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Una visita interessante al Poligrafico dello Stato

di Giuseppe PREZIOSI (L'Occhio di Arechi n. 55 - ASFN)

Danilo Bogoni, presidente dell’U.S.F.I., come ha già fatto in passato, è riuscito, dopo numerosi tentativi, tenuto conto dei frequenti cambi ai vertici, ad organizzare una visita guidata al Centro d’arte filatelico e al Polo produttivo Salario dell’Istituto Poligrafico dello Stato. L’incontro è stato programmato per le 10,30 di martedì 20 maggio di quest’anno, una radiosa e calda giornata (una delle prime) di questa tardiva primavera.
L’organizzazione è stata particolarmente laboriosa considerati gli standard di riservatezza e sicurezza che caratterizzano le visite allo stabilimento che è, come ben pochi dei miei amici soci sapranno, solo uno dei plessi che fanno parte del polo produttivo che è, a sua volta, solo una delle sedi dell’Istituto (anche la visita al sito web dell’I.P.Z.S. è estremamente interessante). Quello visitato da noi era al 691 della Via Salaria, ma la nuova sede ufficiale del Poligrafico è al 1027 anche se, a seguire le indicazioni di Google Maps, quest’ultimo numero è posizionato in punti diversi lungo la strada, allontanandosi comunque sempre più dalla città fino al G.R.A. ed oltre, verso Rieti. Al 691, comunque, è concentrata la produzione delle carte valori (in pratica dei francobolli, dopo la rarefazione degli altri valori bollati). Il 1027, invece, oltre ad essere la sede della direzione, è anche il luogo dove si stampa la Gazzetta Ufficiale ed altre carte dello Stato. Ufficialmente, in nessun luogo si stampano gli Euro serie S, anche perché ben difficilmente è consentita una visita a quella sezione del Poligrafico. Ci dobbiamo contentare delle immagini, ormai abusate, che le varie reti televisive ci propinano nei telegiornali quando si tratta di economia.
Altrove, poi, in Via Gino Capponi 47/49 è dislocata la produzione della Zecca, mentre la libreria dello Stato è rimasta alla vecchia sede di Piazza Giuseppe Verdi, 1 e l’ufficio vendita delle monete e delle medaglie è nello stabilimento di Via Principe Umberto, 4, lo stesso palazzo in cui ha sede la prestigiosa Scuola dell’arte e della medaglia. E certamente, sparpagliati nella periferia romana, vi saranno altri depositi e uffici decentrati. Un’industria che occupa tra i 1800 e i 2000 dipendenti, senza contare l’indotto e la storica cartiera di Foggia. Una piccola frazione dei quasi 8000 che furono impiegati nella produzione. Segno dei tempi: l’informatizzazione, la meccanizzazione della produzione, la crisi e la riduzione del personale, l’esternalizzazione della fabbricazione di materiale non strategico e demandabile ad una qualunque tipografia, la perdita di fette di mercato, conseguenza del voler mantenere degli standard qualitativi sempre alti e quindi più costosi, tutto ha concorso allo snellimento occupazionale dell’Azienda che resta però una delle eccellenze produttive italiane, specie quando si lancia in produzioni virtuosistiche d’arte.
All’appuntamento, all’ingresso del 691, erano comunque presenti quasi tutti i 17 prenotati (forse 3 gli assenti). L’U.S.F.I. aveva lanciato il primo invito in rete quasi due mesi prima e già tra il 6 e il 9 marzo era previsto l’inoltro delle copie dei documenti di identità indispensabili per poter accedere alla struttura e per consentire la preparazione degli elenchi. Verso la fine di aprile il Presidente ha confermato ai richiedenti l’accettazione della prenotazione ed ha inviato il programma di massima della visita (e meno male che in tale occasione è stato precisato che essa si sarebbe svolta all’Officina Carte Valori e Centro filatelico di Via Salaria 691 perché quest’indirizzo è uno di quelli che non figura tra le sedi ufficiali del Poligrafico).

Tutti hanno tenuto da conto le raccomandazioni sulla puntualità (qualcuno come me e la mia metà è giunto addirittura un’ora prima) e quindi eccoci tutti lì: Bogoni, Bonacina, Cacciapuoti, Manelli, Monticini, Pigini, Ferrara, Vignati, i Preziosi, etc. pronti ad essere identificati e ad iniziare la visita. Ma al Poligrafico la procedura è piuttosto complessa perciò, con l’identificazione (duplice), via i cellulari e via borse e borsette, tutto preso gentilmente in custodia dai finanzieri di guardia e dalla vigilanza e, ovviamente, niente foto all’interno dello Stabilimento. Ad attenderci, però, quasi tutti i funzionari della sede: Luca Vangelli (a capo del Centro filatelico), gli ingegneri Ghisa e Vigezzi, il chimico, capo produzione, Moretti, l’ingegnere Ceccarelli ma, in realtà, curiosa attenzione e cordialità da parte di tutto il personale.

Il numero contenuto ci ha permesso di effettuare la visita in un unico gruppo e si è cominciato, ovviamente, dall’ideazione e dalla progettazione dei francobolli, ovvero dal Centro filatelico. Luca Vangelli, figlio del grande Emidio che diresse il Centro prima di lui, ci ha guidato nell’area riservata agli artisti (disegnatori, bozzettisti e incisori). Uno spazio piuttosto sacrificato e provvisorio dopo l’abbandono della ben più prestigiosa sede di Piazza Verdi che aveva ospitato il Centro dalla sua fondazione. Distribuite in quattro stanze su otto postazioni, le artiste (7 su 8), intente al loro lavoro, sono state ben liete di mostrare la produzione più recente. Maria Rosaria Fantini (che ho poi saputo essere un’atleta nella corsa della FIDAL, per il CRAL del Poligrafico) aveva in evidenza sullo schermo del computer (non potendo mostrare bozzetti non ancora approvati e stampati) l’immagine del Ponte di Tiberio in Rimini nella versione da € 0,70 (è poi stato emesso col taglio da € 1,90).
Il valore dovrebbe essere considerato calcografico ma della calcografia tradizionale non è rimasto nulla. Il vecchio bulino, che creava una terza dimensione mediante la profondità dell’incisione, è stato sostituito dal computer e dal disegno tramite Adobe Illustrator, Photoshop, anche se nella versione più recente e aggiornata, e tavoletta grafica. Il tratto appare come inciso, con i chiaroscuri ottenuti mediante la larghezza, l’inclinazione, la rarefazione del tratto. L’abilità del disegnatore – incisore consiste nel dosaggio dello spessore delle linee, ma ciò ha comportato che la figura del disegnatore e dell’incisore si sono sovrapposte senza voler con ciò sminuire la bravura di nessuno, poiché la Scuola dell’arte e della medaglia da cui provengono gli artisti del Poligrafico fornisce un’ottima preparazione in disegno come in incisione. Ovviamente anche i bozzetti rotocalcografici sono realizzati al computer e la Fantini mostrò, ad esempio, le diverse versioni dell’impronta per la busta in commemorazione di Arcangelo Corelli emessa nel 2013. Spiegò anche il diverso stile nel tipo di tratto usato per un bozzetto quale il Ponte di Tiberio o la Cattedrale di Nardò (in cui era distinguibile un disegno di base fatto di linee rette e curve) e nell’altro di cui si era servita per il bozzetto del Boccaccio. In un’altra postazione della stessa stanza Maria Carmela Perrini aveva davanti a sé il bozzetto delle Questure d’Italia e quello, più recente, e prima emissione del 2014, del Concistoro. In un altro locale, insieme al Vangelli, era al lavoro Antonio o Antonello Ciaburro, disegnatore, ma soprattutto incisore di francobolli pluripremiati tra cui i due del 2007 dedicati al Ponte di Rialto e a Canova. Dello stesso non possono non essere ricordati molti valori disegnati o incisi della serie Donne nell’arte (1 euro cent, 1000 lire, € 0,70, 0,85 e 0,90) o quello da € 0,52 per Meucci o l’altro, bellissimo, realizzato in offset e calcografia per Macrino d’Alba. Dinanzi a sé, oltre a un foglio di prova di incisioni (che l’amico Manelli esaminò con il contafili) e un set di colori a olio, vi era il suo ultimo lavoro: il David di Michelangelo emesso il 23 marzo scorso in 2.000.000 di esemplari (ma suoi saranno anche due dei “turistici”). Tra gli altri artisti presenti: Anna Maria Maresca (foglietto per le fonti di energia rinnovabile del 21 marzo) e Cristina Bruscaglia (Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II del 24 aprile, ma anche Giovanni Paolo I del 2012, I.S.P.I., Martino Martini e i due Posteurop in distribuzione dal 9 maggio). L’aria di provvisorietà era invece data dalle attrezzature nei corridoi (tra cui stampanti a colori Epson per carta formato A3) e dagli scatoloni per computer di ultima generazione Intel – Dell.
Purtroppo non è stato possibile conoscere almeno altri due o tre artisti presenti perché forte era l’urgenza di proseguire la visita passando, a piano terra, nel Centro per la realizzazione dei cilindri di stampa, il Ctip. I cilindri, sorta di grossi matterelli di acciaio incamiciato con rame, decisamente pesanti anche se di un diametro di poco superiore ai 10 centimetri, vengono realizzati totalmente nell’Istituto tramite opportuni torni e altre attrezzature collegate a computer e su essi vengono trasferiti i bozzetti approvati e provenienti dal Centro d’arte. Almeno per quanto riguarda il rotocalco, come tutti sanno, vengono realizzati più cilindri (dai quattro ai sei) in relazione al numero dei colori e la loro realizzazione avviene con una selezione automatica. Salvo casi imprevedibili di “scamiciatura” (rottura e slittamento del rame sull’acciaio sottostante), una serie di cilindri è sufficiente a stampare l’intera tiratura di un valore commemorativo (50.000 – 70.000 fogli secondo le dimensioni del valore). La dimensione dei fogli, ormai standard (circa 30 x 33 cm), determina perciò la dimensione dei cilindri (60 cm dell’asse x 34 cm di superficie utile per la stampa, ed ecco spiegati i 10 – 11 centimetri di diametro). Insieme ad una parte dell’immagine, con il nero (raramente con il blu se il nero non è presente), vengono realizzate anche la scritta lungo un bordo e il codice a barre univoco per ciascun valore che noi collezionisti ben conosciamo. Il codice alfanumerico del foglio viene, invece, inserito a parte come meglio spiegheremo in seguito. Per i francobolli calcografici i cilindri sono di dimensione diversa (anche se personalmente non ne ho visti). Da parte di molti dei presenti si sono poste sia domande tecniche (ad esempio sui retini che non vengono più utilizzati mentre, in sostituzione, si generano delle “catenelle” di quadratini più o meno “profondi” che si presentano come i contenitori dei detersivi per lavastoviglie) sia gestionali (significato delle lettere per il codice alfanumerico o possibilità di “ristampe” diverse per una stessa emissione). Per queste ultime domande la riservatezza dei dirigenti ha impedito di ottenere una parola definitiva su alcune ipotesi. È stato solo confermato che la prima lettera del codice alfanumerico è riferita all’anno di produzione (A per il 2003, L per il 2014), la seconda (A o B) alla macchina, che anche per la calcografia si potevano stampare più colori con più cilindri (ad esempio i valori ordinari che sono realizzati con tre colori calcografici più uno in offset e la maggiore dimensione di stampa dei fogli spiegherebbe il maggior diametro dei cilindri) e che la tiratura poteva essere realizzata in più fasi. A microfoni spenti, come si direbbe in gergo televisivo, è stato lasciato intendere che ciò poteva avvenire addirittura in anni diversi (ed ecco spiegato ad esempio il caso “Baveno” e “Manifesto ENIT” della turistica 2012) cosa che accade normalmente per i francobolli ordinari. Tra le cause di questa spezzettatura è stato indicato il susseguirsi incalzante delle emissioni e i tempi ristretti tra la “comunicazione” e la “realizzazione”. In ogni caso è stato ufficialmente confermato che al completamento della tiratura prevista (qualunque essa fosse stata) il o i cilindri venivano biffati, ossia smerigliati, levigati, reincamiciati e quindi approntati per una nuova incisione. Al momento della nostra visita alcune maestranze stavano “lavorando” i cilindri per il valore di Olbia della serie turistica per il quale era stata realizzata una provaccia su carta semilucida (non adesiva e non su supporto) che serviva da traccia e da controllo. Il gruppo, giunto in fondo al salone dei cilindri, è ritornato indietro attraverso un corridoio realizzato mediante alcuni grossi contenitori in pvc bianco contenenti acido solforico puro, diluito al 3% ed altri prodotti chimici, sino a passare attraverso un disimpegno che immetteva in un locale ancora più vasto in cui erano collocate le due rotative Goebel brm a 6 colori una delle quali era in funzione.
Appena entrati, però, facevano bella mostra di sé due grandi armadi di ferro a grata, chiusi a chiave, che contenevano circa cinquanta fustini di colore per stampa da 10 litri ciascuno dell’americana Sun Chemical, una multinazionale del settore (gruppo DIC) che ha assorbito la Cometa, un’industria di vernici italiana già fornitrice del Poligrafico. Intorno al blocco finale della macchina che si presentava per primo, sei operai e un capotecnico erano intenti a raccogliere, cartonare e suggellare pacchi da 250 fogli del francobollo da € 0,70 celebrativo del “Giardino della Minerva” di Salerno in uscita il 23 maggio. Il lavoro procedeva alacre sotto la supervisione del chimico Moretti, attento a che la macchina funzionasse regolarmente. Quest’ultima si presentava veramente mastodontica: circa 15 metri di lunghezza per oltre 4 di altezza e circa altrettanti di larghezza. L’alimentazione era fornita da una bobina di carta doppio foglio, autoadesiva, di circa 1 metro di diametro che al nostro arrivo era già stata consumata per circa ¾. Una seconda bobina era già stata montata per subentrare alla prima appena questa si fosse esaurita (l’alternanza avviene automaticamente) e una terza era posizionata nei pressi. Ad una mia precisa domanda fu confermato che i fornitori della carta autoadesiva del peso complessivo di circa 180 g/mq erano almeno due e che quindi era possibile che il supporto siliconato fosse leggermente diverso e, in particolare, più o meno bianco. Alla carta dello stabilimento di Foggia di proprietà dello stesso Poligrafico, si affianca, infatti, quella del gruppo Fedrigoni che ha rilevato nel 2002 le antiche cartiere Miliani di Fabriano. La Goebel a sei colori, acquistata nel 2002, può essere suddivisa in blocchi operativi interdipendenti. A monte del blocco finale che “consegna” i 250 fogli in media in meno di 4 minuti e che, da solo, occupa circa 15 mq, vi è la macchina di stampa vera e propria. Il nastro di carta parte dalla bobina e viene trascinato in alto passando davanti a una testina a getto d’inchiostro (nero) che imprime innanzitutto il codice alfanumerico del foglio, quello corrispondente a barre e un quadratino nero di conferma. Malgrado la velocità non sia eccessiva (l’occhio riesce a seguire il passaggio) è comunque tale da generare il tremolio delle barrette del codice. Abbiamo anche avuto conferma diretta che, tenuto conto che si tratta di un numeratore avanzante elettromeccanicamente, quella parte della macchina è tra le più delicate e quindi soggetta a blocco. Il nastro, che dopo la numerazione dei fogli era stato trascinato verso il basso, risale per passare davanti al primo cilindro di colore del francobollo, nel caso nostro il cyan. Ogni blocco di cilindri (quello di rame più quello di caucciù, più l’asportatore di colore superfluo, più i rulli trainanti, più altre attrezzature) è largo circa un metro e mezzo e, oltre a tutto ciò che è necessario per lo scorrimento della carta, comprende un vano incassato di meno di un metro in cui è posizionata la vaschetta del colore (circa 10 litri sufficienti per l’intera emissione) con la spatola per rigirarlo alla messa in moto, le vaschette oleatrici e, volendo, ma non ce n’era nessuno, uno sgabello per permettere ad un operatore di sedersi e controllare il procedere del nastro. La possibilità è del tutto remota a causa del forte odore di solventi per vernici che si percepiva ovunque (a me piace a molti no e poi è anche tossico) e il rumore che, pur non essendo assordante, a lungo andare può provocare sordità. Il nastro di carta, riportato in alto, passava difronte al terzo elemento (e secondo cilindro) della macchina, nel nostro caso il magenta, seguiva quindi il giallo e al quinto passaggio era posizionato un cilindro per un “Pantone”, nel caso nostro il rosa carnicino della cornice tipica dei valori dedicati ai parchi. Mi fu spiegato che pur potendo generare quel colore per composizione si preferisce usare un colore preparato, appunto un “Pantone”, essendo libero un cilindro e ciò ha creato l’equivoco tra il termine “policromo” e “cinque” o “sei colori”. Per i tecnici del Poligrafico si tratta di semplici colori già composti e la policromia è solo una conseguenza della successiva miscelazione. L’ultimo passaggio avveniva davanti al cilindro del nero che completa sia l’immagine, sia i codici colori, i crocini di registro e le scritte lungo il bordo, sia il famoso codice a barre delle Poste che non interessa minimamente i tecnici del Poligrafico. Per loro, quel codice compete esclusivamente a Poste italiane per esigenze legate al programma di gestione del servizio, ipotesi che avevo già correttamente avanzato altrove. Ben altri erano i problemi che si trovavano ad affrontare i tecnici dell’area stampa del Poligrafico, esposti mentre ripercorrevamo i 15 metri del largo corridoio esistente tra la stampatrice e le macchine e i monitor di controllo (altri 15 metri per 1 per 2 di altezza). Innanzitutto la concentrazione della produzione del colore di stampa nelle mani di un solo produttore che, per praticare un prezzo decoroso, pretende acquisti per ciascun colore in quantitativi industriali, poi la riduzione e l’invecchiamento delle maestranze che, oltretutto, non possono essere sostituite, tenuto conto della specifica carenza di preparazione tra i giovani e l’impossibilità di poter formare questi ultimi. Il responsabile mi fece comprendere che quel tipo di produzione richiede competenza, spirito di sacrificio, molta passione e grosso senso di appartenenza, occorre cioè, anche e soprattutto, sentirsi parte di una struttura di eccellenza che fa una produzione di eccellenza, in un concetto occorre “passione per il proprio lavoro”. Vi sono poi i problemi legati alla riduzione della spesa, soprattutto (e ancora una volta) personale sottorganico e carenza di manutenzione il che provoca, tenuto conto della programmazione della macchina, scarti molto consistenti e maggior fatica nel controllo della produzione giornaliera e ciò senza considerare i tempi troppo ristretti per l’esecuzione del lavoro e la necessità si spezzettarlo. Mi confermò che in una giornata di lavoro, solo di stampa, poteva essere approntato circa ⅓ di una tiratura di francobolli di formato da 45 pezzi per foglio e meno di ¼ di una di valori in fogli da 28; che il Poligrafico non poteva intervenire nelle consegne a Poste Italiane (settore logistico) e ancor meno nella distribuzione; che il Poligrafico rispettava in pieno i quantitativi stabiliti dal MISE e che in qualsiasi fase di produzione le rotative potevano essere fermate e che, infine, secondo una tradizione ultrasecolare, il controllo dei quantitativi prodotti in una giornata e quindi del personale, era severissimo e preciso al foglio. Qualcuno chiese come avvenisse il controllo dei quantitativi prodotti giornalmente e fu risposto che per tutta la produzione in fogli il sistema era semplicissimo. Bastava controllare il numeratore all’avviamento della macchina e al fermo ottenendo così la produzione teorica giornaliera, moltiplicare per 250 il numero dei pacchi confezionati dopo la conta e sigillati, aggiungere il numero dei fogli di scarto e verificare che i due totali corrispondessero. Per i prodotti non numerati il metodo era ancora più semplice anche se simile: conta, impacchettamento, moltiplicazione a fine giornata, somma dello scarto e verifica finale confrontando il numeratore, sempre presente nelle macchine di stampa. Fu chiaramente spiegato che non era possibile in alcun modo aggirare il sistema, specialmente dopo l’introduzione della carta “normale”, non filigranata. Le bobine erano in effetti considerate carta straccia finché, in macchina, ciascun foglio non veniva numerato in prima battuta. L’uovo di Colombo era stato non numerare a posteriori i fogli perfettamente stampati ma numerarli prima e non considerare che nei pacchi i numeri potessero non essere in sequenza. Il lungo nastro di carta intanto correva in alto, al di sopra della macchina, per precipitare bruscamente prima del numeratore sugli ultimi due cilindri che apponevano la fustellatura 11 e la sfridatura. Una taglierina, infine, separava i fogli che continuavano la loro corsa fino alla vaschetta che li contava automaticamente e li espelleva al raggiungimento di 250. Prelevati, venivano ricontati a mano (un incollaggio tra fogli, quasi impossibile per i valori autoadesivi, è pur sempre ipotizzabile), cartonati sulle due facce maggiori e, manualmente, passati alla macchina imballatrice. L’ultimo atto era l’incollaggio delle etichette già datate su entrambi i cartoni sì da bloccare anche le strisce di plastica sigillanti, la bollatura agli angoli delle etichette e la sigla del capomacchina che in piedi, su un supporto, in equilibrio in vero un po’ precario, controllava la produzione e gli addetti. Comunque fu fatta la domanda maliziosa, cioè come fosse stato possibile il verificarsi del caso della mancata sfridatura di molti fogli del valore per la “Fenice” di Venezia. La risposta fu che, per quanto molto raramente, un errore come quello poteva capitare e ciò perché i sensori e le telecamere di controllo non rilavano ciò che neanche l’occhio umano riesce a percepire tenendo conto della velocità di movimento. Il responsabile si disse comunque certo che il fenomeno non poteva interessare più di un migliaio, forse 1500 fogli, ovvero 4 - 6 pacchi distribuiti poi casualmente lungo la penisola. Dato il quantitativo consistente si poteva solo parlare di una rarità molto relativa. Proprio mentre stavamo concludendo il discorso ed io ero montato sulla pedana che affiancava la parte finale della macchina per vedere, al di sotto di una lastra di plexiglas ben avvitata, scorrere i fogli, scattò il blocco macchina per via di un guasto alla stampante a getto d’inchiostro che numerava i fogli. Pronto l’intervento di un tecnico e il riavvio. La macchina però, pur avendo numerato tutti i fogli, cominciò a scartarne molti deviandoli in un contenitore laterale all’altezza della vaschetta contafogli. La quasi contemporanea fine della bobina di carta prolungò lo scarto anche perché alcuni fogli erano macchiati di cyan e altri avevano delle gradazioni di colore diverse. Poi, naturalmente, vi erano i fogli scartati “per sicurezza” prima e dopo l’interruzione e quindi la ripresa effettiva avvenne solo dopo che qualche centinaio di fogli erano stati destinati al macero e ciò tra la costernazione di chi ricordava l’uscita clandestina dal Poligrafico di tante varietà e “francobolli naturali” cosa che, fu garantito, non poteva, o meglio, non avveniva più. Qualcuno maliziosamente pensò alla rimozione di una o più mele marce annidate proprio in quel settore della produzione.
E mentre la macchina riprendeva il suo lavoro a pieno regime, sempre accompagnati dal personale, l’intero gruppo si avviò verso l’uscita. Ebbi ancora il tempo per avere la conferma che uno scarto di due – tre milioni di pezzi all’anno (circa 90.000 fogli) era del tutto normale ed anzi si poteva ragionare anche su cifre più elevate, che la seconda macchina, la B, in quel momento ferma, era destinata alla sola stampa calcografica, che l’uso della piastra per la dentellatura era ormai molto ridotto e che lo stesso utilizzo della carta non autoadesiva era destinato ancora a contrarsi per essere riservato alla sola produzione di alcuni foglietti che, realizzati in fogli, venivano tagliati e rifilati da una taglierina elettronica che stava proprio lì, poco lontana dagli armadi dei colori, e che era destinata anche a rifilare e ridurre a misura i fogli quando il formato dei francobolli o il loro numero imponeva l’utilizzo di bobine che comportavano uno sfrido molto consistente. Essa però era utilizzata in quel momento più banalmente e modestamente per tagliare a misura i cartoni salva fogli. Mentre uscivamo, l’accompagnatore e capo chimico Moretti mi ricordò la fatica ma anche la grande soddisfazione che le maestranze avevano provato nel 2011 durante la stampa di circa 20 milioni di foglietti di vari tipi e formati tutti destinati a celebrare i 150 anni dell’Unità. Egli ricordava ancora i turni faticosi ma anche l’immensa soddisfazione per aver realizzato dei francobolli ritenuti tra i più belli degli ultimi anni.
Un sole accecante ci accolse all’uscita sulla cima dei quattro gradini che portavano al piazzale dove qualcuno aveva parcheggiato l’auto (ma bisognava aver prenotato anche quello) e dove ci attendevano due fotografi ufficiali pronti ad immortalare con più di uno scatto l’intero gruppo.
La visita terminava così tra abbracci e arrivederci a Verona o a Roma per il prossimo ottobre. Mancavano pochi minuti alle 13.


Le immagini corrispondono nell’ordine alle sedi di Via Salaria 691 (1 nella mappa), Via Salaria 1027 (2), Via Gino Capponi 47/49 (5), Piazza Verdi 1 (3) e Via Principe Umberto 4 (4).

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