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Le A.M. muovono i primi passi

di Sergio De Benedictis (AICAM)

Come accennato nell’articolo introduttivo è un primato tutto italiano quello di aver ideato e costruito la prima macchina affrancatrice.

Ma come spesso avviene nel campo delle invenzioni, anche altri soggetti tendono ad attribuirsi la paternità, questo anche in uno scenario che come vedremo a volte non ha visto in maniera netta la distinzione tra un timbro manuale ed una affrancatrice meccanica.

Dovremmo allora forse tornare indietro di qualche anno se definiamo una affrancatrice come un apparecchio in grado di apporre un timbro su invii postali e allo stesso tempo contarne le battute e totalizzarne gli importi.

Tale Carl Busch, tedesco di origine ma naturalizzato francese, dopo aver inutilmente cercato di convincere dell’utilità del suo apparecchio le amministrazioni postali di Francia e Germania, attraversò la Manica e sull’isola riuscì a brevettare il 22 agosto del 1884 “un nuovo apparecchio per imprimere timbri fiscali, registrarli e sostituire in tal modo le etichette recanti impresse il valore“.

Nonostante dichiarasse che l’utente avrebbe avuto l’indubbio vantaggio di:

• guadagnar tempo nell’operazione di affrancatura,
• ottenere una contabilità immediata e priva di errori,
• eliminare il rischio di furto dei francobolli,
• poter imprimere anche indirizzo del mittente e data di spedizione,

forse la sua idea era in anticipo sui tempi e non se ne fece nulla.

A seguire ci furono altri tentativi tra cui quelli di James Garrat, la cui macchina prevedeva l’affrancatura automatica a fronte dell’inserimento di una moneta, Joseph Baumann e della Ditta Mix & Genest di Berlino di cui si conosce una impronta sperimentale delle Poste Norvegesi.

E arriviamo al 1900 in Norvegia dove abbiamo il primo utilizzo postale con una macchina automatica funzionante a moneta. Curiosamente però le Poste Norvegesi non consideravano l’impronta valida e la ricoprivano con un normale francobollo che annullavano manualmente. Le macchine rimasero in uso dal 24 agosto al 14 settembre 1900 presso la posta centrale di Christiania, l’attuale Oslo. Esistono impronte con valori da 5 Ore e 10 Ore.

La successiva amministrazione che recepì il nuovo sistema fu quella degli Stati Uniti nel 1903, anche se trattandosi di invii in franchigia non presentavano indicazioni di importo e quindi non sono strettamente affrancature meccaniche. La macchina era prodotta da Arthur Pitney, che in seguito dette vita alla più famosa ditta del settore: la Pitney-Bowes. Le macchine rimasero in servizio fino al 1912 quando furono sostituite da un nuovo modello che presentava un punzone a forma di scudo con valori da 1c e 2c, corrispondenti ad un invio in “Third Class” corrispondente alle stampe.

Nello stesso anno 1903 troviamo tra i pionieri anche uno degli Antichi Stati Tedeschi, il piccolo Wuerttemberg, che si dotò di un bollo di tipo continuo. Tra due datari successivi, che riportavano il valore nel semicerchio inferiore, erano presenti sette linee che potevano essere continue o tratteggiate.

Passiamo poi agli antipodi, in Nuova Zelanda, dove nel 1904 ad opera di Ernest Moss apparvero delle macchine che commercializzate in seguito nel Regno Unito, presero il nome di Universal, facendo concorrenza alle Pitney-Bowes. Rimase in uso poche settimane e imprimeva una impronta a doppio cerchio del valore di 1 penny. Negli anni seguenti lo stesso Moss, in accordo con le locali Poste, migliorò il meccanismo delle macchine, producendone di nuove con nuove impronte che però erano prive dell’indicazione del paese d’origine in quanto servirono ad affrancare solo la posta interna.

Nel 1910, in Baviera, ritroviamo Joseph Baumann, con la sua idea già espressa nel 1900 di introdurre una affrancatrice per gli invii in massa della posta. Il Baumann aprì però un contenzioso, sia con le Poste bavaresi sia con la Ditta produttrice Sylbe & Pondorf, in quanto non gli erano stati riconosciuti i diritti sul brevetto. Le impronte erano impresse utilizzando una bollatrice continua sulla quale era stata sostituito uno dei due datari con il punzone del valore e computando comunque l’importo una sola volta.

Nel 1911 si sveglia la Germania e sebbene, come si evince dall’illustrazione, questo apparecchio ha più le parvenze di un timbro manuale, non possiamo escludere che il suo progettista, Hubert Hamacher, non avesse invece in testa l’idea di una macchina affrancatrice.

Il suo utilizzo fu però più che altro destinato ad una operazione di controllo presso ditte private e grosse società; infatti un primo impiegato apponeva una o più impronte in modo da raggiungere l’importo stabilito mentre un secondo impiegato era addetto ad apporre i francobolli equivalenti. Si controllava poi che il totale del primo corrispondesse al totale del secondo. In commercio era noto come “Custos” e la stessa parola presente nell’impronta permette di distinguerle.

Nel 1912 presso la Posta Centrale London E.C. (Eastern Central) fu installata ai primi di gennaio una macchina operante a moneta, provvista di un timbro tondo in gomma che imprimeva il valore di 1 penny in colore rosso. Lo scarso utilizzo ne consigliò la rimozione già nel mese di agosto.

Nello stesso anno, oltre Atlantico negli Stati Uniti, dopo quel primo impiego in franchigia visto prima, inizia una nuova sperimentazione da parte di Arthur Pitney. Il punzone era a forma di scudo con un numero di cinque cifre all’interno. Essendo l’utilizzo previsto per affrancare stampe in terza classe, i valori impressi furono soltanto 1 e 2 cents. Erano inchiostrate con il colore nero mentre il rosso era destinato alle prove.

Da qui in poi è da un lato un susseguirsi di nuove macchine e dall’altro l’ingresso in campo di nuove amministrazioni. Ricordiamo solo che dal 1 settembre 1920 l’Unione Postale Universale deliberò valide le affrancature meccaniche per ogni tipo di invio estendendole al circuito internazionale. Fu inoltre la neonata Piteny-Bowes a proporre l’adozione in targhetta anche del datario in modo da evitare la necessaria obliterazione successiva.

Ad un certo punto, nel momento in cui le macchine furono vendute ed utilizzate da ditte private, si pensò di introdurre nei clichés anche dei testi pubblicitari della ditta mittente e questi loghi o slogan hanno poi in seguito fatto sicuramente la fortuna di questi pezzi presso i collezionisti tematici.
Tra le prime abbiamo la tedesca “Komusina” ideata da Erich Komusin che in Germania iniziò la produzione nel 1921. In questo cliché di prova leggiamo: “ Macchina Affrancatrice Komusina. Fabbricante esclusivo Guhl & Co. Hamburg 5”. In altra, che sponsorizzava la nuova iniziativa si poteva leggere: “Questo spazio è a disposizione per la pubblicità dell’utente”.

Come abbiamo scritto nell’introduzione l’Italia arrivò abbastanza ultima nel 1927 dopo che ormai l’utilizzo si era affermato già in tantissime realtà postali. Ma sull’Italia ci ripromettiamo di tornare in un prossimo articolo.

Fonte:
L’Histoire des Empreintesdes Machines a Affranchir di Heiner Durst

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