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LA SENTENZA DEL 22 FEBBRAIO


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Caccia alle Streghe: è questa la ricompensa per preservare e migliorare il patrimonio culturale italiano?

di Danilo BOGONI
(Articolo Pubblicato su Fil-Italia the official journal of THE ITALY & COLONIES STUDY - Volume XLIII, no. 3 Summer 2017)

 

Non sempre (pare) il male vien per nuocere. Questo, quantomeno, il parere di Giulio Filippo Bolaffi (e, seppur più riflessivo) degli avvocati Laura Solaro e Giuseppe Terrasi commentando per l’Arte del francobollo, la sentenza depositata in cancelleria del Tribunale di Torino a cura del Giudice Roberto Arata che ha condannato un commerciante di francobolli di Rivoli (Torino), sequestrando lo stock in suo possesso. Di più. Nella stessa sentenza viene specificato che: ”la procedura di scarto (operazione con cui vengono eliminati quei documenti che hanno esaurito la loro validità giuridica o amministrativa e che, allo stesso tempo, non sono considerati di rilevanza storica tale da renderne opportuna la conservazione illimitata, n.d.r) non legittima la libera commercializzazione dei beni scartati, ma al contrario i documenti scartati all’esito della procedura devono essere distrutti”.

La sentenza, che discende dal Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42 che ha stabilito il principio che i documenti appartenenti a un ente pubblico - Stato, regioni, enti territoriali, enti o istituti pubblici, compresi enti dell’Italia preunitaria – sono “beni culturali inalienabili”, non sembra aver tenuto conto della circolare dell’11 ottobre 2013 con la quale il ministro del Beni e delle attività culturali e del turismo pensava di aver definitivamente i dubbi nel frattempo scaturiti. Nel testo si legge “…con riferimento alle semplici buste, indirizzate a soggetti pubblici e utilizzate per la mera trasmissione di documenti in esse inclusi, non possa presumersi in via generale l’appartenenza al demanio pubblico. Ciò in quanto appare ravvisabile – viceversa – un generalizzato uso contrario, ossia consistente nella non inclusione ab origine della busta nel fascicolo d’archivio”.

Perciò “per buste” non possono che intendersi i meri involucri, corredati o non di francobollo recanti l’indirizzo dell’amministrazione pubblica destinataria ed eventualmente del mittente, e destinati solo e unicamente allo scopo (strumentale) di contenere il documento con essi trasmesso. E’ da escludere, in altri termini, che nella nozione di ‘busta’, ai fini suddetti, possa rientrare il documento che risulti essere stato esso stesso spesso ripiegato e sigillato al fine di apporvi sul lato esterno l’indirizzo del destinatario, poiché è evidente – senza che abbisognino ulteriori spiegazioni – che in tale ipotesi si è in presenza di un ordinario documento”.

Come già in passate occasione è immediatamente intervenuto il senatore Carlo Giovanardi, presidente del gruppo parlamentari amici della filatelia. Nel corso di un documentato e appassionato intervento in Senato ha ricordato come fin dall’inizio del Regno d’Italia, attraverso leggi dello Stato italiano e circolari vincolanti dei Ministeri, vennero destinati allo spoglio tonnellate di carte provenienti da enti e archivi pubblici, fra cui decine di milioni di buste e lettere che venivano ritenute di nessun interesse. Queste carte degli spogli venivano vendute a quintali o a tonnellate e venivano destinate al macero o venivano consegnate alla Croce Rossa, che ne propagandò in maniera efficace e capillare la vendita ai privati, per poter meglio operare nel campo della carità e della beneficenza”.

Ciò nonostante alcune Soprintendenze ritengono “che tutto quello che negli ultimi secoli è stato indirizzato a Comuni, Province, tribunali e parrocchie faccia parte del Demanio dello Stato” mettendo in moto denunce penali e sequestri di materiale, per incitazione a incauto acquisto, nei confronti di tutti quelli che sono in possesso di qualcuna delle decine di milioni di documenti postali che sono stati legittimamente comprati (parlo di materiale del valore di 2, 4 o 10 euro) negli ultimi centocinquant’anni dai collezionisti e dai loro progenitori nelle bancarelle, nelle aste, durante i convegni filatelici, eccetera.

Addirittura, la Soprintendenza di Cosenza ha sequestrati 10.000 lettere, con la motivazione che, avendo più di cinquant’anni, pur essendo state inviate da militari al fronte della Prima e della Seconda guerra mondiale ai loro familiari (fra la Prima e la Seconda guerra mondiale sono state inviate da cinque ai sei miliardi di lettere e cartoline, tre milioni e mezzo al giorno), esse hanno interesse storico. Il detentore è stato condannato e purtroppo la pena, così la sentenza è passata in giudicato. Sapete dove sono adesso quegli scatoloni? “Sono – rivela Giovanardi – negli scantinati,

E una parte non si sa neanche dove sia. Dove volete che finisca questa roba? Dove finiscono questi milioni di carte? Chi ha i soldi per archiviarle? Ogni anno lo Stato spende 19 milioni di euro solo di affitti per tenere dentro questi enormi magazzini milioni di carte. Attualmente sono nei magazzini perché nessuno ha le risorse, neanche per gestire le cose belle”. Nel frattempo si corre dietro alla singola lettera. Tenendo impegnati “carabinieri, magistrati, primo grado, secondo grado e tutti gli archivi per bloccare la passione, un hobby, il più popolare che ci sia e coinvolge milioni di persone”.

Il parlamentare modenese non ha mancato di rivolgersi direttamente anche al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, chiedendo un suo urgente intervento per evitare “perquisizioni, sequestri e procedimenti penali ai quali, sulla base della sentenza di Torino, può essere sottoposto chiunque possegga una collezione di storia postale” e lamentandosi del fatto che, secondo questa sentenza, “sarebbero i collezionisti a dover allegare ad ogni lettera, comprata magari dal padre o dal nonno, un certificato che ne attesti lo spoglio. In un’Italia dove ci sono scarse risorse per potenziare e valorizzare il più grande patrimonio artistico e culturale del mondo, vengono così mobilitati: sovrintendenze, carabinieri, magistrati per riempire i sottoscala di tonnellate e tonnellate di carta destinata a marcire, mentre si mette in ginocchio un mercato con decine di case d’asta, centinaia di commercianti, migliaia di circoli filatelici e migliaia di collezionisti la cui passione e competenza ha salvato storicamente dal macero documenti dal valore di pochi euro, ma che sono stati conservati con grande cura e diligenza”.

[Commento dell’editor di Fil-Italia: pochi sono ormai coloro che sanno che durante la Prima Guerra Mondiale tonnellate di documenti provenienti da archivi furono tritati e macerati in liquido combustibile per fare miliardi di scalda-rancio usati per scaldare il cibo contenuto nelle gavette dei nostri soldati al fronte.)

 

Nella più volte citata sentenza di Torino, Giulio Filippo Bolaffi vede un lato positivo in quanto ha “finalmente avviato un iter che la porterà a nuova sentenza. Se infatti il giudice ha pedissequamente
accettato le tesi proposte dall’accusa – la puntigliosa penna del funzionario della sovrintendenza archivistica di turno – nella sostanza si è trattato di un bell’esercizio di stile e nulla di più. Infatti, in materia penale, il passaggio giuridico cruciale è quello che decide se condannare o prosciogliere l’imputato.

In virtù della prescrizione, tutti i reati contestati e di interesse per il mondo del nostro collezionismo sono decaduti. E il giudice, sapendo che quei capi d’accusa sarebbero decaduti ai termini di legge, non li ha approfonditi. L’unico reato contestato ancora non soggetto a prescrizione riguardava invece l’omissione della denuncia per l’esportazione dei beni, ma era inconfutabile e infatti il giudice l’ha correttamente analizzato e interpretato, attribuendone la responsabilità penale a carico dell’imputato”.

In appello, questo il risvolto positivo della vicenda, “non sarà più un giudice monocratico, ma un collegio giudicante ad analizzare con maggiore attenzione tutti i capi di imputazione, inclusi quelli decaduti a cui i collezionisti sono molto sensibili. Potendo disporre di maggiore tempo – questa la conclusione di Giulio Filippo Bolaffi -, i membri del collegio della Corte d’appello potranno facilmente rilevare l’illogicità della situazione e l’arbitrarietà operativa di alcuni funzionari delle soprintendenze archivistiche e avranno la possibilità di creare un importante precedente, in attesa della formulazione di un nuovo provvedimento legislativo che dipani la questione e permetta di nuovo di collezionare liberamente quello che da sempre è oggetto di libero scambio”.

Da tener conto, poi, assicurano a loro volta gli avvocati Laura Solaro e Giuseppe Terrasi, che “il mercato filatelico, per dimensioni, importanza e connessioni, è un bene giuridico, a sua volta meritevole di tutela, e considerato che questa tutela deve comunque essere garantita dallo Stato, che ha interesse a che questo non diventi instabile, non sia turbato e non subisca condizionamenti o manipolazioni, e considerato infine che la stabilità del mercato filatelico è un bene giuridico che deve necessariamente essere bilanciato con gli altri beni giuridici interessati dalla sentenza in esame” si “ritiene auspicabile una revisione di questa in Corte d’appello”. Portando così chiarezza “nel settore del commercio filatelico che corre il rischio di essere ingiustamente turbato da un diffuso e indistinto timore di possedere o di aver acquistato francobolli incorporati su documenti illeciti”.

Tuttavia non ci sono soltanto condanne (poche) sequestri (frequenti) qua e là si registrano infatti delle assoluzioni. È stato infatti recentemente assolto (si è in attesa delle motivazioni del Giudice) Alberto Coda Canati, torinese, anche lui accusato di reato di ricettazione previsto dall’articolo 648 codice penale per aver acquistato o comunque ricevuto 54 documenti tra cui lettere e buste tutte risalenti ad una epoca preunitaria e che venivano ritenute dall’accusa (PM Andrea Padalino) inalienabili.


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