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La posta dei prigionieri di guerra

I DIMENTICATI
(prigionieri di tutti)

Campi di concentramento nella II G.M.

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Il cuoco ebreo delle SS
da Fossoli a Bolzano testimone di un eccidio

Fabrizio Stermieri

Caro Giuseppe, abbiamo avuto notizia del trasferimento che hai subito il primo giugno… sei sempre nei miei pensieri, la tua Franzi”.

Sono poche righe, vergate su due cartoline (conservate da collezionisti di storia postale e salvate dall’oblio) spedite per posta raccomandata da Vienna ai primi di luglio del 1944 ad aprire uno squarcio di storia vissuta in quei terribili giorni di guerra da un personaggio misconosciuto ma che meriterebbe di essere riscoperto. Il “Giuseppe” a cui sono destinate le due cartoline e che risulta come “destinatario partito” dall’etichetta che le Regie Poste hanno incollato sul lato dell’indirizzo, rispedendole al mittente, è Giuseppe Perlhefter, il “cuoco delle SS”, prima al campo di concentramento di Fossoli e poi in quello di Bolzano dove vennero raccolti in un secondo tempo, dopo lo smantellamento del campo, i prigionieri di Fossoli per l’instradamento ai lager di sterminio in Germania.

Le due cartoline, inviate da una parente di Giuseppe Perlhefter da Vienna, sono indirizzate proprio a Carpi, al campo di concentramento di Fossoli di cui, evidentemente “Franzi” aveva avuto notizia. Sono spedite in date diverse da due uffici postali diversi di Vienna nella speranza che almeno una (come è scritto in una di esse) potesse giungere a destino. In effetti entrambe, dopo aver passato il vaglio della censura tedesca e di quella della Repubblica Sociale (su una delle due missive c’è il timbro della Commissione provinciale di censura italiana) sarebbero anche giunte a Fossoli ma nel frattempo il “cuoco delle SS” era già stato trasferito a Bolzano: Fossoli fu abbandonata definitivamente dai Tedeschi a fine agosto e le cartoline riportano entrambe il timbro di reso a “Vienna 101” del 22 agosto.

Ma chi era Giuseppe Perlhefter? Di lui, negli elenchi ufficiali dei prigionieri detenuti a Fossoli non c’è traccia, ma che fosse un prigioniero non c’è alcun dubbio: ebreo, originario di Merano, Perlhefter non risulta fra gli internati perché in effetti faceva parte di quel piccolo gruppo di prigionieri che “servivano” (certo loro malgrado) gli aguzzini come personale ausiliario, metà al di qua e metà al di là del filo spinato. Il suo nome è citato solo in documenti e in testimonianze che provengono da Bolzano: “Nel lager di Fossoli – ricorda Cinzia Villani in un suo contributo su “Lager di Bolzano e lavoro coatto” – alcuni prigionieri erano stati esclusi dall’ultima deportazione e trasferiti a Bolzano proprio in vista dei compiti loro assegnati. Fra questi gli addetti alle cucine: i cuochi Herbert Jacobson (olandese) e Giuseppe Perlhefter”.

Giuseppe Perlhefter, residente a Merano, arrestato nel 1944 perché ebreo, deportato dapprima nel lager di Fossoli e poi nel luglio del 1944 a Bolzano, era capocuoco della cucina del comando SS del lager di Bolzano”, sostiene a sua volta Carla Giacomozzi nel suo “Un eccidio a Bolzano”, in cui, nel 2011, rievoca una pagina tragica della Resistenza della quale proprio il nostro cuoco fu indiretto protagonista. Sopravvissuto allo sterminio, Perlhefter fu infatti sentito come testimone nel settembre del 1945 dalla Corte d’Assise Straordinaria di Bolzano e fu in grado di sostenere che il 10 settembre 1944 arrivò a Bolzano il maggiore delle SS Wilhelm Schroder, capo delle esecuzioni del comando SS Alta Italia di Verona, con l’ordine di fucilare 23 resistenti e presunte spie alleate detenute nel campo.

L’esecuzione avvenne il giorno dopo, l’11 settembre e qui si apre un altro capitolo della nostra storia, in parte collegato con il campo di concentramento di Fossoli. Sul luogo dell’eccidio troviamo infatti figure tristemente note a Fossoli che presero parte anche alla strage dei 67 fucilati al poligono di tiro di Cibeno avvenuta due mesi prima, il 12 luglio 1944. Si tratta del tenente SS Karl Friedrich Titho, comandante del campo a Fossoli e a Bolzano, del suo vice, il sottufficiale Hans Haage e dell’interprete, milite SS, Karl Gutweniger l’unico, per inciso, che sarà condannato a 12 anni di reclusione dopo la guerra, per “collaborazione con il tedesco invasore”, per aver preso parte all’eccidio di Cibeno e di Bolzano.

Proprio Gutweniger raccontò alla Corte d’Assise di Bolzano di esser stato presente alla fucilazione dell’11 settembre in quella città ma di non aver dovuto leggere loro, traducendola, la sentenza di morte per evitare che, come a Cibeno, i prigionieri opponessero resistenza. Titho, che Gutweniger afferma essere intervenuto sul luogo del massacro di Bolzano (i 23, quasi tutti militari e resistenti, sette dei quali sono stati insigniti di medaglia al Valor militare, vennero uccisi uno ad uno con un colpo alla nuca dalle guardie ucraine che facevano parte delle SS), successivamente negò ogni addebito e morì impunito nel 2011; Haage, nonostante le accuse, morì nel 2008, anche lui senza subire condanne.

E il nostro “cuoco delle SS”? Se non ci fossero rimaste le due cartoline spedite da Franzi affrancate con i francobolli del Reich che raffigurano un arcigno Adolf Hitler volto a sinistra, probabilmente sarebbe rimasto nascosto per sempre. Come abbiamo visto sopravvisse alla deportazione ma, dopo la sua testimonianza al tribunale di Bolzano, se ne sono perse le tracce. Non era stato un “collaborazionista”, solo una vittima che ebbe la fortuna di essere stato considerato utile in cucina per qualche mese ai suoi aguzzini, i quali non fecero a tempo a portare a compimento la loro ignobile missione: inviare alla camera a gas ed allo sterminio tutti coloro che ebbero la sventura di passare fra le loro mani grondanti di sangue.

Fabrizio Stermieri
VOCE DI CARPI 7/9/2019