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Il Maresciallo d'Italia ENRICO CAVIGLIA
di Alberto CAMINITI (da http://www.acciesse.org/)

In questa seconda parte (vedi: Due comandanti liguri nella Grande Guerra: Enrico Caviglia ed Antonio Cantone) andremo ad esaminare la figura di quell’altro ligure che tanto si prodigò per la propria Patria.
Enrico Caviglia nacque da Pietro e da Antonietta Saccone, sesto di una numerosa famiglia di marinai- pescatori di Finalmarina; questo grosso borgo – che oggi si chiama Finale Ligure e fa parte della provincia di Savona, allora – invece – era compreso nella provincia di Genova; Caviglia vi nacque il 4 maggio 1862 e vi morirà il 22 marzo 1945. Dopo aver compiuto i primi studi a Finalmarina, entrò nel Collegio Militare di Milano il 1.3.1877 (quindicenne) e nel 1880 si iscrisse all’Accademia Militare di Torino. Per correntezza di narrazione, esporremo la sua carriera militare, di cui raggiunse i vertici più alti, in un apposito prospetto in calce al presente articolo. Concentriamoci adesso sulla sua figura di militare e di politico.



Fig. 1 - Enrico Caviglia

Come scrivono alcuni suoi biografi, difatti, Caviglia fu – come militare – un po’ anomalo, in quanto il suo spirito d’osservatore del mondo esterno, lo fece appassionare d’arte, in special modo di pittura, di cui senza dubbio era un critico esperto; i “macchiaioli“ furono i suoi preferiti. Nel limite delle proprie possibilità acquistò tele di Fattori, De Nittis, Signorini e Lega, con cui arredò le pareti della sua residenza finalese.
Fu anche ottimo scrittore (in seguito elencheremo tutti i suoi numerosi scritti); era una bella penna, tagliente, dallo stile veloce e scorrevole; le sue pagine sono argute, taglienti e perfino intrise di uno spirito d’humour. Taluni giudizi erano delle sciabolate, non delle semplici considerazioni.
La curiosità, tipica della sua natura marinaresca, gli faceva osservare l’intera visuale di un problema e se gli veniva ordinata una soluzione, state tranquilli che egli la raggiungeva rapidamente e con efficacia. Lo si vedrà quando gli venne affidato il problema di Fiume e di D’Annunzio. Naturalmente ciò gli comportò di avere più nemici che amici o alleati, ma egli, nella sua durezza e cocciutaggine ligure, non si curò degli oppositori e proseguì dritto per la sua strada.
Chi si interessa di Storia sa che spesso si incontrano figure che il Destino sembra aver disposto che si attraversino la via più volte, con effetti in pochi casi benefici, molto più spesso negativi. Così fu per Caviglia che ebbe sempre come antagonista Badoglio, il quale gli complicò spesso l’esistenza. Sarà così per Caporetto, per Fiume e per l’infausto 8 settembre 1943. Lo scrittore Mario Cervi definisce addirittura in un suo scritto Caviglia come “l’anti- Badoglio“ ed è indubbio che i due marescialli si odiavano a vicenda; solo che Caviglia lo faceva apertamente, l’altro – come suo “stile“, in maniera subdola. Avremo modo di valutare meglio l’argomento più appresso, ma ora andiamo a sviluppare le varie fasi della carriera di Caviglia, iniziando dalle campagne coloniali.



Fig.2 = Capo S.Donato a Finale L., dove Caviglia è tumulato



EPISODI PIU’ IMPORTANTI DELLA CARRIERA DI CAVIGLIA.

ADUA - L’aver partecipato a questa grande battaglia coloniale e – soprattutto – esserne uscito fra i pochi superstiti, segnò profondamente Caviglia. Ma mentre quella che in seguito verrà denominata “sindrome del sopravvissuto“ (come mai io sono vivo e tanti altri sono morti?) per lo più indebolisce e deprime chi ne soffre, in Caviglia ebbe l’effetto contrario: lo rinforzò e lo convinse di essere un predestinato, un immortale! Chiede - ed ottenne - di essere sottoposto a Corte Marziale.
La decisione fu di assoluzione totale: si era comportato valorosamente in battaglia e solo il Caso aveva voluto che salvasse la pelle. Questo, l’uomo ed il militare!
Ricordo che ad Adua morirono sul campo due generali (Da Bormida ed Arimondi), 270 ufficiali e 4.000 soldati italiani, nonché 2.000 ascari).

MANCIURIA - L’invio in Manciuria quale osservatore presso lo Stato Maggiore Imperiale giapponese, ebbe poi due effetti positivi: Caviglia imparò a comportarsi in maniera diplomatica con gli stranieri ed in più vide in azione due fra i più grandi strateghi nipponici: il Maresciallo Oyama e l’invincibile generale Nogi, quello di Port Arthur, e da loro trasse importanti esperienze relative alle manovre sul campo di grandi Unità (Divisioni ed Armate), al loro rapido spostamento, alle tattiche diversive, all’importanza dell’artiglieria – se opportunamente concentrata – in appoggio alla fanteria ed alla concentrazione delle truppe in un sol punto onde portare il colpo definitivo vincente.


Fig. 3 = Il gen. Nogi e l’amm. Togo, vincitori nella guerra russo - giapponese 1904-05

Fig. 4 = Pietro Badoglio che incrociò più volte la strada di Caviglia


GRANDE GUERRA - Ciò spiega la rapida carriera svolta in tale conflitto: fu uno dei pochi generali che non venne mai battuto ed a Caporetto prima salvò il proprio Corpo d’Armata (XXIV) dallo sfacelo e poi difese la linea del Piave e lanciò la sua 8^ Armata nella vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto. Veniamo – appunto – a tale fatidico e doloroso momento.
E’ pacifico ormai per gli storici che Caporetto fu il frutto degli errori tattici e strategici degli alti comandi italiani, partendo da Cadorna (che infatti fu subito dopo sostituito da Diaz), da Capello (comandante della 2^ Armata sul cui fronte avvenne lo sfondamento da parte degli austro-tedeschi), arrivando infine ai capi dei tre Corpi d’Armata interessati e coinvolti: Cavaciocchi del IV, Badoglio del XXVII e Bongiovanni del VII. A ciò si aggiunge l’uso improprio delle nostre artiglierie che si evidenzia come segue:

  • Inesistenza di istruzioni per i comandanti delle batterie circa l’uso “difensivo“ dei pezzi;
  • Errato ordine di Cadorna a Capello di lasciare i piccoli calibri nelle trincee ed i medi sulla Bainsizza, alterando in tal modo lo schieramento complessivo;
  • Testardaggine di Badoglio che riservò solo a sé la facoltà di ordinare il fuoco dell’intero parco-artiglierie del suo XXVII C. d’A. , impedendo al Colonnello Cannoniere (nomen, omen!) di sparare ad alzo zero sui nemici avanzanti.

Tutto ciò rese libere le truppe austro – tedesche di sfondare il fronte a Tolmino ed a Plezzo, di far avanzare le loro truppe d’elite creando ovunque teste di ponte, per cui alla fine fu raggiunta la cittadina di Caporetto e si spalancò davanti agli increduli nemici l’intera Val Natisone; Udine era ormai ad un passo!
Caviglia prese allora in mano la situazione e, per non essere accerchiato su entrambi i fianchi, dove gli altri Corpi d’Armata avevano ceduto, senza aspettare ordini, organizza un’ordinata ritirata delle proprie truppe e le porta in salvo prima sul Torre, poi sul Tagliamento, piazzandosi infine lungo il Piave; da lì nessuno sarebbe passato. E difatti lì l’avanzata venne fermata.
Caviglia vede, con rammarico, l’infatuazione che Diaz ha per il giovane Badoglio, considerato da lui come una vera “testa d’uovo“ della strategia militare. Diaz lo assolve da ogni accusa e lo vuole vicino a sé, nel suo Stato Maggiore.
Diciamo, per l’esattezza storica, che Badoglio – entrato in guerra da semplice Tenente Colonnello – si era fatto conoscere come un ottimo stratega nei primi anni del conflitto: suo il capolavoro della conquista del Monte Sabotino mediante l’uso di gallerie scavate a poca distanza dalle linee nemiche che aveva permesso con un rapido colpo di mano la conquista di quella che era considerata una vetta inespugnabile. Ricordiamo che a fine guerra, il re – motu proprio – nominerà difatti Badoglio marchese del Sabotino. In soli due anni, con l’appoggio di Capello, suo superiore, Badoglio fu promosso per meriti di guerra, in rapida successione, Maggior Generale (6 agosto 1916) e Luogotenente Generale (maggio 1917), sicchè nella di poco successiva 12^ battaglia dell’Isonzo (Caporetto) il giovane generale piemontese comandava – come abbiamo detto – il XXVII Corpo d’Armata.





Figg. 5-6 = Due lettere autografe di Diaz e di Caviglia; non è facile vedere un’accoppiata di firme di due Marescialli d’Italia in una sola volta!

QUESTIONE DI FIUME - Andiamo adesso ad osservare cosa avvenne a Fiume, la storica città dalmata che sembrava destinata ad essere affidata – dalle Potenze vincitrici - alla neo-costituenda Jugoslavia, che in pratica era la vecchia Serbia ingrandita dalle numerose annessioni di province ex austro- ungariche dei Balcani. Rinfresco la memoria ai più distratti: già a fine conflitto, intorno a Belgrado si coagularono molte e diversificate richieste di annessione da parte di etnie di lingua serbo- sloveno- croata. Le potenze vincitrici però non vedevano di buon occhio che nei Balcani (la polveriera d’Europa!) si costituisse una grande potenza, per cui non riconobbero la Grande Serbia che si andava formando sotto Alessandro I. I nazionalisti italiani però temettero che anche la Dalmazia, storica regione di tradizioni e lingua italiane, venisse annessa da Belgrado, per cui D’ Annunzio , allora popolarissimo come poeta (il Vate) e come eroe di guerra (Beffa di Buccari e volo su Vienna) giocò d’anticipo e raccolse a Ronchi circa 2.600 militari volontari del Regio Esercito (i Legionari), marciò su Fiume e proclamò la cosiddetta Reggenza del Carnaro, con l’intento – più avanti – di far annettere con un locale plebiscito Fiume all’ Italia.
Le maggiori potenze europee richiamarono l’Italia al rispetto delle clausole del Trattato di pace di Parigi (1919) che affidava a pacifiche trattative italo- serbe la risoluzione dei confini tra le i due regni.
Qui scattò la tipica astuzia contadinesca di Badoglio, allora Regio Commissario per la Venezia Giulia, e quindi competente per il settore dalmata. Egli intuì che sarebbe da lì a poco sorto un pericoloso casus belli, e richiese, ottenendolo, di essere assegnato ad altro incarico. Il governo allora in carica di Giolitti scelse come suo successore proprio Enrico Caviglia, che si trovò quindi di colpo responsabile della pericolosa questione fiumana. Egli da militare obbediente agli ordini superiori e fedelissimo alla Corona, non vide altro modo per la soluzione che quello militare, l’unico in pratica che conoscesse. Concesse a D’Annunzio 48 ore di tempo (24 dicembre 1920) per lasciare coi suoi legionari la città, e poi ordinò alle truppe da lui dipendenti ed alla aliquota di flotta assegnatagli per l’impresa (Divisione navale dell’Amm: Simonetti) di attaccare Fiume, bombardandola con le artiglierie di terra e di bordo. Fu quello che passò alla storia come il Natale di sangue di Fiume (26 dicembre 1920). Furono molti i feriti ed i morti, anche tra i civili. I legionari si arresero subito ai commilitoni del Regio Esercito, ma l’Italia tutta si schierò contro il “crudele“ generale Caviglia. Ma egli non era stato spietato, ma – come tutti i militari - era pragmatico e determinato; gli avevano dato un ordine e lui l’aveva eseguito rapidamente e con successo. Comunque rimase nella lista nera dei nazionalisti italiani e quando – poco dopo – Mussolini prenderà il potere, Caviglia verrà isolato, eliminato da ogni carica militare, in pratica esiliato nella sua villa (chiamata Vittorio Veneto) di Finalmarina. Ricordiamo infine che il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 mise poi definitivo termine alla questione fiumana, e la Dalmazia tutta fu annessa al Regno d’Italia. Ancora una volta Badoglio con furbizia si era salvato e Caviglia, per sua colpa, era diventato il nemico del Duce.

Esponiamo qui appresso alcuni supporti tematico – postali relativi alla vicenda fiumana, ricordando che D’Annunzio formò un vero e proprio Stato autonomo che stampò emissioni nel periodo della sua durata (12 settembre 1919 - 26 dicembre 1920) . La validità postale delle emissioni fiumane cessò però solo a far data dal 31 marzo 1924.


Fig. 7 = La serie con l’effigie di Gabriele D’Annunzio
del 1920; i primi dieci valori usati (Sass.113-122)



Fig.8 = L’espresso n.E-2 del 1920




Fig. 9 = Busta viaggiata da Fiume a Fiume con timbro del 1919;
bella quartina del segnatasse bruno n. 14 Sassone



Fig. 10 = Lettera viaggiata del 16.11.1921 da Fiume per Genova, affrancata con due valori
(Sassone nn. 150 e 151)

 

L’ARMISTIZIO DELL’8 SETTEMBRE 1943

Il Destino però si era riservato il colpo finale dell’ormai storico scontro Caviglia – Badoglio. Il punto di incontro non fu un crocevia affollato, ma uno stretto bivio dove – purtroppo – l’Italia trovò il momento forse più tragico e doloroso della sua storia recente: l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Personalmente aggiungo che fu la pagina più ingloriosa per il nostro Paese con la vergognosa fuga da Roma del re, del governo e dei vertici dell’esercito. Il diretto momento antecedente era stato – naturalmente – il 25 luglio 1943 quando Benito Mussolini era stato sfiduciato dal Gran Consiglio del fascismo, arrestato furtivamente ed imprigionato sino a finire sul Gran Sasso.
La caduta del Duce ad opera di un gruppo di gerarchi con Dino Grandi in testa, creò un vuoto di potere; necessitava urgentemente colmarlo con un nuovo governo che prendesse saldamente in mano sia la situazione interna (ordine pubblico) che bellica (proseguimento della guerra). Ed apparve chiaro che il futuro Primo Ministro dovesse essere persona non coinvolta col fascismo, di assoluta fede monarchica e di pugno forte. In una improvvisata riunione notturna Dino Grandi fece un nome al Ministro della Real casa duca Acquarone: il personaggio che aveva le carte in regola quale capo di governo e che assommava su di sé le doti sopra elencate, non poteva essere che il Maresciallo Caviglia, nemico giurato del fascismo e – come tale – rimasto isolato da ogni coinvolgimento politico, anzi esiliato nella sua villa di Finalmarina. A questo punto scatta la mano del Fato, né io potrei trovare un altro termine per descrivere questo istante storico decisivo per le sorti del regno. Risulta da scritti ed annali vari che il duca Acquarone rimase perplesso e poi pronunziò la frase: “Ma non è troppo anziano? “. Ormai però il gioco era fatto e malgrado l’appassionata difesa da parte di Grandi della figura del maresciallo ligure, la soluzione venne cercata altrove. Decadde la proposta Caviglia ed il futuro dell’Italia passò nella mani del Duca di Addis Abeba, Marchese del Sabotino e Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio; e ciò soltanto perché era più giovane (peraltro di soli sei anni) e perché negli ambienti politici romani si sapeva che Badoglio odiava ferocemente Mussolini, che pure lo aveva scelto quale Capo di Stato Maggiore Generale e lo aveva sempre protetto e sospinto nella carriera.
La colpa maggiore di cui Badoglio è responsabile, a parere dello scrivente, è proprio quella di non aver mai avuto l’ardine di dire al Duce che le nostre Forze Armate non era pronte per un conflitto d’ampiezza mondiale.
A questo punto ognuno dei Lettori può fare una semplice riflessione: quale svolta avrebbe dato Caviglia all’Italia il giorno dell’armistizio? Abbiamo descritto nelle pagine precedenti il carattere austero di Caviglia: era un vero servitore dello Stato, devoto alla Corona, determinato come dovrebbero essere tutti i militari. Sicuramente egli non avrebbe permesso al re, allo Stato Maggiore ed ai ministri di un suo ipotetico governo di scappare, ma – soprattutto – non avrebbe lasciato tutti i nostri ufficiali e soldati senza ordini precisi per proseguire il conflitto. Da Adua in poi aveva avversato ogni perplessità o possibilità di dubbi nella formulazione degli ordini da dare ai sottoposti. Nella Grande Guerra i suoi ordini erano brevi, chiari nel testo e nell’uso delle parole e nessuno poteva fraintenderli.
Invece purtroppo Badoglio prima di scappare disse solo che la guerra continuava e che le nostre truppe dovevano reagire al nemico da qualunque parte provenisse l’attacco. La formulazione vaga e contorta creò perplessità nei nostri comandi ovunque fossero, a Cefalonia, in Corsica, in Slovenia e nei Balcani; ed i nazisti presero il sopravvento nella penisola e negli altri territori oltremare, con le conseguenze che noi tutti conosciamo.
Fra l’altro Caviglia dopo il 25 luglio si trovava a Roma, e non certo casualmente. A Finale aveva immediatamente realizzato che si era verificato un importante evento storico ed aveva compreso che il re avrebbe dovuto accollarsi responsabilità pesantissime, che perfino la Corona era in pericolo e che la guerra era ormai perduta. Da fedele servitore dello Stato corse a Roma e sfruttando il fatto che da Collare della SS. Annunziata (cugino del re) poteva immediatamente essere ammesso alla presenza reale, offrì a Vittorio Emanuele III la sua persona, o per meglio dire, il suo braccio e la spada.
Il re, però, seguiva ormai il canto di altre sirene e non lo scelse come capo del governo.
Lo volle invece proprio l’8 settembre 1943 mattina, e quindi mentre si stava preparando alla ingloriosa fuga, come suo personale incaricato nelle trattative (per la verità molto convulse e complesse) che si stavano tenendo nella capitale, ad un tavolo coi tedeschi di Albert Kesselring e – di nascosto – ad un altro tavolo col generale USA Taylor, paracadutato a Roma perché verificasse di persona in loco che le Forze Armate italiane e lo stesso governo Badoglio stessero attuando le condizioni dell’armistizio firmato a Cassabile nelle campagne siracusane. Per cui il re, su proposta del Gen. Ambrosio in atto Capo dello S.M. Generale, il quale aveva sempre appoggiato Caviglia, gli diede pieni poteri per trattare coi vecchi e coi nuovi alleati e per far dichiarare Roma “città aperta“.
Il fonogramma venne recapitato a Caviglia dal Gen. Puntoni, Aiutante di Campo del re.
Così, ancora una volta, mentre Badoglio se la svignava, Caviglia assunse su di sé l’ingrato compito delle trattative, da bravo e fedele servitore dello Stato, sempre pronto a sacrificarsi per il bene della Corona e dell’Italia. Per pochi giorni, quindi, Caviglia fu comandante della piazza di Roma; il 10 settembre firmò con Kesselring un accordo che dispose il disarmo delle truppe italiane e la disposizione che dichiarava l’Urbe “città aperta“, salvando quindi sia la popolazione che il territorio metropolitano della capitale da bombardamenti ed attacchi nazisti o degli alleati; questi ultimi furono rasserenati dall’impegno profuso dal vecchio antifascista e rinunciarono a possibili attacchi aerei. Caviglia aveva ancora una volta assolto ai compiti affidatigli, ma questa volta lo sconforto, lo stress delle trattative, la vergogna per la fuga del re e dei vertici militari e governativi lo avevano segnato irrimediabilmente. Tornato a Finale, guardato a vista da nazisti e repubblichini, l’indomito Maresciallo verrà colpito da un ictus alle 20.30 del 22 marzo 1945: non vedrà neppure la fine delle ostilità. Quando morì stava leggendo la Divina Commedia, una delle letture preferite e nella tasca della giacca da camera i parenti gli trovarono il testamento, a dimostrazione che il grande vecchio aveva presentito l’avvicinarsi della fine.
Abbiamo visto Caviglia raffinato cultore di pittura, elegante saggista, multilingue con molti amici in Gran Bretagna e perfino nella “nemica“ Germania. Scrisse molti volumi militari e di politica, di cui daremo notizia diffusa in calce al presente articolo; il più sofferto scritto fu però il Diario che abbraccia l’intero panorama italiano dal 1925 al 1945, con le dolorose e drammatiche pagine relative al 1943 (caduta di Mussolini ed armistizio).




Fig. 11 = Lettera a firma autografa del gen. Paolo Puntoni, 1° Aiutante di Campo del re
Vittorio Emanuele III



LIBRI SCRITTI DA ENRICO CAVIGLIA

Vittorio Veneto, l’ultima battaglia - Ediz. L’Eroica – Milano 1920
La dodicesima battaglia: Caporetto - A.Mondadori 1933
Le tre battaglie del Piave - A.Mondadori 1935
Postumi: Il conflitto di Fiume - Garzanti 1948
I dittatori, le guerre e il piccolo re. Diario 1925 – 1945 - Mursia 1992

Qui di seguito presentiamo le copertine di due di tali volumi :

Figg. 12 – 13 = Copertine d’epoca di due dei testi scritti da Enrico Caviglia

 

SCHEDA BIOGRAFICO- MILIATRE DI E. CAVIGLIA

1891 - Esce dall’Accademia di Torino come Sottotenente d’artiglieria.
17.7. 1893 - Capitano presso la Direzione d’Artiglieria di Torino
31.10.1893 - Trasferito al Corpo di Stato Maggiore
4.7.1895 - Addetto al Comando della Divisione Perugia
1896- 1897 - Campagna d’Eritrea
1.3.1896 - Partecipa alla battaglia di Adua ed è uno dei pochi sopravvissuti
1904 - Addetto Militare straordinario a Tokio, quale osservatore presso il Comando giapponese in Manciuria
1905 / 1908 - Addetto Militare a Tokio e poi a Pekino
22.9.1908 - Tenente Colonnello, assegnato al X Corpo d’Armata di Napoli
10.3.1909 - Aiutante di Campo onorario di S.M. il Re
2.7.1911 - Campagna di Libia
1912 - Incaricato delle trattative per lo sgombero delle truppe ottomane e per la pacificazione dei locali capi arabi e berberi.
1913 - Vicedirettore dell’istituto Geografico Militare di Firenze
1.2.1914 - Colonnello
1915 / 1918 - Allo scoppio della Grande Guerra viene nominato a scelta Maggior Generale. Si distingue nell’ott. – nov. del 1915 sul Carso al comando della Brigata Bari. Nelle battaglie di Bosco Lancia e di Bosco Cappuccio è decorato con la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia per la perizia ed il valore dimostrato.
Giugno 1916 - Si distingue sull’altopiano di Asiago
14.6.1917 - Promosso Luogotenente Generale per meriti di guerra
Agosto 1917 - Comanda il XXIV Corpo d’Armata con cui travolge gli austriaci alla Bainsizza;
24.10.1917 - Caporetto: Riceve la Medaglia d’argento, per aver messo in salvo le sue truppe;
Ott.Nov. 1917 - Ritirata sul Piave: ripiega ordinatamente sul Piave e ricostituisce il fronte.
6.1.1918 - Membro supplente dell’O.M.S.
Novembre 1918 - Al comando dell’8^ Armata è l’artefice dell’offensiva di Vittorio Veneto; la sua reputazione è ormai ai massimi livelli, stende il piano vittorioso dell’attacco definitivo all’armata austro- tedesca e rompe il fronte avversario.
Fine Guerra - Giorgio V, re di Gran Bretagna lo nomina Sir e Comandante dell’Ordine del Bagno.
22 febbraio 1919 - Nominato Senatore del Regno e Cavaliere di Gran Croce dell’OMS.
Ministro della Guerra nel 1° governo di V.E.Orlando .
21.2.1920 - Sostituisce Badoglio nel Comando delle Truppe della Venezia Giulia annessa.
1920 - Viene incaricato del compito di rompere il blocco legionario di Fiume, col titolo di Commissario Straordinario per Fiume.
25.6.1926 - E’ nominato Maresciallo d’Italia
1930 - E’ insignito dell’Ordine della SS.Annunziata ( Cugino del Re ).
8 settembre ’43 - Ebbe per alcuni giorni il Comando delle truppe della Città di Roma, trattando coi tedeschi la resa della capitale.
22 marzo 1945 - Muore a Finalmarina nella sua villa “Vittorio Veneto”. La salma, prima tumulata nella Basilica di San Giovanni Battista in Finale Ligure, verrà poi traslata nella Torre sul mare a Capo San Donato, dove oggi riposa.

BIBLIOGRAFIA

Enrico Caviglia, Diario: aprile 1925 – marzo 1945, Tipografia Castaldi – Roma 1952
Enrico Caviglia, I dittatori, le guerre e il piccolo re, Mursia – Milano 1992
Pier Paolo Cervone, Enrico Caviglia, l’anti- Badoglio, Mursia – Milano 1992
Indro Montanelli e Mario Cervi, L’ Italia del Novecento, Rizzoli – Milano 1998
Francesco Perfetti, L’uomo che poteva salvare la monarchia, Libero – 2009

SITOGRAFIA

www.it.wikipedia.org/wiki / ( voci varie )
www.marinafinaleligure.it/
www.casoesse.org/2011/05/14/diario-maresciallo-caviglia/
www.treccani.it/enciclopedia/enrico-caviglia
www.camera.archivioluce.com/
www.isrecsavona.it/pubblicazioni/
www.centrorsi.it/notizie/


DOCUMENTAZIONE ICONOGRAFICA

Ricavati da siti vari Internet sopraccitati, in pieno rispetto normativa GNU Commons: Copertina, nn. 1.2.4.6.13;
Di proprietà dell’Autore: le restanti immagini.

 

CONCLUSIONE

Quest’anno iniziano i festeggiamenti per il 100° anniversario della Grande Guerra. Sarebbe meraviglioso se i cittadini, ma soprattutto gli studenti, si soffermassero un solo minuto a pensare che la libertà e l’indipendenza di cui oggi godono è frutto anche di coloro che nei lunghi anni del primo conflitto mondiale si sacrificarono per la Patria; ogni generazione è frutto delle precedenti, per cui dovremmo, soprattutto – ripeto – i giovani rivolgere un commosso saluto e ricordo a coloro che si immolarono per un ideale patriottico. Onore ai Caduti del 1915-1918!

Genova 1.5.2014

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