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Filatelia nelle carceri - ora tocca a Pescara - Vaccari News

OLTRE LE DURE SBARRE, POESIE SCRITTE CON I FRANCOBOLLI
di Danilo BOGONI

Anche se l’iniziativa “Filatelia nelle carceri” contribuisse a cambiare la vita di un solo recluso, “sarebbe un successo”. A dirlo, visitando la mostra allestita allo Spazio filatelia di Milano, è stata Luisa Todini, Presidente di Poste Italiane, la quale ha altresì posto l’accento sul fatto che “i francobolli hanno un duplice significato: il primo culturale, perché attraverso i francobolli è possibile passare in rassegna fatti, epoche e costumi della nostra società; l’altro, funzionale, in quanto la posta e il francobollo costituiscono il principale strumento di comunicazione dei detenuti con il mondo esterno. La mostra ‘Oltre le dure sbarre’, organizzata nel più ampio progetto ‘Filatelia nelle carceri’, ribadisce questo storico legame aggiungendo ora nuovi contenuti culturali e artistici.
La filatelia, e più in generale il collezionismo e le attività culturali – secondo la presidente Todini – possono fornire un contributo molto importante nel processo di ‘rieducazione’ che la nostra Costituzione indica chiaramente come obiettivo della pena detentiva, principio che è e resta alla base del progetto sociale ‘Filatelia nelle carceri’ promossa da Poste Italiane”.
E’ straordinario osservare come “attraverso il francobollo, attraverso lo studio, attraverso alcune immagini il Gruppo di lavoro, ha ricostruito delle poesie”. Poesie, frasi e parole unite al mondo della ruralità, della nutrizione, realizzando un inedito omaggio a Expo 2015. Attraverso questo impegno di ricerca e di approfondimento, si è riusciti “ad avere quella evasione mentale, che in alcuni casi è decisamente importante, fondamentale”.
Oltre a “nutrire il pianeta”, che è il tema Expo, la collezione ha contribuito in qualche modo a nutrire anche l’anima dei reclusi, per quello che potrà essere il loro futuro, senza per questo dimenticare il presente. Il rapporto che hanno con la famiglia, con l’esterno.
Pure Paolo Daniele Pizzuto, che all’interno del carcere di Opera svolge il delicato e prezioso ruolo di educatore, non ha dubbi di sorta. Tra i carcerati il francobollo “ha una concreta valenza rieducativa. In quanto obbliga a rimettersi in gioco sui concetti, sui valori e sui controvalori. A partire anche dalle sensazione dell’infanzia”.
Per parte sua Pietro La Bruna, responsabile di Filatelia di Poste Italiane non ha avuto difficoltà ad ammettere che “guardando la mostra un po’ di emozione l’ho avuta. Non soltanto da quello che viene scritto, pagina dopo pagina, ma anche per quello che traspare dai vari lavori”.

Come ha scritto Luisa Todini nella cartolina indirizzata “agli Amici di Opera ‘artisti e filatelici’” l’impegno è di proseguire sul cammino. “Spero di conoscervi presto”, ha assicurato, invitandoli contestualmente a “continuare così”.

A sua volta Paolo Daniele Pizzuto ha manifestato il desiderio, condiviso dalla Direzione della Casa di reclusione, di andare avanti. Ospitando la mostra in Carcere, in una galleria per consentire così una sorta di “passeggiata in lettura”. Un’occasione per mostrare alla popolazione carceraria quello che alcuni detenuti sono riusciti a fare, ma anche per far toccare con mano la realtà carceraria a chi la ignora. “Solo così sarà possibile capire fino in fondo il perché di certe scelte, il valore e l’impegno profusi” da coloro i quali hanno firmato la collezione: “Oltre le dure sbarre nel variopinto giardino filatelico con le ali leggere della poesia”, e con essa i copiosi manufatti. Dal “Cuore spezzato” alla “Cassetta d’impostazione”, dal “Veliero” (con pazienza certosina realizzato con una gran quantità di stuzzicadenti), al “Calendario del detenuto”, per finire con l’ “Albero verde”, la “Dama postale”, ricche di significative presenze dentellate, e il logo di Expo 2015. pazientemente ricostruito mediante un mosaico fatto con i francobolli.
Completava la mostra una selezione della collezione che documentava la posta da e per le carceri, realizzata da Flavio Pini. “Molti e diversi – assicura il collezionista – erano i timbri e i ‘segni’ che indicavano l’avvenuto controllo che, nella maggior parte dei casi, sia pure non facendo specifico richiamo alla censure, ne attestano comunque il passaggio attraverso il ‘sistema’ di verifica e controllo”. Infatti “i detenuti non potevano inviare e ricevere missive senza che prima fossero lette e vistate dall’autorità preposta, il direttore o un suo delegato, che aveva un autonomo potere di sequestro e censura”.