscenze si basano sui trattati giunti sino a noi su fogli di papiro. Tra i più noti e studiati ricordiamo quello che va sotto il nome di “papiro di Ebers” dal nome del suo scopritore, George Ebers (1837-1898) che lo acquistò a Tebe nel 1874; attualmente è conservato pressa la biblioteca dell'Università di Lipsia.