Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
MoliÈre o il malato immaginario

Il malato piÙ che il male deve temere le cure!

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Con queste premesse capite bene come il noto commediografo, il cui vero nome era Jean-Baptiste Poquelin nato a Parigi nel gennaio 1622, non avesse una gran simpatia verso la classe medica.

Malato di tisi aveva constatato su sé stesso la vanità delle cure e di chi le metteva in pratica: dal dicembre 1665 al febbraio dell’anno successivo ritroviamo annotata la chiusura del suo teatro a causa delle cattive condizioni di salute che lo vedevano a letto alle prese con salassi e pozioni. Anche negli anni successivi, a causa del riaccendersi del male, molte furono le interruzioni dei suoi spettacoli tanto che i giornali intitolarono: “Si è sparsa la voce che Moliere sia alla fine”. E purtroppo il Maestro non dovette aspettare molto e morì di lì a poco superata la cinquantina: una emottisi lo sorprese sulla scena mentre – ironia della sorte – recitava nel suo “Malato immaginario”.

A tutto ciò si somma anche la morte di due suoi figlioletti in tenerissima età e quindi è comprensibile come la sua visione della medicina non fosse particolarmente ottimistica.

Non fu certo difficile mettere in ridicolo i medici del suo tempo che parlando in latino e vestendo gli abiti delle loro corporazioni, certamente creavano sproporzione tra un atteggiamento solenne e una sostanziale incapacità nelle cure.

Sentendosi però in dovere di intervenire lo facevano maldestramente tanto che un tubercolotico veniva sottoposto ad incessanti digiuni e salassi, esattamente il contrario di una successiva auspicata ipernutrizione.

La sua prima opera a tema fu “L’amore medico” dove tratteggiò diverse figure di medici del suo tempo, nascondendo i personaggi dietro pseudonimi ripresi dal greco il cui significato lasciava chiaramente intendere di chi si stesse parlando. Ecco, quindi, Macroton ossia “dal grande suono” che identificava chiaramente Guénot, medico personale della Regina, che infatti proferiva in tono solenne ed estrema lentezza o Bahys, cioè “colui che abbaia” e che rappresentava Esprit, il medico del fratello del Re, che era solito parlare rapidamente mangiandosi le parole.


 

L’anno seguente esce “Il medico suo malgrado” in cui Molière lascia dire ad un personaggio: “il salasso fa bene anche ai sani: è una cura in anticipo per la malattia che verrà!

 

 

Con “Il signore di Pourceaugnac” Molière va avanti senza freni e davanti all’ipocondriaco Pourceaugnac fa esternare ai suoi medici precise accuse contro i pazienti ritenuti dispettosi verso chi cerca di curarli. “Io i rimedi li prescrivo, lui perché non guarisce?

 

 


Nell’ultima opera, la più famosa, “Il malato immaginario”, Molière ribalta la sua satira mettendo in berlina questa volta il paziente: inscena una burlesca parodia di una cerimonia di laurea in cui prendono parte otto portatori di clistere, sei farmacisti, ventidue medici, il laureando, otto chirurghi ballerini e due cantanti.

 

Nonostante ciò, il rapporto di Molière con i medici del suo tempo non fu, come si potrebbe pensare, conflittuale; fu molto amico di Armand de Mauvillan, decano della Facoltà e suo medico personale. Di lui parlava in termini molto affettuosi: “Facciamo piacevoli conversazioni, lui mi prescrive medicine, quando sono malato, io non le prendo e guarisco”.

La sua satira fu quindi sempre accettata con intelligenza e fu vista più come una visione pessimistica del suo universo poetico che una ostilità verso la classe medica. Lo attesta diverso tempo dopo lo scienziato Maurice Raynaud in un suo testo dal titolo “I medici al tempo di Molière. Costumi, istituzioni, dottrine” descrivendo in maniera perfetta il cerimoniale durante una seduta di laurea di medicina nel secolo XVII.


Sergio De Benedictis
http://www.esculapiofilatelico.it/
11-12-2020