Nel 1931, all’inizio dei 
      suoi decenni divistici, Beniamino Gigli veniva descritto da un notissimo 
      quanto severo critico inglese come il tenore più famoso nel mondo - il 
      possessore della più bella voce di tenore lirico in assoluto. 
      Cinquant’anni dopo, nel delineare i cantanti di maggior rilievo degli anni 
      venti e trenta, un critico americano piazzava Gigli davanti a tutti gli 
      altri tenori - compresi i beneamati Schipa, Martinelli, Pertile e 
      l’arci-rivale Lauri-Volpi. Infatti il tenorissimo recanatese aveva 
      conquistato senza troppi sforzi il trono lasciato vacante dal grande 
      Caruso nei cuori non solo dei melomani più agguerriti ma, soprattutto, nei 
      cuori del pubblico in generale. E’ facile in questo 2007 fare subito un 
      parallelo con Pavarotti, e in effetti anche il nostro Luciano aveva una 
      notorietà internazionale praticamente imbattibile. 
      
      Certo i tempi di Gigli erano molto diversi, tant’è che a 18 anni a 
      Macerata il nostro tenore, pur di farsi strada, si trasformò in soprano 
      per il ruolo principale nell’operetta La fuga di Angelica. “Nacqui 
      con una voce e poc’altro: niente soldi, nessun ascendente e nessun altro 
      dono di natura,” scriverà il tenore nella sua autobiografia pubblicata nel 
      1957. 
      
      Nel 1914 fece il suo debutto ufficiale a Rovigo nel ruolo impervio di Enzo 
      Grimaldo nella Gioconda di Ponchielli. Come raramente succede fu un 
      successo di pubblico e di critica che lo portò subito sulle scene di altri 
      teatri importanti, ed è proprio di questi inizi promettenti il primo 
      documento postale e tematico che consiste in una cartolina del 16 aprile 
      1915 spedita da Palermo, e firmata - inaspettatamente - “Mino”. Ad 
      impreziosire questa chicca è il timbro impresso da un impiegato un po’ 
      svogliato - ma tuttavia leggibile - della succursale di “Piazza Giuseppe 
      Verdi”. Quando si dice la coincidenza!
      
      
      Infatti il nostro Mino 
      aveva cantato per la prima volta nel ruolo di Faust nel Mefistofele 
      il 31 marzo proprio al Teatro Massimo di Palermo. In questi anni aggiunse 
      al suo repertorio quelle opere che poi gli daranno fama per altri 40 anni:
      Cavalleria Rusticana, Pagliacci, Lucia di Lammermoor, la Favorita e la 
      Boheme. Al Colon di Buenos Aires, nel ‘19, si cimentò per la prima 
      volta nel ruolo di Gennaro nella Lucrezia Borgia di Donizetti - un 
      ruolo a lui caro che gli darà parecchie soddisfazioni. Ma è il suo 
      ritratto artistico e vocale di Canio nei Pagliacci di Leoncavallo 
      che ha fatto colpo sul mondo filatelico. Infatti troviamo il suo “Vesti 
      la giubba” nell’annullo speciale usato a Recanati nel 1977 per 
      celebrare il ventesimo anniversario della sua morte, e ora nel dentello 
      2007 dove lo si vede in primo piano con un cappello (non si capisce il 
      perchè visto che non era un suo cliché come invece lo era il fazzolettone 
      per Pavarotti) e sullo sfondo il clown sconsolato dopo la scoperta del 
      tradimento della sua dolce metà. 
      
      Anche senza la televisione, che tanto ha giovato ai tre tenori negli 
      ultimi ventanni, Gigli comprese subito l’importanza della radio che a 
      detta di un altro critico inglese il nostro tenore aveva quasi 
      monopolizzato in Europa e altrove. Sempre negli anni trenta e quaranta 
      Gigli non trascurò la stampa, il cinema e l’industria discografica.
      
      
A ben guardare non furono le interpretazioni leggendarie dell’Africana, 
      Manon, Andrea Chenier, ed Elisir d’amore - tanto per citarne alcune - 
      a renderlo famoso ovunque ma i ruoli popolareschi del verismo operistico e 
      ancor più le canzoni, specialmente quelle accoppiate con pellicole ancora 
      richieste negli anni cinquanta e sessanta, come Non ti scordar di me 
      (1935) e la popolarissima Mamma (1941). E fu proprio Mamma 
      che gli valse il primo dentello italico in quel di San Marino nel 1996. 
      Nel frattempo il tenore era stato ricordato con una serie di annulli 
      speciali: 1982, Recanati; 1984, Trieste; 1987, Ronchi dei Legionari 
      assieme all’altro astro recanatese, Giacomo Leopardi; 1990, Recanati; e 
      poi nel 2000 a Fabriano nel centodecimo anniversario della nascita.  
      
      
      Sono 
      queste commemorazioni marcofile a tutti i costi che non solo tenevano 
      accesa la fiamma della popolarità di Gigli ma sottolineavano anche la 
      necessità di un francobollo vero e proprio per un grandissimo artista che 
      ha svolto egregiamente il ruolo d’ambasciatore della cultura e arte 
      italiana per due generazioni in tutto il mondo. Nel ‘90, l’occasione per 
      un dentello celebrante il centenario della nascita non trovò spazio in un 
      programma filatelico affaccendato a ricordarci l’importanza del calcio con 
      non meno di 38 francobolli. Il lettore non interpreti queste parole come 
      un risentimento verso lo sport, ma vi legga invece un invito ad un 
      approccio più equilibrato dove vi sia uno spazio adeguato e soprattutto 
      proporzionale per i valori culturali del Bel Paese.
      
      Tra gli spunti tematici per il collezionista sagace varrebbe la pena di 
      citare i teatri principali che videro i trionfi di Gigli, come ad esempio 
      la Scala dove cantò nel ruolo di Faust con Toscanini al timone 
      dell’orchestra. Questo ruolo lo esportò al Metropolitan di New York per il 
      suo debutto guadagnandosi applausi scroscianti, 34 chiamate alla ribalta e 
      un biglietto di felicitazioni da Caruso stesso. Questo in un tempio della 
      lirica che pochi mesi dopo lo incoronerà come successore ufficiale di 
      Caruso. Del Colon di Buenos Aires si è già detto, mentre il suo esordio 
      londinese al Covent Garden dovette attendere fino al 1930. Fu accolto da 
      articoli osannanti con titoli a caratteri cubitali come “Il grande nuovo 
      tenore” - quasi che 10 anni di trionfi in Europa e America non contassero 
      nulla.
      
      La sua carriera si concluse con una serie di concerti su entrambe le 
      sponde dell’Atlantico. Ancora dotato di un grande magistero vocale e di 
      una presa sul pubblico notevolissimo, Gigli decise di ritirarsi dalle 
      scene. La sua scomparsa nel ‘57 segnò la fine di un’epoca e anche l’inizio 
      di una lunga attesa di un successore degno di tal nome che purtroppo non 
      e’ arrivato. Invece, dopo non poca attesa, finalmente è arrivato un 
      francobollo che lo onora filatelicamente come si deve e per di piu’ in 
      compagnia di un’altra figura leggendaria della lirica come Maria Callas — 
      entrambi agghindati non per il palcoscenico ma per una serata al Biffi 
      Scala.
      
      
       
      