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Santa Pazienza




Nato a Stridone, più o meno al confine tra Pannonia e Dalmazia (oggi tra Slovenia e Croazia) nel 347, Sofronio Eusebio Girolamo apparteneva ad una famiglia cristiana che doveva godere di una discreto censo, anche se poche sono le notizie precise che se ne hanno. Di certo però il giovane condusse approfonditi studi sia nella sua Illiria natale che a Roma, dove si dedicò in particolare alla retorica.

Solo a 25 anni, dopo un soggiorno a Treviri durante il quale si era avvicinato alle teorie anacoretiche di Atanasio, decise di farsi battezzare, e subito dopo si trasferì ad Aquileia dove entrò a far parte di una comunità ascetica da lui stesso definita “coro dei beati”. Una beatitudine di breve durata, visto che dopo pochi anni, deluso dalle polemiche e dalle gelosie che minavano la serenità del gruppo, decise di ritirarsi nel deserto della Calcide, dove visse da anacoreta per diversi anni.

Risale a questo periodo la leggenda del leone, che ferito a un piede, sarebbe da Gerolamo stato curato per poi rimanere con lui, una volta guarito, per tutta la vita. Onnipresente nell’iconografia di Gerolamo, il leone non risulta però al suo fianco durante i soggiorni di studio ad Antiochia e a Costantinopoli, città dove, deluso ancora una volta dal comportamento dei suoi confratelli, si stabilì intorno al 378, allo scopo di approfondire la sua conoscenza del greco antico.

Ordinato sacerdote dal vescovo Paolino di Antiochia, Gerolamo fece ritorno a Roma nel 382, dove la sua profonda dottrina e il suo grande rigore morale gli guadagnarono la stima di papa Damaso I, che lo volle come suo segretario e successore in pectore. Ancora una volta però la sapienza e il rigore di Gerolamo finirono col metterlo in urto con i suoi correligionari: argomenti della disputa furono stavolta il celibato del clero (che all’epoca non era ancora una regola) e il ruolo delle donne nella liturgia.

Coinvolto nello scandalo della morte di una giovane nobile romana che seguiva forse un po’ troppo alla lettera i suoi inviti ad una vita di ascesi, penitenza e privazione fu però costretto a lasciare Roma ed ogni ambizione di papato. Imbarcatosi per l’Oriente in compagnia di pochi seguaci e di un gruppo di donne alle quali era appartenuta la giovane morta, finì con lo stabilirsi a Betlemme in un monastero da loro stessi fondato, dove si dedicò ad una vita di contemplazione e studio.

Frutto del suo impegno furono opere storiografiche e agiografiche come il De Viris Illustribus, dove ad imitazione di Svetonio compone le biografie di 135 grandi uomini del cristianesimo, a partire da Pietro apostolo, e traduzioni come il Chronicon di Eusebio di Cesarea. Non mancano anche opere polemiche, a sostegno delle tesi sulle quali si era spesso scontrato con altri sapienti più o meno in odore di eresia.

Ma l’opera sua più grande, quella che consegnerà il suo nome alla storia e farà di lui un Padre e Dottore della Chiesa, è la traduzione in latino (a partire dalla già esistente traduzione greca, ma anche da antichi testi ebraici) della Bibbia: la cosiddetta Vulgata. Iniziato già durante il periodo romano, su invito di papa Damaso I che gli aveva chiesto una traduzione in latino dei Vangeli, il lavoro di Gerolamo (oggi parzialmente perduto) andrà avanti per 23 anni e costituirà per secoli e secoli la base di ogni altra traduzione della Bibbia in altre lingue.

Morì il 30 settembre del 420, sempre vegliato dal suo fido leone, nella sua cella di Betlemme. Per la sua attività di traduttore della Bibbia Gerolamo (o Girolamo, o Geronimo) viene considerato santo protettore dei linguisti e dei traduttori, nonché patrono degli archeologi, dei bibliotecari, dei librai, e più in generale dei dotti e degli studiosi.

 

IL FRANCOBOLLO



Emesso dalla Croazia
il 27 maggio 2020
nel 1600° anniversario della morte

Yvert 1356
Dentellato 14



IL SANTINO