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Incongruenze postali napoleoniche
di Edoardo P. Ohnmeiss

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Questo articolo farà piacere al carissimo amico Beppe Pallini, un articolo che si basa sulla documentazione che lui ha reperito presso l’Archivio di Stato di Siena (Governo Francese Filza n.2). Beppe è una specie di epigono che segue le orme della famiglia dei Spannocchi. Illustri senesi, resistenti -nell’ambito del possibile- alle prepotenze dei francesi (e anche a qualche loro “requisizione” di opere d’arte). Il fatto è che i napoleonidi avevano un occhio particolarmente critico verso i Toscani, gente che non si lascia facilmente calpestare, polemica e refrattaria a ordini che piovono troppo rumorosamente dall’alto. Il reciproco malvolere era palese e talvolta sicuramente giustificato.

Siamo all’inizio del 1810, nel pieno splendore della potenza napoleonica, se si esclude il suo impegno militare in Spagna, dove il suo esercito ha trovato del duro. La terra iberica si bagna sempre più di sangue italiano: soldati del Regno d’Italia e militi dei loro Dipartimenti “conquistati”. Non c’è modo di venirne a capo. Napoleone stesso, a Sant’Elena, dirà: “la Spagna è stato il mio più grande errore” — Pensate: più della Russia; il che è tutto dire...

Con lettera del 24 gennaio 1810 il direttore della Posta di Grosseto così si rivolge al suo collega di Siena (concentro ogni lungo discorso):

I procaccini dei tre Dipartimenti dì Toscana portano le lettere, chiuse nelle bolgette, ai Maìres (Sindaci) che schiudono le bolgette e consegnano le lettere per l’opportuna distribuzione. Da qualche tempo, però, le bolgette vengono aperte dalla Sottoprefettura la quale non fa partire le altre bolgette se prima non le ha aperte. Poiché questo fatto è contrario all’attuale sistema postale, occorre prendere i necessari provvedimenti.. (firmato Bartaletti, il direttore della Posta di Grosseto).

Sotto quella lettera, lunga ben tre pagine, vi è il visto dello Spannocchi direttore di Siena, apposto il giorno dopo, per una copia da inviare al Prefetto dell’Ombrone. E infatti, in data 25 gennaio egli si rivolge così a costui:

“E’ mio dovere informarVi su di un fatto contrario al Servizio Postale, che rileverete dalla copia di lettera acclusa alla presente. Poiché il direttore di Grosseto ha scritto a me, prima di rivolgersi all’Amministrazione Generale (velata minaccia), Vi prego di volere prendere i necessari provvedimenti.. (‘firmato Spannocchi).”

Il Prefetto temporeggia. Allora il solerte (e seccato) Spannocchi in data 29 gennaio 1810 rincara la dose e con una lettera, per noi studiosi dell’ASPOT importantissima, riassume la storia del novello servizio postale, codificato dal Consigliere DAUCHY il 19 marzo 1808 e confermato il 4 aprile con una lettera dell’Organizzatore URTIN delle Poste in Toscana.

“Con un Decreto della Giunta di Toscana del 14 settembre 1808 veniva definitivamente soppressa la vecchia Amministrazione delle Poste Toscane e, con Bollettino n. 79, introdotta la legge dell’Impero francese. E poiché i pedoni risultano a carico delle rispettive amministrazioni rimane evidente che le leggi delegano agli Uffici postali tutto ciò che concerne la regolarità e la sicurezza nella consegna delle lettere... (firmato Spannocchi)”


Lo Spannocchi non rimane isolato nella protesta. Anche il Direttore di Firenze si associa alle sue rimostranze e, per meglio fare la voce grossa, fa intervenire il Controllore di Firenze, sede dell’Amministrazione Generale della Toscana (Lettera del 4 febbraio 1810).

Come è ben noto, il Controllore era l’unico depositario del timbro per il “Déboursé” ed era quindi una persona di assoluto fiducia, quasi sempre di origine francese: in questo caso, per la cronaca, Marion Moulin. Le monsieur Moulin sta dalla parte della Posta e rigetta la scusa che i procaccini debbano prima recarsi alla Sottoprefettura, perché “consegnano anche documenti amministrativi e Bollettini di Legge”. Scusa passata a voce, dal Prefetto residente a Siena.

“Solo il Direttore della Posta ha il diritto di distribuire le lettere perché lui solo è il responsabile delle somme da incassare e dei pagamenti ai pedoni. Il Direttore deve apporre il timbro, tassare la lettera e compilare il foglio di avviso con gli importi da incassare, ivi comprese le piccole aggiunte per la consegna tramite un “particolare” (Il noto messaggero espresso)... Pertanto chiedo che soltanto i direttori della posta si occupino della apertura delle bolgette e che non venga concessa una chiave al Sottoprefetto per aprirle... (Moulin)”

Nuovamente il Prefetto se la prende comoda, e risponde soltanto il 12 marzo. Girando la frittata, il Sottoprefetto di Grosseto ha accusato il direttore della locale Posta di ritardare la consegna delle corrispondenze ufficiali, anticipando quelle delle lettere e creando quindi un ritardo per lui inammissibile. Quindi è giusto che la bolgetta venga aperta prima da lui e successivamente passata all’ufficio postale.

Marion Moulin va in bestia e in data 13 marzo spinge l’attacco a fondo: “Si è commesso un abuso, consegnando una terza chiave delle bolgette dei procaccini al Sottoprefetto, scrive coraggiosamente al Prefetto (che infatti era una emanazione di Napoleone, il quale insediava i Prefetti personalmente!), il reclamo dei direttore di Grosseto è fondato e pertanto tocca a Vostra signoria mettere ordine nelle cose, chiarendole definitivamente...”

Avrete già intuito che non successe proprio nulla. Erano tutte scuse, bellamente accampate. L’ordine di controllare le corrispondenze veniva dall’alto, dal Capo della Polizia, il temuto Fouché. Erano tempi difficili per i francesi dei Dipartimenti italiani: il mugugno si diffondeva, la protesta saliva: centinaia di soldati non tornavano più dalle terribili battaglie che Napoleone conduceva nel Nord Europa (oltre quelle della già citata Spagna). Giravano già lettere di protesta e di resistenza al predominio francese. Un regime inizialmente bene accetto per la sua modernità ed equità religiosa ed amministrativa. Ma successivamente reso pesante, dapprima con il “Blocco Continentale” (alle merci e spezie dell’Oltremare inglese) e poi con le requisizioni, enormi spese per le guerre e leve forzose di giovani italiani da mandare al fronte quale carne da cannone.

E dopo la batosta subita in Russia, la situazione si aggrava: sempre più feroci furono i controlli e sempre più dure le orecchie alle proteste dei coscienziosi ma ingenui funzionari postali. Tuttavia i Sottoprefetti hanno disposizioni segrete e precise. Essi debbono obbedire. Ancora in data 13 maggio 1813 l’Ispettore Generale delle Poste dei Dipartimenti di Toscana e degli Appennini, l’autorevole M. FOY, solleva un’ultima protesta al Prefetto dell’Ombrone. Ora le cose si stanno mettendo davvero male per l’amministrazione francese: i toscani si arrangiano al di fuori dei normali canali postali e si mettono in tasca i soldi dovuti all’erario.

“Il postino non è obbligato a portare le lettere delle autorità. Per quelle dei particolari si accorda con questi. Ciò significa che si arrangia con loro e quindi per il servizio interno nostro la Posta diventa inutile. Non posso sottacere questi abusi e reclamo la vostra autorità per farli cessare. La legge è chiara: i pedoni non sono pagati per favorire le frodi, bensì per favorire lo Stato. Le Sottoprefetture però insistono per fare percorrere strade diverse dal previsto, di ricevere per prime le sacche postali e di fare partire dei corrieri a cavallo per loro conto.

In questo modo si crea confusione e della confusione approfittano i pedoni per fare i loro interessi. Prendo ad esempio gli uffici di San Quirico e di Radicofani, ridotti nella loro circoscrizione a favore di Montepulciano, sede di un Sottoprefetto autoritario. In questo modo essi perdono somme importanti. Altri territori sono stati accorpati alla Sottoprefettura di Grosseto, ulteriore atto irregolare e contrario agli interessi della Posta. Mi ritengo obbligato a denunciare questa situazione e aspetto, Signor Prefetto, La risposta che spero vorrete concedermi... (Firmato Foy,)”


Era di maggio. Foy attese invano.

Sette mesi dopo giungevano le prime avanguardie del Re di Napoli, Gioacchino Murat.
 
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