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ENTEBBE: il campo e le corrispondenze |
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Gustavo Cavallini | ||||||||||||||
Entebbe, ospitava solo internati italiani adulti. Qui erano stati costruiti 34 dormitori, ognuno dei quali poteva ospitare 28 uomini, forniti di un corredo composto da letto, materasso, cuscino, lenzuola, coperta e zanzariera. Gli edifici adibiti a mensa e le “sale ricreative” erano sei. Vi erano due cucine, un panificio, bagni, e botteghe di falegnami, calzolai, sarti e barbieri. Adiacente al campo si trovava l’ospedale che poteva ospitare 52 degenti. In aggiunta, al momento della redazione del report, era in costruzione un grande orto per rendere il campo autosufficiente, al quale si aggiungeva la possibilità di coltivare orti privati. Erano previste altre attività come lo sport e la pesca, approfittando della vicinanza del lago Vittoria. Nel dicembre 1942 la Croce Rossa Internazionale ispezionò il campo 6, quello di Entebbe, e stilò, anche in questo caso, un rapporto positivo sulle condizioni generali. Gli alloggiamenti e le condizioni igieniche furono considerati di livello accettabile, come pure il vitto, l’organizzazione dell’ospedale e i sistemi di sicurezza e prevenzione e spegnimento degli incendi. Al momento della visita erano presenti 972 civili italiani, che ricevevano Shs10, in coupon, al mese per le spese, o che, volendo, potevano avere un lavoro retribuito. La paga in caso di lavoro svolto nel campo era di Shs1 al giorno, o Shs2 in caso di lavoro esterno al campo. La giornata media di lavoro era di 4-6 ore, in ogni caso mai più di 8 ore, avendo la domenica come giorno di riposo. Le funzioni religiose erano garantite ed effettuate da due preti italiani, anch’essi internati. Anche il comandante del campo non si lamentò dell’andamento generale, affermando che vi era un buon livello di disciplina, tanto che ci furono solo 4 tentativi d’evasione, puniti con l’arresto. Il 18 febbraio 1943, due mesi dopo la prima visita, la Croce Rossa, ispezionò nuovamente il campo di Entebbe. In quell’occasione furono registrati 956 italiani (su una capacità totale del campo di 1250 persone). In generale, il sopralluogo confermò il giudizio precedente, in pratica l’unica palese differenza era l’ampliamento del campo, dovuto alla costruzione di una nuova zona il “cage”, al quale lavoravano diverse decine di internati. In base al rapporto della Croce Rossa, la nuova sezione avrebbe dovuto ospitare 600 nuovi internati, che sarebbero vissuti in alloggi di tre stanze: due camere da letto, per due persone, e un soggiorno; le cucine, invece, erano esterne, come pure le docce e le latrine, giudicate sempre in numero sufficiente. Una nuova ispezione venne effettuata nell’agosto del 1943. Rispetto a qualche mese prima erano aumentate le persone, ora, infatti, gli effettivi erano saliti a 1130, di cui 950 italiani. Il giudizio sul campo non era, però, mutato e le condizioni di vita erano considerate buone, a parte qualche problema di singoli internati, come la mancanza di notizie delle famiglie. Spesso si ovviava all’impossibilità di comunicare con l’esterno, a causa della lontananza e della censura, coinvolgendo i rappresentanti del clero cristiano che prestavano la loro opera nei campi. Per le notizie raccolte appare evidente il ruolo giocato dai Padri cristiani, che fungevano da intermediari tra gli internati e le loro famiglie. In un rapporto del censore del 1943 è riferito un episodio risultato dal carteggio tra padre Hughes, delegato apostolico de Il Cairo, e il reverendo Angelo Negri, vicario apostolico dell’Equatorial Nile, presso la missione cattolica di Arua in Uganda. Secondo quanto riportato nel documento, i due facevano, infatti, parte di una rete che metteva in contatto gli italiani, civili, missionari, o prigionieri, residenti in Uganda e Kenya con le loro famiglie in Italia. Nella stessa occasione venne ripetuta la visita anche al campo 5, Bombo, che aveva visto modificati di poco i numeri degli internati: si passò da 116 a 128, e gli italiani da 32 a 27. Anche in questo caso il giudizio espresso alla fine dell’ispezione aveva confermato il precedente, la qualità della vita era, quindi, considerata buona. CORRISPONDENZE DA E PER ENTEBBE
Lettera spedita dall’Evacuato civile Spina Giuseppe E/13609 dall’Internment Camp N° 6 Uganda e diretta alla Sig.ra Grazia Spina, residente in Via Duca degli Abruzzi n° 38 - Ionia Marina in provincia di Catania. Fonte: Gustavo Cavallini | ||||||||||||||