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  Cento anni fa: I FATTI DI RENZINO
Giulio Bigozzi

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Cento anni fa, il 17 aprile 1921, avvennero i fatti di Renzino, episodio di ribellione al fascismo rimasto scolpito nella memoria della comunità foianese e aretina. È stato uno dei pochi episodi di ribellione armata ai soprusi delle squadre fasciste, che nei primi mesi di quell’anno seminarono il terrore soprattutto in Toscana, Liguria e Emilia Romagna. Alcuni storici (Prof Fabio Fabbri dell’Università di Roma e Prof. Giorgio Sacchetti dell’Università dell’Aquila) sostengono che questo episodio, assieme a quelli dell’insurrezione del Valdarno (23 marzo), dei fatti di Empoli ((1 marzo) e dell’uccisione di Spartaco Lavagnini a Firenze (27 febbraio), abbia dato origine a una vera e propria guerra civile, anticipando di oltre due decenni quella a tutti nota del 1943-45.

Comunque sia, quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.

Gli eventi del17 aprile 1921, successivi all’imboscata di Renzino sconvolsero l’intera comunità foianese. In tale imboscata vennero uccisi tre fascisti Poi, dopo le rappresaglie, ben otto furono le persone uccise dagli squadristi e 107 abitanti del paese vennero arrestati, due dei quali morirono poi successivamente in carcere, prima del processo. Considerato che i nuclei familiari erano particolarmente numerosi e che allora il paese contava poco più di tremila abitanti, si può ipotizzare che circa un quarto della popolazione venne colpita direttamente dalle rappresaglie fasciste, rimanendone segnata per decenni. Le famiglie più colpite furono quelle dei Rubechini, Burri, Milani, Melacci, Gherardi, Foianesi, e Bigozzi.

Le spedizioni fatte a Foiano il 12 e 17 aprile 1921 furono il frutto della concomitanza di due fattori. Il primo era costituito dal patto scellerato tra i liberali e i fascisti, voluto da Giolitti stesso, con cui venne dato vita ai “blocchi nazionali” per affrontare assieme, dopo le dimissioni dello stesso governo, le nuove elezioni indette per il 15 maggio. Si dette così mano libera ai fascisti per consentire loro di combattere, con le loro violente scorribande, socialisti e popolari, che avevano ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni del 1919. Gli squadristi avevano avuto la garanzia dell’ immunità per tali azioni dallo stesso Governo Giolitti, che aveva dato in merito precise direttive alle Prefetture e alla forze dell’ordine. Il secondo riguardava la voglia degli agrari toscani e aretini di dare, tramite gli squadristi fascisti, da loro finanziati e dotati di camion, una dura lezione ai “sovversivi” abitanti di Foiano, isola rossa della Valdichiana dove le leghe coloniche erano riuscite a strappare loro i nuovi patti colonici del 1919 e del 1920 e dove i socialisti avevano ottenuto alle elezioni politiche del 1919 e comunali del 1920 il 76% dei voti espressi.

Nelle scorribande del 12 aprile i fascisti avevano chiesto le dimissioni della Giunta Comunale, vandalizzato la sede sindacale e della cooperativa dei badilanti, nonché depredato la cooperativa di consumo di tutti i beni, parte dei quali venne demagogicamente distribuito alla popolazione ai fini della loro propaganda elettorale. Nonostante avessero colpito al cuore tutti luoghi simbolici del potere e delle organizzazioni socialiste, gli squadristi ritornarono alle loro sedi di partenza, soprattutto Arezzo e Firenze, senza avere raggiunto il loro principale obiettivo, lo scontro fisico e armato con i ribelli del paese, i quali avevano saggiamente deciso di starsene lontano. Così, solo cinque giorni più tardi, gli squadristi a bordo di due camion tornarono di nuovo a Foiano in cerca dello scontro. Anche in questa giornata, almeno fino al tardo pomeriggio, tutti i dirigenti politici e sindacali si erano allontanati dal paese e rifugiati nelle campagne circostanti, ma ciò non bastò ad evitare il conflitto. La loro capacità di tolleranza a questi soprusi venne meno e maturò la decisione di reagire, organizzando un’imboscata a Renzino, località a due km da Foiano, passaggio obbligato per il ritorno dei fascisti ad Arezzo. Così, uno dei due camion, con a bordo 22 fascisti, venne investito da una scarica di fucileria dei ribelli, nascosti dietro un fitta siepe. Tre fascisti vennero uccisi, e altri, vennero feriti, tra i quali anche il comandante della squadra Capitano dell’Esercito Figino.

Fra i promotori dell’imboscata vi erano dirigenti delle organizzazioni politiche e sindacali del territorio, come Galliano Gervasi (segretario del neonato Partito Comunista), Bernardi Melacci (anarchici), Attilio Bigozzi, segretario del Partito Socialista di Foiano fino al 1920 e Assessore dello stesso Comune, Alfredo Burri (capo lega). Molti di loro erano giovani. Bernardo Melacci era del 1893, Bruno Bini del 1894, Alfredo Burri del 1896, Galliano Gervasi del 1899. Augusto Scopini (1888) e Attilio Bigozzi (1890) erano probabilmente i più anziani del gruppo. Tutti, quindi, poco inclini a frenare i loro impulsi di ribellione di fronte ai soprusi e alle brutalità degli squadristi fascisti perpetrati appena 5 giorni prima e, poi, proseguiti nella stessa mattinata del 17 aprile 1921. Così, radunatisi già dal mattino nelle campagne del circondario per evitare anche questa volta lo scontro, maturarono con il passare delle ore la convinzione che fosse necessario rispondere in qualche modo alle scorrerie dei fascisti con le poche armi a loro disposizione. Non mancava loro il coraggio né l’esperienza di battaglia, visto che alcuni erano sicuramente reduci della prima guerra mondiale, ma l’inadeguatezza delle loro armi dimostra la spontaneità di tale decisione, come confermato dagli imputati al processo del 1924. Pur motivata dall’esasperazione per l’indifferenza e le connivenze con gli squadristi dimostrata dalle forze dell’ordine, i partecipanti all’imboscata probabilmente non avevano messo in conto le tremende conseguenze delle rappresaglie fasciste, Senza contare la sproporzione delle forze in campo. Loro erano in numero superiore, forse anche il doppio degli squadristi affrontati, ma armati solo di pochi fucili da caccia, forconi e roncole. L’unico vantaggio dei ribelli poteva essere dato dalla sorpresa. Cosa che fu sfruttata con l’agguato organizzato a Renzino durante il viaggio di ritorno ad Arezzo dei fascisti dopo le loro scorribande nel paese. Ma la lotta era troppo impari. Gli squadristi erano organizzati militarmente e potevano usufruire dei loro appoggi logistici (fornitura dei camion) ed economici, nonché dell’aiuto degli ambienti militari, che fornivano loro anche le armi, come avvenne per la spedizione di Foiano. Le squadre erano comandate e rinforzate da militari in servizio effettivo, cosa questa che sarebbe rimasta segreta se gli eventi non avessero fatto emergere la morte di un soldato di leva, il Roselli, e il grave ferimento del Capitano dell’Esercito Figino che, comunque, pur ferito riuscì a scaricare l’intero caricatore del suo revolver sui partecipanti all’imboscata. È quindi probabile che vi fossero altri militari tra gli squadristi rimasti illesi che non ebbero bisogno di cure mediche. L’autista del camion dei fascisti, Dante Rossi, rimasto ucciso dalla prima scarica di fucili partita dalla siepe lungo la strada aretina, era un motociclista del giornale Nuovo Corriere di Firenze. Assieme a lui vennero uccisi anche altri due squadristi: Aldo Roselli e Tolemaide Cimini. Dopo lo scontro a fuoco, i ribelli si dettero alla fuga, consapevoli che i fascisti sarebbero tornati in forze a cercarli. .

Le immediate e feroci ritorsioni dei fascisti, provenienti da Firenze, Perugia, Siena e Roma, non si rivolsero solo contro di loro, ma anche a buona parte dei coloni e abitanti di Foiano colpevoli solo di simpatie socialiste e comuniste. Subito dopo l’agguato e nei giorni successivi i fascisti misero a ferro e fuoco l’intero paese e le campagne circostanti. Dopo queste feroci rappresaglie si contarono ben 12 morti. Ai tre fascisti morti durante lo scontro di Renzino, si erano aggiunti altri 9 morti. Solo uno di questi era morto accidentalmente, un carabiniere colpito dalla sua pistola. Gli altri 8 furono brutalmente assassinati dai fascisti davanti alle stesse forze dell’ordine, che rimasero inermi e compiacenti-

Ben 107 furono le persone arrestate (quasi il 3% dell’intera popolazione di Foiano), di cui 80 erano contadini , mentre i rimanenti erano artigiani, operai o commercianti. Due delle persone arrestate, Capannelli Francesco e Rubechini Attilio, morirono in carcere prima del processo, avvenuto nel 1924. Gran parte degli arrestati non avevano neppure partecipato a tale evento, sì che 66 di questi vennero prosciolti in istruttoria, ma la loro carcerazione serviva a impedire loro di votare alle elezioni politiche del 15 maggio successivo. Così, a tali elezioni i socialisti ottennero solo 365 voti, contro i 1.337 delle elezioni politiche del 1919 e i 1.321 delle elezioni amministrative del 1920, perdendo così in appena sei mesi tre quarti dei voti.

Ma le rappresaglie dei fascisti non si limitarono solo agli arresti e alle esecuzioni sommarie sia dopo l’imboscata sia nei due giorni successivi. Per giorni e giorni i fascisti bruciarono le case e i pagliai dei mezzadri socialisti aderenti alle leghe coloniche. Molte famiglie, per un po’ di tempo, dormirono fuori casa per paura di queste ritorsioni. Ovviamente, nessun fascista venne inquisito né sottoposto a processo. Né per le uccisioni, vere e proprie esecuzioni a sangue freddo, né per le scorribande, i furti e le devastazioni fatte alle proprietà private, agli arredi del Comune e a quelli delle organizzazioni sindacali e cooperative. Del resto, oltre che delle protezioni di esercito, prefetture e forze dell’ordine, i fascisti potevano contare anche sull’appoggio della stampa, sovvenzionata dagli agrari, che descriveva questi facinorosi delinquenti come “bravi ragazzi” e le loro scorrerie come “semplici scampagnate”. La stessa stampa, invece, descriveva coloro che avevano osato ribellarsi a tali soprusi come “belve assetate di sangue”.

La Tabaccheria di Isabella Zani e Giulio Bigozzi nel 1920 circa

Inoltre, descriveva i furti e le espropriazioni operate dai fascisti ai privati cittadini come azioni “caritatevoli” a favore della popolazione. A riprova di ciò basti citare l’episodio accaduto a Giulio Bigozzi, titolare assieme alla moglie della tabaccheria ubicata in Via Cavour, all’angolo della scalinata della torre che porta al Comune e di fronte a Piazza Fra Benedetto.

Non trovando il fratello Attilio, che aveva partecipato all’imboscata, i fascisti si rivalsero su di lui. Lo arrestarono e poi devastarono gli arredi della tabaccheria, rubando tutta la merce che si trovava al suo interno. Tale fatto venne riportato da La Nazione del 19 aprile 1921 come segue: “Nel pomeriggio i dimostranti sono penetrati nella tabaccheria del comunista Giulio Bigozzi in Piazza Fra Benedetto, distribuendo i generi alla popolazione”. Ovviamente, tale giornale, di dichiarata fede fascista, aveva ritenuto opportuno scrivere “distribuito alla popolazione”, anziché rubato. Oltre a mistificare e coprire un reato penale, tale narrazione era funzionale alla loro propaganda demagogica in vista delle imminenti elezioni.

Mentre nessun fascista venne inquisito e rinviato a giudizio per gli omicidi, furti e devastazioni commesse, i partecipanti all’imboscata di Renzino vennero processati nel 1924. Prima di tale processo, 66 dei 107 arrestati vennero prosciolti in fase istruttoria mentre due erano morti in carcere. Gli altri furono processati dalla Corte di Assise di Arezzo negli ultimi mesi dell’anno. La sentenza fu emessa l’11 dicembre e comminò numerose pene detentive, le più pesanti delle quali (trent’anni) a Bernardo Melacci, Augusto Scopini, Bruno Bini e Sante Scapecchi. A venticinque anni di carcere vennero condannati Pietro Foianesi, Rizieri Zacchei e Luigi Rubechini.. A ventidue anni venne condannato Galliano Gervasi, a ventuno anni Alfredo Burri e Alberto Rubechini. Gli altri condannati ebbero pene detentive inferiori. La stessa sentenza decretò anche 14 assoluzioni

Attilio Bigozzi, l’unico che era riuscito a fuggire all’arresto e che si era rifugiato in Francia, venne condannato all’ergastolo in contumacia con apposita sentenza del 13 dicembre successivo. Poi, il 23 aprile 1951, tale condanna venne revocata dalla Corte di Appello di Firenze, che dichiarò estinti tutti i reati per avvenuta amnistia degli stessi.

Giulio Bigozzi
15-04-2021