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La posta dei prigionieri di guerra

I DIMENTICATI
(prigionieri di tutti)

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BANGALORE
il campo e la corrispondenza

Gustavo Cavallini

Bangalore, ufficialmente Bengaluru è una suddivisione dell'India, classificata come municipal corporation, di 8.425.970 abitanti, capoluogo del distretto urbano di Bangalore, del distretto rurale di Bangalore e della divisione di Bangalore, nello stato federato del Karnataka di cui è la capitale e la città più grande. In base al numero di abitanti la città rientra nella classe I (da 100.000 persone in su).

Aldilà delle notizie di carattere geografico, per gli italiani Bangalore è tristemente famosa per aver ospitato un campo di concentramento, mentre da un punto di vista storico-militare è famosa per il siluro che porta il nome della città.

Il siluro Bangalore è un congegno esplosivo di forma cilindrica montata all'estremità di un tubo allungabile, utile per provocare un'esplosione a distanza, specie in caso di attacco sotto il tiro del nemico.

Un Bangalore esposto al museo Batey ha-Osef di Tel Aviv, Israele (da Wikipedia)

Viene chiamato anche mina bangalore, o bangers o semplicemente bangalore, ed è usato per aprire varchi lunghi fino a 15 metri e larghi 1 metro nei campi minati o nel filo spinato.
Fu ideato nel 1912 dal capitano McClintock, dell'Armata del Regno Unito in India, che lo impiegò nel 1914 nel Madras Engineer Group impegnato nella città indiana di Bangalore.
L'ufficiale ideò questo tipo di arma esplosiva per operare a diversi metri di distanza al fine di consentire lo sgombero del terreno da trappole e ostruzioni di barricata residuo della seconda guerra boera e della guerra russo-giapponese.


Ritornando alle storie del campo, di particolare interesse è il diario di Nicola Santecchia, di cui riporto alcuni estratti.

Gennaio 1941 - 1946

Reduci dalla strenua difesa di Bardia (Africa Settentrionale Italiana), protrattasi dal 16 dicembre 1940 al 3 gennaio 1941, ove caddero prigionieri degli Inglesi 40.000 soldati italiani, fummo raccolti, smistati e imbarcati a Suez, diretti in India. Bombay, dove giungemmo, era una grande città. Nel porto era schierato un reggimento di soldati indiani dell’esercito inglese, essi fecero ala lungo l'ampio viale che conduceva alla stazione ferroviaria, per evitare che qualcuno di noi, nella confusione, se la svignasse. Fummo riforniti con un tascapane ciascuno contenente varie scatolette di carne, tonno, prugne, datteri, uva passita e fichi secchi. Ci fecero poi salire su di una tradotta militare a carbone molto lenta, diretta al campo di concentramento di Bangalore. Siamo arrivati al campo di prigionia n. 11 Wing 4 di Bangalore, con diversi campi vicini contenevano circa 1.400 - 1.500 soldati ciascuno. La mia matricola di prigioniero di guerra è n. 126968. Il comandante, un capitano inglese d'origine maltese, era cattolico e parlava bene l’italiano, ma era prevenuto nei nostri confronti. “Voi Italiani non fate i furbi anche qui, perché qualcuno potrebbe buscarsi una fucilata”

All’ospedale

Dopo poco tempo dall’arrivo, contrassi l’itterizia; ero diventato completamente giallo come una zucca, compresi occhi ed unghie e quindi fui ricoverato ad un ospedale civile di Bangalore. Il mio amico Pierino, in seguito, mi raccontò come si svolsero i fatti. «Dopo alcuni giorni che eri all’ospedale i medici ritenevano seria la tua malattia tanto che si presentò al campo un ufficiale chiedendo: “Chi è parente di Nicola Santecchia? Chi è di Colmurano di Macerata?” Risposi che ero dello stesso paese, ma non parente, allora l’ufficiale mi fece accompagnare all’ospedale al tuo capezzale ove sembravi morente, infatti mi dicesti: “Salutami la mia famiglia, io non ritornerò più in Italia morirò qui!”. Ma non morii, dopo un mese ero di nuovo al campo.

Al campo

….. I reticolati del campo di prigionia erano alti 3 - 4 metri con sulla sommità il filo spinato, di giorno ci si poteva avvicinare, ma di notte erano accesi i riflettori ed era proibito. Le sentinelle che vigilavano il perimetro esterno erano indiane, indossavano un casco coloniale bianco e la loro paga era di circa venti Rupie al mese, mentre gli altri militari erano Inglesi. Tra gli Indiani serpeggiavano già sentimenti di ribellione anti inglese, li abbiamo sentiti dire: "Presto raggiungeremo l'indipendenza dalla Gran Bretagna". In seguito Pierino mi ha raccontato che, negli ultimi anni di prigionia, giunsero dei soldati indiani impegnati sul fronte italiano e richiamati in patria per far servizio nei campi di prigionia. Queste guardie avevano imparato un po’ d’italiano e ne approfittavano in modo per nulla elegante mostrando delle foto che si erano fatti in Italia con delle ragazze e dicendo beffardi: «Questa è tua sorella, tua moglie, ecc…. vedi !»……Due volte al giorno dovevamo fare adunata per essere contati in uno spiazzale detto anticampo, alla presenza del comandante del campo e di alcuni sottufficiali dell’esercito britannico chiamati quarter’master (sergenti di acquartieramento). Spesso accadeva che si sbagliavano a contare, eravamo così costretti a stare tre o quattro ore sotto il sole che picchiava. Per evitare di prendere insolazioni, ci avevano dato in dotazione dei caschi di colore chiaro leggeri e freschi fatti con le foglie della pianta di banana. Il rancio comprendeva farinaccio fatto con farina di riso, orzo e grano; anche i maiali italiani mangiavano qualcosa di simile!. Per i pasti usavamo i piatti, un giorno mentre avevo ritirato la mia porzione di farinaccio con un bel pezzo di bollito e stavo apprestandomi a mangiare, una cornacchia scese fulminea in picchiata dal cielo, mi rubò la carne, rovesciò la minestra e mi lasciò senza pranzo. La domenica veniva nel campo un cappellano militare cattolico inglese per celebrare la Messa. Alfredo, calzolaio di professione, oltre a riparare le scarpe ai prigionieri, su richiesta tagliava anche i capelli. Inoltre cucendo degli asciugamani era riuscito anche a confezionare pantaloni, magliette, mutande ed altra biancheria. Una volta fece un paio di scarpe numero 47 al tenente Mocchegiani di Tolentino. Per gli acquisti all’interno del campo di prigionia erano usate delle apposite banconote con valore in Rupie indiane, non spendibili all’esterno, ogni Rupia indiana era divisa in 16 Annas.

I CANCELLI SI APRONO PER CHI VUOLE COOPERARE pag. 82 segg.

“I prigionieri italiani che scelsero di cooperare, per ritornare da Yol a Bangalore, percorsero in autocarro una tra le più grandi strade dell’India di allora. Era molto larga, con la pavimentazione in cemento, fiancheggiata da alberi di tamarindo che ospitavano numerose scimmie. La squadra di Nicola era composta di 30 uomini; era addetta al montaggio dei pali e dei fili, ed aveva in dotazione un autocarro. Il capitano aveva un’autovettura e il tenente una motocicletta. Il lavoro consisteva nella costruzione di una linea telefonica parallela alla ferrovia, che da Bangalore conduceva a Madras, ma successivamente furono costruite anche altre linee verso Nuova Delhi. Erano alloggiati in tende da quattro posti, che venivano spostate una volta al mese in direzione della linea telefonica in costruzione. Siccome le zanzare erano fameliche, ognuno aveva una propria zanzariera, perché senza di essa era impossibile dormire. Una grande tenda con la cucina da campo era adibita a locale mensa, dove c’era anche una radio ricevente e grazie ad essa si potevano ascoltare i comunicati e le notizie. L’attività iniziava alle ore sette e terminava alle dodici; il pomeriggio non si lavorava a causa dell’elevata temperatura che raggiungeva anche i cinquanta gradi all’ombra. La paga era di circa 8/9 rupie il mese: una rupia indiana valeva circa cinque lire italiane.
Per salire sui pali di legno e collegare i fili si usavano dei ramponi metallici; per tirare i fili impiegavano un piccolo argano a mano. Lungo la strada ferrata transitavano spesso convogli ferroviari composti di numerosi vagoni; le locomotive andavano a carbone. Le buche nel terreno erano scavate da operai indiani, che sebbene percepissero la stessa paga dei prigionieri italiani, non si distinguevano certo per produttività. Nicola mi raccontava, sorridendo che un indiano, per scavare una semplice buca, impiegava molte ore! Ogni tanto incontravano qualche serpente cobra, pronto ad ergersi e mordere chi gli capitava a tiro. Nicola girava alla larga perché sapeva benissimo quanto fosse letale il morso del cobra. Un soldato certo Proietti di Roma, andava spesso a caccia di questi serpenti; era talmente abile che riusciva ad ucciderli con un bastone, senza farsi mordere.
Il pomeriggio i lavoratori si riposavano ed ascoltavano la radio britannica BBC per apprendere notizie sulla guerra. Grazie alla radio ed ai documentari informativi (simili ai film Luce) che erano proiettati nelle sale cinematografiche, riuscirono a conoscere gran parte degli avvenimenti che accadevano nel mondo in quel tormentato periodo. Nicola, come gli altri, era interessato a sapere le notizie di ciò che accadeva fuori dall’India. Delle notizie che i giapponesi si erano avvicinati ai confini dell’India, vale a dire che avevano occupato la Birmania e Singapore ne venne a conoscenza solo in seguito. Gli inglesi, per motivi di sicurezza, non avevano ritenuto opportuno divulgare, quelle notizie per evitare sommosse e rivolte nei campi di prigionia (nota del sito: in Italia si chiamava propaganda).
II militari inglesi che avevano combattuto contro i giapponesi, raccontavano che i soldati del Sol Levante piuttosto che farsi prendere prigionieri, preferivano suicidarsi, infilandosi la sciabola nella pancia facendo il cosiddetto harakiri. Di conseguenza i campi di prigionia indiani destinati ai giapponesi erano deserti.
Quando gli addetti alla costruzione delle linee telefoniche si trovavano vicino a qualche città, come Bangalore, Davangere, Indupur, approfittavano per recarsi al cinema o a gustare della birra o del tè in qualche locale. La birra era la bevanda più apprezzata dagli inglesi, una parte di essa era prodotta in loco. Nicola notò numerosi campi coltivati a orzo, però di una varietà dal colore più scuro di quello italiano. C’erano grandi risaie e la semina avveniva prima che arrivassero i monsoni, così poi con le piogge le risaie si allagavano naturalmente. In India c’erano vaste piantagioni di banane, di ananas, di canne da zucchero, di palme da datteri e di noci di cocco. Nelle praterie pascolavano mandrie di bufali dal mantello scuro, i quali non trascuravano nemmeno una pozzanghera d’acqua, per rotolarci dentro e trovare così un po’ di refrigerio all’afa e togliersi dalla pelle i parassiti. I bufali venivano utilizzati anche per l’aratura.”

Fonte:
www.wikipedia.org
https://digilander.libero.it/frontedeserto/diari/santecchiaindia.htm
https://italianprisonersofwar.com/tag/italian-pows-tobruk/

 

CORRISPONDENZA DA BANGALORE

Questa cartolina è stata spedita dal prigioniero 140893, il Caporale Giallanza Franco dal Campo 6, presumibilmente il 24 agosto 1944 e indirizzata a Naso (?) in Provincia di Messina. È priva del bollo in arrivo.

Cari Genitori ieri ho ricevuto dal vostre lettere
che portano la data di maggio e non potete immagi_
nare la gioia che ho provato dopo una lunga attesa
rilevo il vostro ottimo stare di saluti come
meglio vi posso assicurare di me. Affettuosamente
vi bacio tutti Vostro figlio Franco
(fonte cartolina: www.ebay.com)

Cartoline spedita il 15-03-1944, dal Cap. Magg. Cardi Ermanno e diretta al padre a San Giovanni Valdarno (Arezzo) - Campo 1/6 di Bangalore (India) -
(Collezione Roberto Monticini)


Gustavo Cavallini
08-08-2022