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Le bollatrici del dopoguerra
(prima parte)

di Alcide SORTINO
(Sintesi di articoli n° 126, 134, 150, 165, 167, 193 de L’Annullo)

Nel dopoguerra, o se vogliamo all’avvento della repubblica, le bollatrici in servizio erano praticamente solo le Flier (nome spesso erroneamente scritto con la y), una macchina elettrica a piantana in ghisa, realizzata dall’americana International Postal Supply Company per il mercato europeo nei primi anni del novecento. Nel 1910 la macchina apparve in Italia, si ignora se noleggiata o acquistata, distribuita agli uffici movimento delle 9 maggiori città. Esisteva anche una versione a funzionamento manuale a manovella (modello L), ma essendo le impronte perfettamente identiche, non possiamo sapere se la fornitura ne comprendesse qualcuna.








bollatrice Flier

Poi, senza escludere qualche ulteriore apporto alla spicciolata, con la fine degli anni venti, ce ne fu una seconda ondata ben più copiosa, tale da coprire pressoché tutti i capoluoghi e qualche altra località importante, come Monza, Rimini o Carrara. Alla fine degli anni trenta, ci fu una terza fornitura, destinata ad altri uffici particolarmente trafficati, come Sesto San Giovanni, o a quelli di importanti località turistiche, come Riccione, Cattolica o Formia. Le Flier di quest’ultima fornitura presentavano in genere il blocchetto a linee rettilinee, anziché ondulate, tipo abbandonato alla fine degli anni quaranta, per il maggior consumo che provocava ai feltri, usurati sempre negli stessi punti e non in maniera omogenea, come con le ondulate.

Il processo di progressiva meccanizzazione della bollatura venne interrotto dalle vicende belliche, ma va anche ricordato che il parco delle Flier ne subì danni modesti, dato che furono relativamente pochi gli uffici di movimento distrutti dai bombardamenti o dal passaggio del fronte.

In realtà diversi uffici, anche di non primaria importanza, come Pieve di Cadore, avevano in dotazione la bollatrice di costruzione norvegese Krag (Krag Maskin Fabrik), caratterizzata dall’impronta di tipo continuo, ma l’unica che risulterebbe in uso nel dopoguerra era a Udine Ferrovia, rapidamente radiata perché l’impronta del blocco datario era ormai illeggibile e probabilmente era impossibile trovare i pezzi di ricambio.

E veniamo al dopoguerra: la ripresa economica e lo sviluppo del turismo (allora si spedivano cartoline in quantità) portarono ad un incremento del traffico postale che richiese un aumento del parco bollatrici, sia per sostituire quelle andate perdute o danneggiate, sia per estendere la meccanizzazione. Con i primi anni cinquanta entra in scena la OMT (Officina Meccanica di Taranto), probabilmente una ditta operante nell’indotto dell’arsenale marittimo che, causa il ridimensionamento della Marina Militare, cercava nuovi sbocchi produttivi. La OMT ottenne di fabbricare su licenza la Flier: la nuova versione, chiamata OMT/Flier, era ovviamente un po’ più moderna, ma la parte bollante rimase identica. Negli stessi anni la OMT fornì alle poste altri modelli di bollatrici, sia elettriche che manuali. Tra le prime la OMT/S, versione povera della Flier classica, con il pesante basamento in ghisa sostituito da quattro esili gambette e la OMT/E, versione da tavolo. Invece la OMT/M era a funzionamento manuale mediante manovella e fu adottata in centinaia di esemplari per gli uffici di località turistiche. Inizialmente le ”M” montavano un blocchetto a 5 linee ondulate invece che a sette (in modo da consumava meno inchiostro e usurare meno i feltri), ma a causa dell’intercambiabilità, in seguito a riparazioni o a scambi, dopo pochi anni non fu più possibile distinguere dall’impronta la macchina.






bollatrice OMT/M


La corona o güller della Flier e delle varie OMT aveva un diametro di 23 mm con il blocco datario, a composizione manuale, disposto su tre righe (ora / giorno-mese / anno). Il blocchetto annullatore poteva essere, come detto, indifferentemente a 5 o a 7 linee ondulate, con una distanza tra le due linee estreme di 13,5 mm e lunghezza variabile tra i 45 e i 56 mm. Tutte queste macchine sono state man mano radiate con gli anni settanta e sostituite quasi sempre dalle BNG (più avanti descritte), ma le indistruttibili Flier originali hanno resistito a lungo – anche perché gli addetti le preferivano per robustezza e semplicità d’uso –, giungendo in certi casi alla seconda metà degli anni novanta, sfidando anche le norme antinfortunistiche..
Molte di queste bollatrici hanno montato targhette pubblicitarie, sia di carattere generale (come la “applicate il numero di cap” del 1967/68) o di propaganda turistica o di manifestazioni locali, specie negli anni cinquanta, quando la pubblicità postale era appaltata alla quasi omonima società.



 

Nelle bollatrici fornite dopo il 1961 la corona, in applicazione della nuova normativa (B.U. 16/1961, 2° suppl.) è a cerchio semplice, il nome dell’ufficio è preceduto dalla parola “poste” e la provincia è indicata con la sigla automobilistica entro parentesi.

Con l’adozione del CAP, sostituzione generale delle corone in cui, in applicazione della normativa introdotta per l’occasione (B.U. 11/1969, 1° suppl.), viene inserito il numero di avviamento (salvo per le città con codice zonale), il corno postale e la legenda è disposta tutta in senso orario.



Nelle Flier rimaste in uso con gli anni settanta ed oltre si presentò, specie negli uffici più importanti, la necessità di sostituire la corona ormai usurata. Per il solito pressapochismo spesso non fu rispettata la tipologia delle norme del 1969, ma tornarono in auge il doppio cerchio, la parola poste, cap in città zonali, nonché corni postali di incerto disegno, come negli esempi qui mostrati.

 

continua >>>


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