Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
Hideyo (Seisaku) Noguchi

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In questo periodo in cui virus e batteri occupano le prima pagine di quotidiani e riviste diventando più noti di calciatori e star del cinema, ci fa piacere ricordare la figura di un discusso e un po' paranoico batteriologo giapponese, con all’attivo anche una discreta produzione filatelica.

Stiamo parlando di Hideyo Noguchi, nato nel novembre 1876 nel villaggio di Inawashiro presso Fukushima, il cui nome è legato alla scoperta dell’agente patogeno della sifilide e della progressiva paralisi che la malattia comporta.

Da piccolo, cadendo su un braciere, perse a causa delle ustioni l’uso della mano sinistra ma poi grazie alla generosità del suo maestro di elementari Kobayashi e di altri docenti, potè sottoporsi ad un intervento chirurgico e riacquistare il 70% della funzionalità.

Fu questo episodio che lo avvicinò agli studi medici che intraprese con lo stesso chirurgo che lo aveva operato, Kanae Watanabe presso la Facoltà di Saisei Gakusha dove si laureò all’età di 20 anni.

Nel 1900 decise di trasferirsi negli Stati Uniti, dove esercitò come ricercatore prima presso l’Università della Pennsylvania con il Dott. Simon Flexner e il futuro premio Nobel 1912 Alexis Carrel e poi presso il Rockfeller Institute of Medical Research.

Pur essendo un valido chirurgo si dedicò alla ricerca in laboratorio in quanto ritenne che la menomazione all’arto avrebbe scoraggiato eventuali pazienti. A quel tempo le sue ricerche erano incentrate nel campo dei veleni dei serpenti.

Nel 1913 focalizzò invece i suoi studi sulla sifilide evidenziando la presenza delle spirochete, dei batteri a forma di spirali, nel cervello di pazienti che presentavano una progressiva paralisi. Fu più volte candidato al Nobel, un traguardo che non raggiunse, in quanto i suoi studi furono osteggiati e considerati da alcuni poco accurati.


Un’ombra rimase sulla carriera: seppur prosciolto dall’accusa, resta l’evidenza di un utilizzo, che va oltre un’etica professionale medica, di cavie umane, pazienti ricoverati in ospedale e bambini orfani, nei quali inoculò il batterio della sifilide per studiarne gli effetti.

A sua discolpa affermò di aver prima sperimentato la tecnica su sé stesso e su alcuni colleghi e ciò a prova che non c’era alcun pericolo nella prassi.

Dal 1918 iniziò a intraprendere una serie di viaggi in Centro e Sud America alla ricerca e sviluppo di un vaccino contro la febbre gialla e la febbre di Oroya, la poliomielite e il tracoma.

Convinto che la febbre gialla fosse anch’essa causata da uno spirocheta, un batterio quindi non un virus, portò avanti i suoi studi che furono però alla fine confutati avendo confuso i sintomi con quelli della leptospirosi; il suo vaccino servì a curare quest’ultima malattia piuttosto che la prima.

Da qui in poi la sua carriera fu alquanto instabile; volendo allontanarsi da quell’ambiente medico che lo screditava si trasferì prima a Lagos, in Nigeria, e poi ad Accra, in Ghana, ma anche lì, a causa dei suoi comportamenti che lo portavano a lavorare di notte per evitare di incontrare i suoi colleghi, fu allontanato perché ritenuto paranoico.

Non registrava i suoi esperimenti e pensava di essere immune dalla febbre gialla essendosi inoculato il vaccino; il suo comportamento a posteriori fu attribuito ad una forma non curata di neurosifilide con alterazioni dello stato di coscienza.

Nel maggio del 1928, dopo evidenti insuccessi, aveva deciso di rientrare negli Stati Uniti, ma colto da malore fu ricoverato in Accra dove morì il 21 maggio dello stesso anno.


Sergio De Benedictis
http://www.esculapiofilatelico.it/
17-01-2021