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Scherzi da suora 1

di Giuseppe PREZIOSI (L'Occhio di @rechi n. 50 - A.S.F.N.)

Nell’ultimo incontro conviviale, il nostro segretario, amico e factotum, per la forzata assenza del Presidente, Sergio Mendikovic, ha invitato i presenti a voler partecipare compatti alla redazione del n. 50 del nostro notiziario, appunto perché… era il n. 50. Quanto cammino abbiamo percorso dal primo numero e come siamo cresciuti! Da poche notiziole sulle emissioni prossime venture a ponderosi studi che sono ormai apprezzati anche in riviste di associazioni di prestigio, a livello nazionale. Mi sono detto: Ancora un articolo sulla dentellatura a pettine delle prime emissioni calcografiche della repubblica o sulle ricevute dei vaglia in periodo post prima guerra mondiale o sulle variazioni di colore nei recenti valori ordinari autoadesivi? No! Ohibò! Siamo pur sempre collezionisti di francobolli o, come dice qualcuno, di figurelle; pezzetti di carta spesso di pochissimo o nullo valore e addirittura provenienti dall’estero (orrore!). Io però che non mi vergogno dei miei primi passi tra frammenti con l’Italia al lavoro e Siracusana, filigrana ruota, tutti rigorosamente di buste rosse che trasformavano l’acqua di lavaggio in aranciata, ho deciso di ricordare ai cari consoci che anche io pecco ancora… e di brutto. Pensate! Pochi giorni fa mi è giunto da un convento di suorine romane un voluminoso pacco di francobolli “missione”, roba da 10 kg e passa, che ho aperto con gioia, emozione e curiosità, certo di trovare chissà quali meraviglie. Sarebbe ora troppo lungo e fuorviante narrarvi come sono giunto a mettermi in contatto con le suorine missionarie che ho nel cuore e a cui cerco di inviare un purtroppo sempre povero contributo per le loro opere in terre di frontiera. Magari lo farò un’altra volta, vi dirò solo che la nostra “collaborazione” va avanti da alcuni anni e che questo non è il primo pacco che ricevo (ho quindi molto, e più volte peccato). Certo, un tempo leggere i nomi di paesi esotici era più emozionante e le immagini fissavano luoghi quasi irraggiungibili e mai visti. Oggi c’è la televisione e Google maps e poi i soggetti sono cambiati, chi produce, pure e la qualità è calata di molto, insieme all’emozione, rendendo il tutto piuttosto banale. C’è da dire, peraltro, che l’Ordine delle care suorine (minute solo nell’aspetto perché in realtà sono di ferro) è diffuso in tutto il mondo. Soprattutto in Africa ma, se si escludono i paesi islamici, quelli ortodossi e Israele, la presenza è forte in tutti i continenti. Peraltro tantissime religiose non sono di origine italiana e intrattengono stretti rapporti anche con quasi tutti i paesi europei. Tutto ciò per dire che, non interessandomi di tematica, non potendo, per ovvie ragioni, trattandosi di frammenti, trovare materiale da storia postale classica, il mio rapporto con i 10 kg di francobolli avrebbe dovuto essere rilassante, da vaschetta di acqua calda e rotolone di carta asciuga tutto.
Purtroppo dalla mia amata Italia al Lavoro, sono passati ben più di 50 anni e qualche esperienza nel campo l’ho pure fatta, per cui il diavoletto delle domande si è insinuato in me principalmente perché dovevo pur dividere i frammenti bianchi da quelli colorati e quelli con francobolli normali dagli autoadesivi. Questi ultimi, vista l’amara esperienza fatta qualche anno fa, sono stati i primi ad essere isolati. So per certo che gli autoadesivi di alcune nazioni, messi nell’acqua calda non si staccano ma raggrinziscono il supporto, rendendosi automaticamente difettosi. D’altra parte anche gli adesivi italiani reagiscono nello stesso modo almeno se si va verso le origini del sistema (oggi, forse, temono meno l’acqua). Da qui una serie di considerazioni sulla colla e i francobolli. C’era una volta la colla di pesce o di coniglio o quella comunque solubile in acqua. Con essa non ci sono stati mai problemi, tranne se ci si imbatte in frammenti con francobolli austro-ungarici (fin de siecle) e di qualche altro paese. Con quelli non c’è acqua calda o tempo che basti. Hanno una colla tenacissima che il tempo ha reso insolubile persino in alcool (a cui si ricorre in casi disperati) e nei solventi, tipo acqua ragia, che, normalmente, hanno ragione di molte colle moderne. Bisogna rassegnarsi e non provarci neanche. Dagli anni ’70, almeno in Italia, è stato usato un collante a base vinilica normalmente solubile in acqua, in casi ostinati, in alcool puro a 90° (quello per i liquori fatti in casa che elimina anche residui di carta che dovessero permanere dopo il lavaggio). Se però per incollare i francobolli si è usata “coccoina” o “collaprene” o, peggio, collanti ciano acrilici, non perdete tempo. Nell’acqua c’è qualche speranza per la coccoina, nell’alcool o nell’acqua ragia, nessuna. Si potrebbe provare solo col diluente alla “nitro” sciogliendo però anche il colore della stampa.
I collanti per gli autoadesivi normalmente non sono molto idrosolubili, in molti casi sono totalmente insolubili. Già determinare senza un catalogo e con rapidità (sono pur sempre 10 kg) quali siano i francobolli autoadesivi è un’impresa ardua. Anche escludendo l’Africa e quasi tutta l’Asia sono ancora molti i paesi dubbi. Una scrematura si può fare controllando la dentellatura. Negli autoadesivi non è a strappo e ha una “forma” e un passo particolari. Con questo sistema ho identificato le seguenti nazioni che hanno una solubilità della colla, del resto in continua evoluzione, come indicato di seguito:

L’elenco, come si può notare, è incompleto e pieno di punti interrogativi. Tra l’altro ho dovuto aggiungere ben 5 nazioni in due giorni delle quali ho scoperto emissioni autoadesive. Gli ordinari autoadesivi inglesi e alcuni Belgi, poi, difficilmente si possono riconoscere dalla dentellatura che è identica a quella dei francobolli normali. Gli autoadesivi inglesi presentano, a luce radente, un paio di incisioni ad ellissi nell’interno del francobollo che servono a facilitare il distacco dal supporto siliconato. Il Brasile, invece, è stato tra i primi, alla fine degli anni ‘90, ad emettere francobolli autoadesivi (serie “strumenti musicali” e “frutta” con dentellatura ad onde). A molti la colla, come capita per il nastro adesivo, si è ormai seccata ed essi si staccano da soli, anche se il verso resta indelebilmente ingiallito e macchiato. I più moderni (serie “servizi postali”, “mestieri” ed altre) si staccano con l’acqua ragia. Ovviamente la colla, asciugatasi l’acqua ragia, resta intatta, per cui vanno di nuovo incollati su carta normale (magari leggera, tipo per cartamodelli) o siliconata. Il consiglio più valido resta quello classico: Ritagliare i francobolli dalle buste con un margine di supporto di un millimetro a lato. I molti punti interrogativi, infatti, derivano anche dal fatto che per alcune nazioni non ho ancora sperimentato un sistema valido per separare la carta dal francobollo perché non ne ho avvertito la necessità. Nel dubbio è meglio astenersi da ogni intervento e se proprio si vuol provare è meglio con l’acqua ragia che una volta asciugata non lascia tracce e non aggrinzisce il supporto. Si ricorre di necessità a quest’ultima essenzialmente in tre casi:
1) Quando ci si accorge di aver incollato un autoadesivo su una busta che non sarà più utilizzata (vale, ovviamente, per i soli francobolli italiani).
2) Quando i francobolli sono sovrapposti e si vogliono separare i perfetti dai difettosi o dai rotti.
3) Quando si vuole eliminare il nastro adesivo (all’estero vi sono uffici postali di alcune nazioni – Filippine, Perù, Bolivia – Ecuador ed altri - che, dopo aver bollato i francobolli li coprono con del nastro adesivo) o le varie etichette in dotazione alle poste straniere ed italiane senza danneggiarli.
Ovviamente nel 1° caso il francobollo “salvato” va riposto su un supporto siliconato per il suo riutilizzo, nel 2° i francobolli vanno incollati su un supporto cartaceo come detto prima e quindi ritagliati e scelti, nel 3° si procede al successivo lavaggio in acqua per rimuovere il supporto cartaceo. Ricordarsi però, una volta rimossa l’etichetta o il nastro adesivo, di sfregare delicatamente (ho detto delicatamente!), con i polpastrelli il recto dei francobolli altrimenti, evaporata l’acqua ragia, essi risulteranno attaccaticci e si incolleranno tra loro.

Ma quanto ho scritto! Per quello che doveva essere uno “scherzo” certamente troppo, ma, credetemi, non ho neanche sviscerato completamente l’argomento. Tempi belli quando i francobolli si lavavano in acqua e basta!



Un’ultima cosa: avevo fatto una scaletta di quello che avevo notato nello scatolone delle meraviglie, 19 righe in tutto. Ne sono riuscito a trattare 5. Attendete il resto!


P.S. Ad articolo completato e licenziato ho dovuto constatare come il nostro poligrafico si distingua, a livello mondiale, per il senso del risparmio. Avevo messo a bagno, nell’acqua ragia i 5 frammenti illustrati nell’articolo insieme ad un altro numeroso gruppo, comprendente due pezzi da 0,70, “lettera in volo”, parzialmente ricoperti dalle maledette etichette autoadesive. Una volta rimosse le stesse ho provveduto a sfregare i francobolli delicatamente con i polpastrelli (vi giuro i due italiani li ho solo sfiorati) come avevo fatto per decine di altri liberati dal nastro gommato o dalle etichette. Il risultato è stato quello che potete ammirare, posto a confronto con il frammento del Ruanda che ho riprodotto due righe più su. Non sono necessari commenti.




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