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        Qualcuno, tra i miei lettori, specie tra i più giovani, potrà pensare 
        che la crisi che sta investendo il nostro Paese, alla mercé di un debito 
        pubblico da incubo, sia legata al 21° secolo e a una politica europea 
        folle, che pretende un ritmo di crescita e manovre finanziarie simili 
        per tutti gli Stati membri, trascurando così bellamente i territori 
        diversissimi che compongono la Comunità e la Storia certamente diversa. 
         
        In realtà, situazioni di crisi, pilotate dalla finanza internazionale, 
        si sono succedute nel nostro Paese sin dalla sua forzata unità. L’Italia 
        nacque col debito pubblico, reggendosi sulle grucce di prestiti 
        internazionali che ci sottomisero da subito ai ricatti di governi 
        “ostili” o falsamente “amici”. Basti pensare che tra il 1866 e il 1876 
        la Destra storica, tra le cui file militavano personaggi del calibro di 
        Cairoli, Minghetti e Sella, espresse dei governi che, per convinzioni 
        politiche (o per pressioni straniere), si convinsero a praticare una 
        politica dell’economia “fino all’osso” per raggiungere il mitico 
        pareggio del bilancio attraverso delle finanziarie “lacrime e sangue” 
        imperniate sul taglio della spesa improduttiva, le privatizzazioni dei 
        servizi e un’imposizione fiscale talmente oppressiva da portare 
        all’invenzione dell’odiata tassa sul macinato (l’equivalente 
        dell’attuale IMU o delle accise sui carburanti) tanto più iniqua in 
        quanto colpiva un bisogno primario degli italiani (come è oggi la casa o 
        l’auto) e che, alla fine, portò alla sconfitta della Destra, in un’epoca 
        in cui non vi era confusione dei ruoli e il nostro non era un Paese a 
        scarsa o nulla sovranità, e all’abolizione dell’odiata tassa, con il 
        Depretis, nel 1884 (era stata istituita nel 1868). L’anno di massima 
        depressione fu il 1876, proprio quando si raggiunse il pareggio del 
        bilancio, e a cavallo di quell’anno si svolsero i fatti storico – 
        postali che racconteremo. 
         
        Anche all’epoca la destra sosteneva che la macchina statale costava 
        troppo alla comunità e che una spending review fosse necessaria. Non 
        esistendo ancora una “casta” da eliminare, né auto blu, né cellulari 
        aziendali, né boiardi o consulenti super pagati, né stampanti o 
        fotocopiatrici mangia carta e inchiostro, la lente del governo si 
        appuntò sulle spese postali. Vi era un movimento di posta giudicato 
        eccessivo tra gli organi periferici dello Stato e il Centro e viceversa 
        e, soprattutto, le franchigie erano troppe e non controllate né 
        controllabili. Non era chiaro chi e fino a che livello dovesse usufruire 
        della franchigia ed esisteva il fondato sospetto che nei plichi si 
        celassero messaggi indirizzati, oltretutto, da privati a privati, sotto 
        le mentite spoglie della corrispondenza d’ufficio. 
         
        Per finire, poi, era 
        totalmente ignota la spesa che ciascun Ministero dovesse iscrivere a 
        debito, nel proprio bilancio, per la corrispondenza. Il governo ritenne 
        di aver scoperto dove si nascondesse una fonte di spreco e così, per 
        quantificarlo e porre ordine nella materia, decise di distribuire 
        appositi francobolli di servizio con cui affrancare tutta la 
        corrispondenza in partenza dagli uffici, sia centrali che periferici, 
        che godevano di franchigia. In sede di bilancio si sarebbe saputo quanto 
        ciascun ufficio aveva “speso” per affrancare la corrispondenza. Una 
        spesa del tutto virtuale dal momento che tali valori venivano 
        distribuiti dal “Tesoro” a qualunque organo dello Stato ne avesse fatto 
        richiesta. Ovviamente il “sistema” costituiva un freno anche per gli 
        aventi diritto, che si sarebbero sentiti “controllati” nell’uso 
        debordante della posta. 
         
        Il 14 giugno 1874, col n. 1983 (II serie) fu promulgato il Decreto 
        adatto alla bisogna, nel quale, in 14 articoli, si stabiliva che: 
         
        a) a godere della franchigia in entrata e in uscita era esclusivamente 
        il carteggio reale e del papa; 
         
        b) tutto il movimento postale dello Stato doveva essere affrancato con 
        gli appositi francobolli di servizio; 
         
        c) la corrispondenza doveva essere cartacea, poteva anche essere 
        raccomandata e di qualunque peso o formato, ma non assicurata; 
         
        d) oltre ai francobolli, per le comunicazioni ordinarie, potevano essere 
        usate apposite cartoline postali di Stato “con le tasse stabilite 
        dall’art. 9 della legge 23 giugno 1873, n. 1442”; 
  
          
        Cartolina postale di Stato da 10 cent. 
  
        e) un successivo Decreto avrebbe stabilito “quali Amministrazioni ed 
        uffici dipendenti abbiano a far uso dei francobolli e delle cartoline 
        postali di Stato”; 
         
        f) il Ministero delle Finanze avrebbe provveduto alla distribuzione, su 
        richiesta, e pagato l’ammontare dei francobolli alla Direzione generale 
        delle Poste; 
         
        g) gli uffici periferici dello Stato autorizzati avrebbero dovuto 
        utilizzare, per le loro corrispondenze, egualmente, i francobolli di 
        Stato o, in alternativa, quelli ordinari, pagati direttamente; 
         
        h) le corrispondenze ufficiali dirette dai Sindaci ai Prefetti, 
        Sottoprefetti, Comandi di Distretto, Intendenze di Finanza, agenti delle 
        imposte erariali, etc., dovevano essere affrancate con francobolli 
        ordinari anche se a tariffa dimezzata; 
  
          
          
        Cartolina postale con risposta pagata per la 
        corrispondenza con i Sindaci da 15 cent. 
  
        i) coloro che avessero fatto un uso improprio, fraudolento o privatistico dei francobolli e delle cartoline di Stato sarebbero stati 
        puniti con un’ammenda pari a 100 volte la tariffa postale evasa con un 
        minimo di 50 lire; 
         
        l) un apposito regolamento esecutivo, infine, sarebbe stato emanato al 
        più presto in modo da rendere possibile l’avvio del nuovo sistema di 
        tassazione postale dal 1° gennaio 1875 (1). 
         
        Con gran celerità, il 13 settembre, da Valsavaranche, veniva emanato il 
        Decreto 2091 che, in 40 articoli, conteneva il regolamento previsto 
        precedentemenete. Il contenuto, veramente illuminante per molti aspetti 
        della storia postale e dei rapporti tra Enti pubblici e tra questi 
        ultimi e i privati (tra l’altro si stabiliva che la mezza franchigia 
        riservata ai Sindaci non si estendeva alla raccomandazione), meriterebbe 
        più ampia trattazione. Per quel che ci interessa in questa sede, 
        l’articolo 12 precisava il numero (8), il taglio e la tipologia dei 
        francobolli da emettere, 
  
             
             
        La serie di francobolli per il Servizio di 
        Stato. 
  
         l’articolo 17 trattava delle cartoline 
        postali di Stato, prevedendo che esse potevano essere utilizzate da 
        coloro e nelle occasioni già previste per i francobolli, che non 
        potevano fruire del servizio di raccomandazione e dovevano recare, al 
        recto, il contrassegno dell’autorità speditrice.  
         
        Poiché l’art. 26 precisava che ogni modifica al regolamento, per 
        l’inclusione o l’esclusione di Enti o servizi autorizzati all’utilizzo 
        dei francobolli, doveva essere ratificata da apposito Decreto, questi si 
        succedettero numerosi durante l’anno 1874 e 75 (2). Resta comunque il fatto 
        che, dopo l’avvio faticoso di un sistema impostato in modo farraginoso 
        (si veda il regolamento), che peraltro funzionava regolarmente in altri 
        paesi, senza troppe spiegazioni, il R.D. 3202 del 30 giugno 1876, 
        relativo alle previsioni di spesa per lo stesso anno, pubblicato sulla 
        G.U. 164 del 15 luglio e relativo supplemento ordinario, all’art. 4 
        recitava: “Col 1° gennaio 1877 sono aboliti i francobolli e le cartoline 
        postali di Stato” e al 5: “Il governo del Re è autorizzato a provvedere 
        con Regio decreto, sentito il Consiglio di Stato, ai modi di 
        trasmissione postale delle corrispondenze (già) spedite con francobolli 
        di Stato secondo le leggi 14 giugno 1874, n. 1983 e 21 marzo 1875, n. 
        2410, serie 2ª” (3). 
         
        Il perché di un tale rapido dietrofront non è ufficialmente certo. 
        Ricordo di aver letto che l’utilizzo dei francobolli di Stato era 
        diventato sostanzialmente inutile dopo che il governo aveva preso 
        coscienza della spesa effettivamente sostenuta dai vari Uffici e 
        Ministeri, ma penso che tale spiegazione sia scarsamente credibile dal 
        momento che i francobolli erano stati emessi per contrastare abusi e 
        sprechi. Molto più realisticamente ci si era resi conto 
        dell’impossibilità di controllare i milioni di lettere, cartoline e 
        plichi in viaggio per l’Italia. È altresì verosimile che qualcuno abbia 
        fatto notare che, considerando un’effettiva “revisione di spesa”, ciò 
        che si sarebbe potuto risparmiare, irrigidendosi sul costo delle spese 
        postali, era decisamente meno di quello che si sarebbe speso in un 
        continuo e asfissiante controllo, anche in termini di efficienza e 
        velocità di trasmissione degli atti e delle notizie tra i vari servizi.
         
         
        Lo smantellamento del sistema di affrancatura con francobolli di 
        Servizio non chiuse, però, la loro vicenda o quella delle cartoline. In 
        una fase di politica economica che privilegiava il risparmio e le 
        economie si pensò subito ad un loro utilizzo ordinario con vendita al 
        pubblico. I francobolli furono riciclati, sovrastampandoli, in blu, con 
        la scritta 2 C e una serie di onde per coprire il vecchio valore.  
  
             
             
        La serie di francobolli per il Servizio di 
        Stato sovrastampata 2 C. 
  
        Essi erano validi per le stampe, per una tariffa, cioè, molto 
        utilizzata, con tirature, per il corrispondente valore ordinario, 
        multimilionarie. Ciò naturalmente deve mettersi in relazione alle ampie 
        possibilità offerte dalla tariffa che considerava “stampe” molti oggetti 
        che oggi sono considerati “lettere” o comunque si chiamino. 
        Il relativo Decreto n. 4185 del 16 dicembre 1877, pubblicato sulla G.U. 
        302 del 28 dicembre, ne prevede, appunto, il riutilizzo, in tre 
        articoli (4).  
         
        Per le cartoline, o meglio per la cartolina, poiché, per 
        quanto se ne parti al plurale, di quella con risposta pagata se ne perse 
        ogni traccia, si era provveduto già prima, con il R.D. 4067 del 26 
        settembre 1877. Pubblicato sulla G.U. 236 del 9 ottobre, con esso, in 
        soli due articoli, era previsto che le cartoline di Stato abolite 
        fossero convertite ad uso dei privati sovrastampandole con una sorta di 
        bollo tondo da porsi al margine inferiore sinistro, recante la leggenda, 
        a corona: “Ammesse alla corrispondenza privata” e al centro: “Poste 
        Italiane”. La loro distribuzione era prevista, all’art. 2, per il 1° 
        ottobre, cosa praticamente impossibile e che spiega come, secondo i 
        cataloghi, la data di emissione varia, appunto, tra il 1° ottobre e il 3 
        novembre 1877. Fin qui la strana storia dei francobolli e delle 
        cartoline di Stato in Italia. 
        Viene qua ora presentata una delle cartoline riciclate, utilizzata circa 
        un anno dopo l’inizio della loro distribuzione.  
  
          
        La cartolina postale di Stato da 10 cent 
        sovrastampata:“Ammessa alla corrispondenza privata”. 
  
        Il tipo 
        sembrerebbe essere quello ad un solo filetto di cornice ma la stessa 
        appartenenza all’uno o all’altro (esiste, infatti, anche un altro tipo 
        con doppio filetto) è da prendersi col beneficio del dubbio. D’altra 
        parte non si capisce perché sottoporre al taglio delle innocenti 
        cornicette prive di scritte, molto simili a quelle esistenti sulle prime 
        cartoline emesse in Italia e più volte richiamate (5). Semmai il 
        problema era di formato. Le prime cartoline postali italiane misuravano 
        mm 115 x 80, quelle di Stato mm 155 x 95, le rifilate mm 138 x 79, le 
        successive cartoline del 9 ottobre 1878, senza cornice come le rifilate, 
        mm 138 x 80. 
        Impostata a Piacenza l’11. 12. 1878 alle 10 S (sera), era indirizzata a 
        Bologna, dove giunse durante la nottata, tanto da poter essere bollata 
        con un annullo ovale, privo di indicazione di luogo, recante la dizione 
        “1ª DIST. 12 DIC. 78”. All’apparenza nulla di eccezionale, indubbiamente 
        un bel documento, se non altro per l’uso tardivo e per la chiarezza dei 
        bolli apposti, ma almeno una considerazione va fatta. In un’epoca in cui 
        nessuno sottoponeva le Poste ad alcun “controllo qualità” o “rispetto 
        dei tempi di consegna”, era scrupolo delle stesse Poste far conoscere 
        non solo luogo, data ed ora di partenza di una semplice cartolina, ma 
        anche data ed ora della sua consegna. Piacenza e Bologna sono 
        vicinissime tra loro, resta però il fatto che, in meno di 12 ore, tempi 
        certi, un qualsiasi documento poteva essere recapitato da un luogo 
        all’altro con la modica spesa di 10 cent. Siamo sicuri che oggi, con 70 
        euro cent, si otterrebbe lo stesso risultato? 
         
        NOTE 
         
        (1) Il Decreto, emanato a Firenze (tanto per sottolineare quanto poco 
        Vittorio Emanuele II amasse la nuova capitale), fu pubblicato sulla G.U. 
        152 del 27 giugno successivo. 
         
        (2) Potremmo ricordare il n. 2224 del 1° novembre 1874, pubblicato sulla 
        G.U. 279 del 23.11, relativo agli “uffizi” e alle “autorità” ammessi a 
        far uso dei francobolli di Stato“ per lo affrancamento delle 
        corrispondenze uffiziali” e il n. 2410 del 21 marzo 1875, relativo 
        all’emissione di una nuova cartolina postale con risposta pagata da 15 
        cent (Fig. 2) che gli uffici pubblici dovevano utilizzare per la 
        corrispondenza coi Sindaci che, quindi, potevano rispondere in modo 
        gratuito, oppure i due R.D. nn. 2624 e 2625, entrambi del 15 luglio 1875 
        ed entrambi pubblicati sulla G.U. 192 del 18 agosto, con nuovi elenchi 
        degli aventi diritto all’uso dei valori di Stato. 
         
        (3) A parte il “già”, che sarebbe stato necessario ma che non compare nel 
        testo originale del decreto, è interessante una consultazione delle 
        tabelle ad esso annesse. Tra i proventi dei servizi pubblici in entrata 
        scopriamo che le Poste fornivano un gettito di circa 27 milioni di lire 
        annue ma che il “prodotto dei francobolli e delle cartoline postali di 
        Stato occorrenti per le corrispondenze d’ufficio” era stato di oltre 27 
        milioni e mezzo, come dire che le Poste lavoravano di più per lo Stato 
        che per i privati, il che se è logico per un Paese in cui 
        l’analfabetismo interessava oltre la metà dei cittadini, non lo è ai 
        fini di una corretta gestione della spesa pubblica. Tra le spese 
        “comuni” per l’Amministrazione finanziaria troviamo, peraltro, che per 
        l’acquisto dei francobolli e delle cartoline postali di Stato occorrenti 
        per la corrispondenza tra gli uffici erano stanziati, in previsione, 
        oltre 18 milioni e 300 mila lire, il che, peraltro, tenuto conto del 
        sistema di contabilità previsto nel “Regolamento” precedentemente 
        ricordato, ci rende edotti di uno sbilancio tra le “entrate” e le 
        “uscite” di circa 9 milioni di lire a favore delle prime. In pratica, i 
        vari Enti e uffici avevano previsto di acquistare molti più francobolli 
        di quelli che avrebbero potuto effettivamente utilizzare.
         
         
        (4) L’art. 3, in particolare, prescriveva la loro 
        messa in uso il 16 dicembre 1877, data del decreto. In realtà, il 2 cent 
        su 20 e il 2 cent su 2 lire furono emessi il 1° gennaio 1878, il 2 cent 
        su 2 cent, il 2 cent. su 30 cent e il 2 cent su 1 lira, in una data 
        imprecisata del mese di febbraio, gli altri valori nel mese di giugno 
        dello stesso anno. 
         
        (5) Le prime cartoline postali italiane furono emesse sulla scorta del 
        R.D. n. 1442 del 23 giugno 1873 e al relativo regolamento approvato con 
        R.D. n. 1572 del 9 settembre 1873. 
        
         
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