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RICOSTRUZIONE STORICO-DOCUMENTALE delle VICENDE attorno alla FUGA del
Granduca LEOPOLDO II a GAETA - Dal 01.01.1849 al 21.02.1849

Alessandro Pratesi
Le "divise uniformi" degli impiegati
delle Poste Granducali - 1835

PERCORSO: le schede > Storia postale toscana fino al 31 marzo 1851 > questa pagina > Politica, Fuga e Restaurazione di Leopoldo II, Granduca di Toscana

Vorrei tratteggiare una fase cruciale e dalle conseguenze decisive per la storia della Toscana, verificatasi nell’ambito della prima Guerra di Indipendenza: quello dei primi due mesi dell’anno 1849, vale a dire il periodo che precedette la seconda campagna militare della guerra contro l’Impero Austriaco. Ed avremo modo di scoprire una serie di documenti, alcuni dei quali del tutto inediti, che ritengo di grande interesse e fonte di stimolanti curiosità.

Le vicende che intendo trattare ruotano attorno all’episodio della fuga dalla Toscana verso Gaeta del Granduca Leopoldo II, con i relativi antefatti e conseguenze.
Siamo nel cuore della Prima Guerra di Indipendenza, nel breve interludio dell’armistizio di Salasco, del 9 agosto 1848, dopo la sconfitta piemontese a Custoza; una tregua che agli occhi e nella consapevolezza di tutti era del tutto precaria, dando per scontato che a breve sarebbero riprese le ostilità. Cosa che poi effettivamente avvenne il 20 marzo 1849 con la denuncia dell’armistizio da parte di Carlo Alberto, che condusse alla tragica conclusione di Novara.

Le vicende relative alla presente ricerca affondano se loro radici proprio in quell’agosto 1848, conseguenza della sconfitta a Custoza che coinvolgeva anche il Granducato di Toscana, alleato del Regno di Sardegna. Il giorno 17 agosto Leopoldo II licenziò il governo moderato di Ridolfi e lo sostituì con quello, che avrà brevissima durata, di Capponi: infatti il 25 agosto scoppiò una rivolta di matrice democratica a Livorno, condotta da Domenico Guerrazzi. Sull’onda di quei fatti, il 9 ottobre anche Capponi si dimise e neppure un incarico a Bettino Ricasoli condusse alla costituzione di un governo nuovo di matrice moderata; così il 27 ottobre Leopoldo II decise di giocare la “carta democratica”, conferendo l’incarico a Giuseppe Montanelli che, vincendo le remore del Granduca, affidò a Guerrazzi il Ministro dell’Interno.

La questione politica del momento era peraltro il precipitare della situazione politica nello Stato Pontificio, che aveva spinto Pio IX a nominare Ministro dell’Interno e delle Finanze il moderato Pellegrino Rossi, convinto federalista per il futuro politico d’Italia. Ma la fazione estremista, orchestrata dalla Carboneria romana e condotta dal capopopolo Ciceruacchio, vedeva nel progetto federalista un pericolo per il loro obbiettivo di un’Italia unita ed indipendente, sul modello francese: in un clima di tensione sociale crescente, la situazione sfuggì di mano precipitando verso l’assassinio di Rossi, il 15 novembre, e la proclamazione della Repubblica Romana, il 9 febbraio 1849. Il 24 novembre, nottetempo, Pio IX lasciò Roma per rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione del Re delle due Sicilie, Ferdinando II.

A Roma, intanto, si stava insediando la Costituente Italiana, alla quale il primo ministro toscano Montanelli (grande fautore da sempre di una Costituente per l’Italia Unita ed indipendente) richiese a Leopoldo II l’invio di 37 delegati toscani, eletti dal Parlamento Toscano.
In una prima fase Leopoldo II, che esattamente un anno prima aveva concesso lo Statuto, si dimostrò favorevole sia alla prosecuzione della lotta per l’unità e l’indipendenza d’Italia, sia alla richiesta di Montanelli, come si può desumere dal discorso tenuta da Leopoldo II per l’inaugurazione dei lavori parlamentari del 10 gennaio 1849 (imm. 1-2-3), ed in particolare nella seconda parte del capoverso a pag.3: “La nostra Costituente non ripudia nessuna forma di ordinamento possibile. Ella accoglie in sé volenterosa tutto quanto o poco o assai giova ad accostarla alla meta desiderata. Ella aspetta essere consentita dagli altri Stati Italiani, coi quali importa starci uniti più che coi vincoli di confederazione con quelli di fratellanza.

Immagini 1-2-3


Proprio in quel frangente giunse però la notizia che il primo gennaio 1849, Pio IX aveva emanato da Gaeta un “Breve” che comminava la “scomunica maggiore” a chiunque avesse compiuto atti contrari al mantenimento del potere temporale del Papa, notizia che provocò un’ondata di commenti negativi da tutti gli ambienti più evoluti, come si può desumere dall’editoriale “La Scomunica giudicata dai giornali italiani” del “Corriere Mercantile” del 16 gennaio 1849 (imm. 4-5), dove si legge fra l’altro: “La scomunica lanciata da Pio IX° per solo fatto politico è il più madornale sproposito che potesse farsi da un uomo di Stato. Il terribile anatema che la setta retrograda considerava come il suo pezzo di grosso calibro, fu considerato come un anacronismo, fu messo in ridicolo. La stampa italiana moderata riprova con quasi unanime voce l’atto inconsiderato del Pontefice che per salvare il vacillante dominio del Principe indebolisce l’autorità del Capo della Chiesa.

Immagini 4-5


Ma su Leopoldo II, cattolico osservante ed esponente della casata Asburgo d’Austria che rappresentava un baluardo del cattolicesimo, questa notizia fu causa di forti turbamenti che lo spinsero a temporeggiare la ratifica della nomina dei 37 delegati toscani alla Costituente Italiana, che erano già stati eletti dal Parlamento Toscano ed a chiedere, direttamente ai vertici della Chiesa, lumi su come comportarsi al fine di evitare la scomunica, esito che egli aborriva. Nel frattempo aveva inviato la propria famiglia a Siena, città di sicura fede granducale.

È ESATTAMENTE A QUESTA FASE che si riferisce la lettera scritta da Firenze il 26 gennaio 1849 da Leopoldo II, a propria firma, all’Arcivescovo di Siena il Monsignor Giuseppe Mancini, con tanto di busta indirizzata, qui riprodotta (imm. 6-7-8), affinché si pronunci “…con tutta chiarezza e libertà assoluta, ed in modo decisivo …” se la posizione che egli aveva assunto verso la Costituente Italiana e che avrebbe dovuto concretizzarsi proprio in quei giorni con detta ratifica, poteva costituire un comportamento sanzionabile nei termini del Breve papale; inoltre una serie di altri questi assolutamente interessanti da leggere…

Immagini 6-7-8

Quando conobbe gli umori dei vertici ecclesiastici in risposta alla sua lettera, lasciò Firenze per portarsi anch’esso a Siena, accolto da manifestazioni di giubilo di quella parte della cittadinanza di orientamento sanfedista, fra grida di “Abbasso la costituzione” e di “Evviva l’Austria”, con la stessa Guardia Civica che li sosteneva.

La parte liberale della cittadinanza, per contestare tali provocazioni, il 2 febbraio si adunò sul prato della Lizza invitando il Prefetto a tenere un discorso per spiegare al popolo la Costituzione. Anche il Granduca promise di tenere un discorso di esortazione alla concordia ed alla pace. Fra la folla si incrociavano le invocazioni di “Viva Leopoldo” e di “Viva la Costituente”, così come le bandiere bianche granducali ed i tricolore. Inopinatamente il Granduca si affacciò al balcone, salutò la folla ma non profferì parola, circostanza che fece scaldare gli animi, con conseguenti disordini e fatti di sangue.

Il Governo a Firenze, informato dei fatti, scrisse al Granduca di rientrare nella capitale, ma questi rispose di essere ammalato e di non potersi muovere. Il 7 febbraio Montanelli si precipitò a Siena, dove trovò Leopoldo II allettato “…più che altro di paura, ed insofferente di parlare di affari di Stato…”. Nella stessa giornata, con la scusa di andare a fare una salutare passeggiata con la famiglia, fu prelevato da una carrozza che in tutta corsa lo condusse, per la via di Maremma, a Porto Santo Stefano. Si trattò di una vera e propria fuga dalle proprie responsabilità, che certo non ha fatto onore alla figura del Granduca. Egli lasciò due lettere per Montanelli: nella prima affermava di non voler lasciare la Toscana e sollecitava il mantenimento dell’ordine; nella seconda gli raccomandava i propri servitori e masserizie, spiegando la sua decisione con il fatto che “…dopo le censure pontificie sulla Costituente Romana, non mi regge l’anima di mettermi contro la Chiesa…”, preferendo piuttosto perdere la Corona.

La notizia della fuga del Granduca produsse immediati effetti a Firenze: manifestazioni, comizi, campane a distesa, per richiedere la costituzione immediata di un governo provvisorio che coprisse il vuoto di potere lasciato dal Granduca. Fra la montante tensione, l’autorità di Guerrazzi portò alla decisione di far eleggere dal popolo di tutta la Toscana e non solo dalle piazze di Firenze, i nuovi governanti previa anche la ratifica del Senato. In effetti la situazione non era ben chiara: il Granduca si era, sì, allontanato dalla Capitale, ma si trovava ancora sul suolo toscano e non aveva dichiarato di voler abbandonarlo né tantomeno aveva abdicato. Il rischio di operazioni avventate era, ovviamente, lo scontro aperto con la parte della popolazione tuttora favorevole al Granduca.

Intanto il Granduca dal 7 febbraio si trovava a Porto Santo Stefano a bordo di una nave da guerra inglese, dove evidentemente si sentiva più al sicuro. Da qui, organizzò l’estrema resistenza: d’accordo con Carlo Alberto, comandò alle truppe toscane di stanza a Massa, al comando di De Laugier (eroe di Curtatone e Montanara), di riunirsi a Sarzana alle truppe piemontesi condotte da La Marmora, per marciare su Firenze e reinsediare il Granduca.

Gli avvenimenti divengono incalzanti: l’8 febbraio, Mazzini sbarcava a Livorno accolto da una folla in tripudio: fu proprio lui ad annunciare la fuga del Granduca e della sua famiglia, con la folla che acclamava “Viva la Repubblica!”. Il 9 febbraio, in contemporanea con la proclamazione della Repubblica Romana, si formò un Governo Provvisorio guidato da un Triumvirato con la presidenza a rotazione settimanale fra i tre: Guerrazzi, Mazzoni e Montanelli, con lo scopo di scrivere una nuova Costituzione, annunciato alla popolazione con il manifesto del 10 febbraio, qui riprodotto (imm. 9), ove si motivava questa decisione con l’aver il Granduca “… abbandonato il paese a se stesso noi fummo dal Parlamento Toscano, e dal Popolo eletti custodi della pubblica sicurezza…”.

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Il 17 febbraio De Laugier emana da Massa un proclama, ove si sosteneva che non era vero che il Granduca aveva abbandonato il governo e quindi per chiamare a raccolta la popolazione per la restaurazione granducale.

A questo proclama, il Governo Provvisorio rispondeva il 18 febbraio con un altro proclama, qui riprodotto (imm. 10), con il quale si dichiara che “… il Conte De Laugier col suo proclama del 17 corrente si è fatto eccitatore di guerra civile …” e che quindi il legittimo Governo Provvisorio sente il dovere di decretare “… che il Conte De Laugier è dichiarato traditore della Patria … che i soldati tumultuanti son dichiarati ribelli … che il Ministero della Guerra è incaricato della esecuzione del presente decreto ..”.

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Il 19 febbraio il Governo Provvisorio dirama un nuovo lungo proclama, a firma di Giuseppe Mazzoni in qualità di “Presidente di settimana”, qui riprodotto (imm. 11), che per la verità meriterebbe di esser letto per intero, tanto è significativo: fra le altre cose, si noti come nel documento non si citi mai la parola “Granduca” o “Leopoldo II”, bensì ci si riferisca a lui sempre con l’appellativo “Leopoldo Austriaco”, per sottolinearne allo stesso tempo la decadenza dal titolo principesco e la sua natura straniera. In particolare, si contestano le affermazioni del proclama di De Laugier, motivando invece punto per punto tutte le circostanze che invece dimostravano l’abbandono da parte di Leopoldo delle proprie prerogative di governo; si accusava De Laugier di fomentare scelleratamente la guerra civile; lo si tacciava di menzogna per aver millantato il soccorso da parte dal Piemonte; si rendeva conto della volontà del popolo toscano, espressa nella pubblica assemblea di Piazza della Signoria, di una “…REPUBBLICA UNITA CON ROMA…”.

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Il Governo Provvisorio aveva intanto chiamato a raccolta il Popolo, soprattutto di Livorno e della costa Toscana, per marciare su Massa ed affrontare le truppe di De Laugier, le quali alla vista della reazione del popolo democratico si disgregarono letteralmente, lasciando a De Laugier la sola via della fuga verso la sopravveniente guarnigione piemontese di La Marmora. Come si legge in questo stesso proclama “…il Conte De Laugier sbigottito dell’atrocità del suo delitto … dichiarato traditore della Patria … a quest’ora forse è fuggito. Fugga! noi non gli invidiamo gli avanzi della miserabile sua vita! Fugga! e viva, e desideri l’ombra della morte come sollievo della vergogna! …”.

Sfumata la speranza di un intervento sabaudo, il 21 febbraio Leopoldo II partì sulla nave inglese per riparare a Gaeta, ove raggiunse Pio IX, ivi già rifugiatosi, mettendosi anch’esso sotto la protezione di Ferdinando II.
Questo goffo tentativo militare piemontese costò a Torino la caduta del governo Gioberti.
Per il seguito di questa appassionante vicenda storica, vi do appuntamento al prossimo articolo.

Alessandro Pratesi

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