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CON I PIEDI DI PIOMBO
di Edoardo P. Ohnmeiss

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Proprio così bisogna muoversi, quando si studia una lettera dal punto di vista storico-postale.

Durante la Mostra TOSCANA 2003, tanto volonterosamente organizzata da Luigi Impallomeni, il consocio ASPOT che con invidiabile forza d'animo si accolla sacrifici personali e finanziari, fui interpellato dal Presidente Lazzerini e dal consocio Stocchi circa una strana lettera napoleonica.

Frontespizio della lettera

Tutto pareva normale, la bollatura dipartimentale II3 PISE e la tassazione di 3 décimes per la II distanza (percorrenze da 50 a 100 km, in linea d'aria). Ciò che poteva colpire era la tendenza al colore bruno dell'impronta, un colore che normalmente discende dalla miscelazione del rosso con il nero. Però in questo caso si trattava di una evidente alterazione del colore primario rosso, il quale era ancora in parte visibile sulle susseguenti cifre I e 3, del numero dipartimentale II3.

Rimanemmo tutti colpiti dal constatare che sul dorso di questa missiva era stato incollato un bigliettino, con l'indicazione: "Per una combinazione la lettera è stata molto ritardata".

Ma la vera stranezza doveva ancora rivelarsi. Nell'aprire la missiva, ci colpì il suo interno: la data riportata prima del testo indicava: Bagni (di San Giuliano), il 23 luglio 1803. Si, proprio 1803!

Interno fotocopiato


Come poteva una lettera, apparentemente scritta durante il "Regno d'Etruria" (1801-1807), presentare una bollatura tipica del periodo dipartimentale (1808-1814) ? Di primo acchito pensai ad alcune circostanze concomitanti: dopo essere stata imbucata, questa lettera era rimasta per lungo tempo "prigioniera" della buca delle lettere. Ritenevo che, avendola recuperata molti anni dopo, il funzionario postale napoleonico l'avesse dapprima bollata e quindi, dopo averla letta, giustificato la ritardata consegna mediante quel bigliettino.  Pensiero alquanto debole: era quasi impossibile che una lettera del 1803 restasse bloccata per dieci anni, all'interno di una buca postale del passato (di solito ricavata scalpellando una lastra di pietra), sempre collegata mediante uno scivolo con l'interno della "ferriata". L'antico  sistema, studiato appositamente per fare cadere le lettere direttamente sul tavolo dell'ufficio postale. Occorre infatti ricordare che durante il Regno d'Etruria fu intrapreso pochissimo, in relazione al supporto tecnico, per il servizio postale: le buche ed i timbri erano, quanto meno, ancora settecenteschi. L'egida dei francesi sul servizio si palesava esclusivamente con le tariffe postali, da loro perentoriamente imposte. Tutto il resto era un retaggio discendente dalle precedenti Amministrazioni granducali lorenesi. Si aggiunga che in epoca dipartimentale francese soltanto il Controllore aveva il diritto di dissigillare le lettere, operazione non consentita agli altri impiegati postali. E che, perlomeno, egli avrebbe bollato la lettera con il suo timbro per il "déboursé". Pertanto il bigliettino non poteva essere stato aggiunto da un funzionario pisano della Posta. In conclusione, le succitate circostanze ipotizzate erano completamente da scartare.

Chiesi all'amico Stocchi di affidarmi questa lettera, onde poter concretizzare un'analisi più approfondita, quindi con più tempo a disposizione di quanto ne avessi avuto alla Mostra fiorentina.

L'esito dell'analisi può essere reso palese mediante i seguenti riscontri:

1- Lo scrivente utilizzò un inchiostro troppo "acido". Esso intaccò la carta da lettera, conducendo alcune lettere alfabetiche ad essere aggredite dalla sua azione. E forse contribuì anche alla alterazione del colore rosso della bollatura, a cagione della carta offesa da un velo acidulo.

2- Esaminando la L della data (indicata con B) abbiamo la conferma dell'azione mordente dell'inchiostro acidulo: la lettera ne risulta coinvolta (vedi il tratto basso della L).

3- Per meglio asciugare il proprio scritto, intriso da quel genere di inchiostro, il mittente di sicuro lo passò sopra la fiammella di una candela, con l'intenzione di sfruttarne il calore. Con l'evidente effetto di bruciacchiare un piccolo lembo del foglio (vedi l'angolo in alto a destra, contraddistinto dalla lettera C).

4- Osservando bene i numeri del presunto anno 1803 si palesa nuovamente l'azione dell'inchiostro, quale vediamo subìta sia dal numero 8 sia da quello che, all'apparenza, pareva essere lo zero che lo segue (Vedi l'indicazione A)

5-  Nell'ultima riga del testo si può riscontrare come la parola "comodo" fosse stata originariamente scritta "comodi", cioè con la "i" finale. Infatti sopra questa, si intravede ancora il relativo puntino. Ciò porta a comprendere perché il suo trattino verticale si presenti quale piccolo circolino, esattamente come accadde sia a quello della seconda cifra 1 di 1813 sia alla suddetta lettera "i". Entrambi simili allo zero della presunta data 1803 e della lettera terminale "o" della parola "comodi".

6-  Constatazione finale, dovuta al fatto che ho approfondito un poco la grafologia (assai utile per leggere e interpretare le antiche lettere prefilateliche), il biglietto incollato alla  lettera fu scritto dallo stesso mittente. Come ci rivelano le lettere alfabetiche "m" e "d", dopo averne effettuato la comparazione con altre similari lettere del testo. Pertanto questa lettera fu sicuramente scritta e spedita nell'anno 1813 dal mittente, lo stesso che vi aggiunse il bigliettino giustificativo per la ritardata consegna al destinatario.E a proposito delle bollature che hanno un colore bruno diverso da quello proveniente da un rosso alterato, nella collezione "R.E.M.O." vi sono alcune lettere del Dipartimento II3, state affidate alla Posta proprio nell'anno 1813 (e non prima!), le quali presentano delle bollature II3 PISE e P.II3.PISE di un intenso colore bruno. Non di un colore discendente da un rosso alterato, bensì da quello ricavato tramite una stabile miscelazione del rosso con il nero. Il vero bruno da me sempre considerato essere un vero colore primario, alla pari dei colori giallo d'ocra (usato in Piemonte), il rosso, il nero, il verde e l'azzurro. E infatti così l'ho registrato nel mio libro-catalogo sull'epoca napoleonica.

Un ultima osservazione: nel suo testo il mittente dice che ha "appigionato" il primo piano di una casa per xx paoli al giorno. La cifra che lui riporta può leggersi 10 oppure 40. Entrambe mi sembrano fuori luogo. Un paolo equivaleva a 8 crazie, e 8 paoli erano la paga giornaliera di un capomastro. Già quattro paoli al giorno per un affitto sarebbero da considerare un notevole esborso. Ne consegue che tutto ciò che si può ricavare da uno scritto, interno ad una lettera, talvolta sono notizie che devono sempre essere acquisite e interpretate con la massima circospezione.

In altre parole, bisogna proprio muoversi con i piedi di piombo!

E.P.OH.




 
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