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  Teste e Zampe di coniglio per concime
di Giuseppe Alpini


PERCORSO: Personaggi, documenti ed oggetti testimoni di vita e di storia > questa pagina

 

 

Ad Arezzo, al numero 5 di Piazza Guido Monaco, un certo Bonaccini aveva un ufficio che si occupava di compra-vendita di prodotti vari. Molti di questi erano indirizzati all'agricoltura che ancora rappresentava la prima attività economica della nostra provincia.

Il signor Luigi Polvani, un ricco possidente della Val di Chio, intratteneva da tempo affari con il signor Bonaccini come si desume dal tono confidenziale della lettera. I suoi coloni possono acquistare a Montevarchi, allo stesso prezzo del Consorzio agrario, il concime fatto con gli scarti delle pelli di coniglio.


I più giovani ignorano tutto quel mondo di piccoli interessi che ruotava intorno alla pelle di conglio. Appena l'animale era ucciso, veniva scuoiato e la pelle messa all'aria ad asciugare in attesa che passasse il "Barullo" o "Treccolone" che ne faceva incetta.

Quello del "Barullo" è uno dei tanti mestieri oggi scomparsi, ma un tempo non passava giorno che nei villaggi o nei poderi si manifestasse la sua presenza.

Il suo arrivo era preceduto dalla seguente cantilena: "Aghi, spilli,specchi e occhiali per i vecchi!". I ragazzi erano i primi ad accorrere, ma anche le ragazze da marito e le spose si lasciavano tentare. Il "Barullo" giungeva con un mezzo proprio che poteva essere una bicicletta, un cavallo con un baroccio o un calesse e, a partire dal secondo dopoguerra, da una moto o da una macchina adattata che successivamente sarà sostituita dai primi furgoni allora prodotti.

Il "barullo" comprava e vendeva di tutto anche "i vinchi" per fare i cesti e i panieri. Gli articoli più pregiati erano, però, le stoffe, i cosmetici, le saponette, le lame da barba "Bolzano", la ceretta per le scarpe e aghi, filo, bottoni, nastri, cappelli.

Quando la massaia aveva dato l'assenso, si trattava sul prezzo e se questo era un pò alto, si pareggiava con prodotti quali: qualche forma di formaggio, qualche fiasco di vino, ferri vecchi, rame e le pelli di coniglio che venivano utilizzate nei cappellifici di Montevarchi dove prendevano il nome di "lapin".

Ovviamente erano tempi nei quali non si buttava niente qualcuno aveva pensato bene di trasformare le parti inutilizzate della pelle di coniglio in concime che i contadini, su consiglio del padrone, avrebbero comprato a prezzo maggiore rispetto a quello di vendita concordato con il "Barullo".