Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
Il fotografo dilettante che vinse il Nobel

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Come spesso succede in campo scientifico una delle più grandi scoperte, che ha in seguito rivoluzionato ogni metodica di analisi e diagnosi delle malattie, avvenne per puro caso.
E’ una bella giornata di primavera del 1895 nella bassa Baviera a Wurzburg sul fiume Meno, sede Universitaria fondata nel 1402, e meta turistica tra le più rinomate in quanto punto di partenza della Romantische Strasse.

Da una delle finestre dell’edificio che ospita la Facoltà di Fisica scorgiamo un cinquantenne professore dalla folta barba che armeggia con un tubo di vetro facendolo attraversare da corrente elettrica. Questo strumento, noto come tubo di Geissler dal nome del suo inventore, misurava la conduzione di un determinato gas e se percorso da corrente elettrica emetteva una luce rossastra dalla parte del polo positivo e una violacea dal negativo.


Volendo capire quali eventuali utilizzi potesse avere lo strumento nei suoi studi, il nostro professore vi armeggiava e da buon studioso prendeva appunti nel suo quaderno posto lì accanto.

Il caso volle che quel giorno il quaderno si trovava poggiato sullo chassis della sua macchina fotografica con all’interno una lastra vergine.
Ma come abbiamo detto era primavera e dalla finestra aperta il nostro amico fu attratto dai colori che il giardino sottostante mostrava causa lo schiudersi dei primi fiori e presa la sua macchina fotografica volle concedersi qualche minuto di relax andando ad effettuare qualche foto.

Di foto ne fece parecchie utilizzando anche lo chassis contenente la lastra posta prima sulla sua scrivania e rientrò contento di aver immortalato tanti bei fiori dalle tinte sgargianti.
Ovviamente non siamo ancora nell’epoca del digitale e dovette attendere il giorno seguente per visionarle; ma grande fu il suo stupore quando in una delle foto, al posto di un fiore apparve la chiave del suo cassetto che lui era solito utilizzare come segnalibro all’interno del quaderno.

Il professore, di cui possiamo ora svelare le generalità nella persona di Wilhelm Conrad Rontgen (1845-1923), mise subito in relazione il fenomeno verificatosi con il tubo di Geissler e con i raggi che si sviluppavano al suo interno; raggi che superando le pagine del quaderno si erano fermati contro la chiave in ferro e ne avevano lasciata impressa l’immagine sulla lastra.
A questi raggi bisognava pur dargli un nome e quindi perché, pensò Rontgen, non chiamarli raggi X, data la loro ignota provenienza.

In realtà il perfezionamento della scoperta avvenne qualche mese dopo ma fu sicuramente quello il giorno in cui la medicina ebbe a disposizione un nuovo strumento di indagine.

In seguito, visto che sono quasi sempre le povere mogli degli scienziati a far per prime da cavie, Bertha Rontgen, o meglio la sua mano, ebbe l’onore di essere immortalata in quella che possiamo considerare la prima radiografia della storia.

Per la sua scoperta a Rontgen fu assegnata dapprima la laurea ad honorem in Medicina ed in seguito nel 1901 il Nobel "in riconoscimento dello straordinario servizio reso per la scoperta delle importanti radiazioni che in seguito presero il suo nome".

Dimostrando un profondo amore verso la scienza e il suo prossimo, conscio di quanti vantaggi la sua scoperta avrebbe apportato in campo medico, non volle mai brevettarla.

Quando quindi ci rechiamo presso uno studio radiografico pensiamo al fatto che gli attuali macchinari radiografici ed ecografici, le T.A.C. e risonanze magnetiche, ormai indispensabili per qualsiasi seria diagnosi, non sarebbero a disposizione se in una bella mattina di primavera un fotografo dilettante non fosse stato attratto dai profumi del suo giardino.