Il bastone di Asclepio
a cura di Sergio De Benedictis [sergio.debene(at)gmail(dot)com]
Greco e Latino: due lingue morte?

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Spesso, in tutti questi anni in cui si è affrontata la problematica di una seria e radicale riforma scolastica, si è parlato dell’utilità di mantenere gli insegnamenti di Greco e Latino nelle Scuole Superiori.
Certo oggigiorno il mondo del lavoro, ormai globalizzato, richiede una approfondita conoscenza oltre della propria lingua madre, anche di almeno un paio di lingue straniere tra le più accreditate, a secondo dello scacchiere geografico in cui andremo ad operare.
Una passata riforma universitaria ha reso possibile l’accesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di diplomati non più provenienti dai soli Licei Classici e Scientifici, ma anche da qualsiasi scuola superiore di ordine e grado.
In passato si era quasi obbligati, avendo già le idee chiare sul voler affrontare gli studi medici, a frequentare un liceo classico, in quanto come ben sappiamo la terminologia medica ha un vocabolario di termini aventi nella stragrande maggioranza etimologia greca e latina.

Ma se andiamo indietro nel tempo troviamo esempi illustri che vanno controcorrente come quello di Ambroise Paré (1510-1590) ritenuto il padre della moderna chirurgia.
Di umili origini fu mandato dal padre a studiare latino presso un cappellano, il quale lo sfruttò però nell’esecuzione di lavori domestici per cui il nostro, convinto di intraprendere la carriera di chirurgo, se ne andò a Parigi senza alcuna conoscenza del Latino e tantomeno del Greco.
Ma nel ‘500 era molto difficile pensare che senza la conoscenza del greco e del latino si potesse diventare chirurgo, o meglio un barbiere-chirurgo, professione ben distinta da quella di un medico; oltre a permettere le mansioni usuali di un barbiere, dava accesso alla sola esecuzioni di salassi e amputazioni.
Fece le sue prime esperienze presso l’Hotel-Dieu negli anni in cui la capitale fu colpita da una epidemia decisamente violenta di peste; la pratica presso la struttura, in condizioni igieniche molto precarie, gli permise come ebbe a dire di “fare un ottimo lavoro sotto pessime regole“.
Si arruolò successivamente nell’esercito francese, dove rimase più di trent’anni, e avendo a che fare spesso con ferite di soldati, fece una scoperta di un certo rilievo. Rimasto senza di olio di sambuco, che bollente veniva usato nel trattamento delle ferite, usò un emolliente composto da uova, olio di rose e trementina.

E i pazienti guarivano più in fretta e soffrivano di meno e la scoperta fece il giro d’Europa e il suo trattato scritto nel 1545 gli valse fama e successo.
Il re Enrico II lo volle a corte, ma, nonostante il suo operato fu al servizio di diversi Re a seguire, non fu mai amato dai suoi colleghi medici che gli rimproverarono sempre la sui ignoranza rispetto al greco e al latino.