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LA SENTENZA DEL 22 FEBBRAIO


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Commento al DDL n. 2864

Avv. Andrea VALENTINOTTI

Da una prima lettura del Disegno di Legge approvato dalla Camera dei Deputati, sorgono dubbi e perplessità.
In primis, il DDL va considerato una sostanziale riforma del Codice Penale in materia di vendita, sottrazione, impossessamento, alienazione, traffico, danneggiamento, contraffazione, di beni culturali.
Purtroppo, a parere di chi scrive, si tratta di una riforma estremamente confusionaria, frammentata, e non organica che anziché risolvere dubbi, peggiora una situazione già da tempo critica ed incerta. Ma procediamo per gradi.
Il DDL aggiunge al codice penale il Titolo VIII bis, ossia la categoria “dei delitti contro il patrimonio culturale”, composto a sua volta da diciassette articoli. I primi (artt. 518 bis, ter, quater, quinqiues) introducono autonome fattispecie di reato per furti ed ogni forma di appropriazione contra legem di beni culturali (fattispecie di reato commesse al fine di trarne per sé profitto).
Il primo elemento di spicco di detti articoli, è la forbice tra minimo e massimo edittale previsto: si va da un minimo di un anno di reclusione fino ad un massimo di dodici anni (nel caso di furto di beni appartenenti allo Stato, se commesso da chi in precedenza avesse ottenuto concessione di ricerca). Tale ampia forbice porta necessariamente ad una sin troppa libertà di valutazione e discrezione da parte del Giudice, non essendovi all’interno degli articoli alcuna indicazione sugli elementi da tenere in considerazione ai fini della quantificazione della sanzione, nonché alla soglia di punibilità (ad esempio valore storico o economico del bene). Altresì reati con pene edittali così elevate, porterebbero, presumibilmente, all’esclusione della causa di non punibilità per tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.
Entrando nel merito, il legislatore nulla dice circa la natura giuridica di bene culturale. Vi è di più, in quanto nella riforma si fa riferimento a “beni culturali”, mentre in altri la pena è aggravata se i beni culturali sono “appartenenti allo Stato”. Ne consegue, sempre a parere di chi scrive, una grande confusione. Conseguentemente, i beni culturali possono essere tali anche se non appartenenti allo Stato e quindi appartenenti a privati? Il Codice dei Beni Culturali introdotto nel 2004 (ancora vigente) all’art. 10 indica che “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”.
Quindi, il Codice dei Beni Culturali considera beni culturali sono quelli appartenenti allo Stato, con l’eccezione di alcuni enti con particolari interessi, in via eccezionale. Il legislatore invece ora sembra andare in direzione opposta, allargando il confine tracciato nel 2004; così fosse, ci si troverebbe dinnanzi ad orientamenti ed interpretazioni troppo liberi, senza una definizione chiara ed esaustiva su cosa i collezionisti, commercianti, organi della P.A. debbano intendere per bene culturale.
L’ultimo articolo (518 sexies), può essere definito una fattispecie residuale di chiusura, in quanto punisce chi, per qualsiasi scopo detiene beni culturali. La presenza di questo articolo fa riflettere sull’intenzione del legislatore di sanzionare ogni sorta di possesso di beni culturali senza presunto titolo.

Il DDL prosegue introducendo gli artt. 518 septies, octies, i quali disciplinano attività connesse alla vendita ed alienazione dei beni culturali. Tali norme quindi si rivolgerebbero non solo a soggetti che ricoprono attività di compravendita commerciale, ma anche a chi “aliena” per qualsiasi ragione beni considerati culturali.
L’art. 518 octies in chiusura prevede un aumento di pena se i fatti sono commessi da chi è commerciante professionista. La presenza di questa circostanza aggravante lascia intendere ancora una volta che il legislatore abbia voluto in ogni punto della riforma “usare la mano pesante”, sanzionando ogni soggetto, a prescindere dall’occasionalità del fatto.

Infine, l’art. 518 septiesdecies prevede la confisca obbligatoria a seguito della sentenza di condanna (anche in caso di patteggiamento), confisca che ha come oggetto le cose “che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che costituiscono il prodotto, profitto, o il prezzo”.
Per fare un esempio pratico, potrebbe essere oggetto di confisca il computer utilizzato per vendere tramite e-commerce un bene giudicato culturale, oltre che il bene stesso.

Cosa cambierà quindi se il DDL verrà approvato in via definitiva?
La situazione già ora drammatica del mercato filatelico potrebbe subire un ulteriore peggioramento, in quanto questa riforma è ancora più imprecisa rispetto a quella del 2004. Cosa sia un bene culturale, il legislatore non ce lo spiega; chi debba valutare se un bene possa essere definito culturale, la legge tace. Con questa riforma chiunque detiene un bene potrebbe essere accusato da una qualsiasi Sovrintendenza ed essere oggetto di indagine e successivamente di un processo penale, rischiando le pene severe sopra indicate, in particolare se egli è un commerciante professionista con regolare partita IVA.

Potrebbe essere auspicabile l’inserimento prima dell’approvazione definitiva di una sorta di “sanatoria” sui beni filatelici sino ad oggi in commercio e che si faccia riferimento solamente a quei beni trafugati e sottratti con relativa e specifica denuncia precedente ai ritrovamenti dei beni contestati. Questo anche in ragione del fatto che non è da escludersi che la riforma vada applicata retroattivamente, e cioè a fatti pregressi al momento dell’entrata in vigore della nuova legge, qualora il Senato dovesse approvarla.
Ciò si verificherebbe nell’ipotesi di cui all’art. 518 sexies (illecita detenzione di beni culturali), poiché, trattandosi di reato permanente, chi si trovasse già in possesso di beni giudicati culturali da incalcolabile tempo, al momento dell’entrata in vigore della riforma sarebbe sanzionabile ai sensi del citato articolo.

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