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lotta all'ultimo tarì nel Regno di Sicilia

di Giuseppe Marchese

Vi era un tempo lontano lontano in cui lo Stato si chiamava Regno e gli affari del Regno erano affari della Regia Corte.
Un re paterno e benevolo guardava sempre al bene dei suoi sudditi, chiamandoli alle volte addirittura “figli”.
Questo re si guardava bene però di risiedere nel suo Regno di Sicilia. Ne aveva un altro di Regno ben più grande e potente, la Spagna, e da lì regnava avendo inviato come suo rappresentante un Viceré.
Il re aveva sempre bisogno di tanti soldi perché “i donativi” che i suoi sudditi erano costretti ad inviargli non bastavano mai.
Le guerre e gli sfarzi della Corte costavano assai e il Re non si faceva rimorsi di vendere qualche città demaniale se il barone o il cardinale di turno erano prodighi con la borsa.
Un giorno che era a corto di città e di titoli nobiliari da vendere gli venne fatta una cospicua offerta per “affittare” il Corso delle Poste di Sicilia e di Napoli.
L’affare si fece e una cospicua somma si trasferì nelle sovrane stanze.
Per i sudditi del Regno parve che nulla fosse cambiato. Le poste funzionavano lo stesso e le lettere si pagavano lo stesso al loro arrivo.
Tutti contenti in quella felice isola ? Parrebbe ma non è così.
L’accordo prevedeva che i proventi andassero all’Ufficio del Corriero Maggiore, ma che lo Stato, ovvero la Regia Corte, doveva pagare i servizi per le lettere che venivano spedite dai funzionari e che costituivano un pesante fardello per le tasche dell’Erario.
Tra l’altro lo Stato, che era la Regia Corte, lasciava nelle mani del Corriero Maggiore anche le lettere di notevole importanza; anche le lettere del viceré per l’augusta persona del re erano affidati ai Corrieri di confidanza (in altri Stati si chiamavano corrieri di gabinetto) addetti al trasporto di delicate missive diplomatiche, viceregie, regie ed imperiali.
La burocrazia siciliana aveva anche bisogno di trasmettere spesso “bandi e comandamenti” a tutti i comuni dell’Isola. Alle volte la cosa era parecchio urgente.
Si poteva mandare un messo apposito pagato dal governo ? Non si poteva. Tutto il “Corso delle Poste” era occupato e quindi era il Corriero Maggiore che forniva il Corriere speciale, detto Corriere straordinario perché faceva corse, cioè viaggiava, quando vi era bisogno. In Sicilia veniva chiamato corriere Serio.
Per spedire queste circolari “urgenti e importanti” venivano adibiti cinque corrieri. Tre erano adibiti al giro per ognuno delle tre valli della Sicilia; uno per il circondario di Palermo e un altro per il circondario di Messina.
Ma chi doveva pagare al monopolista il prezzo di queste corse ? Non la corte che era sempre affamata di denaro e da quell’orecchio non ci sentiva; non il monopolista che certamente recitava “senza denaro non si canta messa”.
Si decise che ogni Comune che riceveva la circolare o bando o comandamento o lettera doveva pagare il viaggio. Il Corriero Maggiore stabilì una tariffa e i Corrieri vennero incaricati dell’esazione al momento della consegna della missiva.
Pare proprio di vederli questi Corrieri che appena arrivavano domandavano la mercede al primo eletto (Sindaco) o al Giurato (consigliere).
La prassi non doveva essere indolore e per evitare liti, discussioni, minacce e ritardi vari si decise di includere nella lettera o nella circolare l’obbligo di pagare il prezzo del biglietto.
Minacce e blandizie accompagnavano la lettera, come la seguente:

Le cose si misero a posto e per un paio di secoli le cose andarono avanti in questo modo. Le università (così erano chiamati i comuni) pagavano le spese e poiché anche loro avevano bilanci malconci escogitavano la qualunque per ricavare denaro.
L’Università di Monte San Giuliano (odierna Erice) pensò bene di mettere una tassa sulla carne di porco, e sulle frattaglie della stessa provenienza, per finanziare le spese derivanti dal trasporto della lettere di “Real Servizio”.
Così tutti erano contenti o quasi, con esclusione del porco e di chi mangiava la sua carne e le frattaglie.
Ma è lecito domandarsi del perché da Palermo o da Messina si mandavano con Corriere Serio tali circolari eccetera quando potevano spedirsi con il Corriere ordinario con meno spesa e più rapidità (come vedremo in seguito).
Il motivo principale era inerente al fatto che a Palermo e Messina volevano avere la certezza della ricezione e dell’affissione del bando.
Poiché non avevano ancora inventato la raccomandata con ricevuta di ritorno ne surrogarono il metodo.
Normalmente veniva richiesta che “in piè della quale farete ricevuta”; altre volte la procedura richiesta era “facendo al medesimo ricevuta di quelli, espressando il giorno, e l’ora, che vi saranno esibite….” O altra formula simile.

In secondo luogo volevano avere la ricevuta della ricezione e del pagamento perché…….perché negli uffici della luogotenenza (Direzione) della Posta di Palermo e di Messina erano un tantino sbadati. Alle volte nell’inviare i rendiconti delle corse effettuate per altri scopi, e non pagati in contanti dai Comuni, gli ammollavano anche quelli pagati richiedendo un alteriore pagamento.
 
Il problema dei rendiconti e della sfiducia reciproca tra Corriero Maggiore e Corte Regia è racchiuso nella inadempienza delle parti nelle regole del gioco.
La Corte era in difetto poiché a fronte delle spese anticipate dal Corriero Maggiore per l’attività dei Corrieri straordinari pagava con ritardo di anni, e alle volte anche in natura, come ben evidenzia Vincenzo Fardella nel suo “Storia Postale del Regno di Sicilia” nel primo volume.
Il Corriero Maggiore era inadempiente perché inviava conti non rispondenti alla realtà maggiorando le spese dei Corrieri straordinari e delle Corse includendo anche quelle in cui aveva percepito dalle università il compenso.
La Regia Corte teneva d’occhio le magagne degli altri e non le proprie e forse il groviglio delle spese finì per assumere vistose proporzioni. Intervenne il viceré e nel novembre 1677 ordinò “che per evitare li frodi che commettono li Corrieri per conto di loro viaggi straordinarij, stante che quelli si sogliono far pagare le solite tasse dalle dette Università fraudolentemente, con che venivano ad esigere due volte i loro viaggi una volta da essa esponente in debito della Regia Corte, e un’altra dalle dette Università….”
E’ difficile credere che le frodi venissero commessi dai Corrieri ma di più non si poteva fare. Anche il viceré aveva un’anima, e nobile per giunta, e non poteva accusare di botto la nobildonna che si chiamava de Tassis e scusate se è poco.
La signora ingoiò il rospo, ma come fu e come non fu il viceré di li a poco fece le valigie per altri lidi.
Dieci mesi dopo, il 18 settembre 1678, dietro richiesta della signora Vittoria Zapata de Tassis, il nuovo Viceré ordina “…che alli Corrieri Circolari che si spediscono per conto della R. C. nelle suddette Università del Regno, li dobbiate pagare, e far da cui si deve pagare le solite tasse giusta la nota fatta, e sottoscritta dal Luogotenente dell’Officio di Corriero Maggiore di questo Regno nella forma che sempre s’ha costumato, e cossì eseguirete, e non altrimenti…”.
Come si diceva all’epoca le vie del denaro sono infinite.
Ma chi erano questi Corrieri straordinari e come trasportavano la posta in quel felice tempo e in quella felice isola ?
Sui corrieri straordinari si sa poco. Erano persone proprietarie di una vettura (ossia cavalcatura) e erano di condizione ignobile (tutti erano ignobili in quel tempo, eccetto i nobili) venivano impiegati dal Corriere Maggiore col sistema: “…e rimpiazzeranno questi in caso di loro mancanza, ed altri sei soprannumerari per supplire agli abilitati ove tutti potessero trovarsi occupati, come attualmente sono istituiti. Altri due Corrieri abilitati anche saranno stabiliti in Messina onde poter supplire colà le mancanze dè Corrieri proprietari, ed adempire le corse straordinarie, che potranno richiedersi per non alterare il turno dè Corrieri. Questi avranno anche lo assenzo a Corrieri proprietari.”
Percepivano il compenso di onze 6 e 20 al mese oltre al diritto al “fuoco e alla paglia”.
Per sapere cos’era questo diritto si riporta una nota del 1791 del Luogotenente della posta di Messina: “...ben sà V.E. che quant'ebbero aumentata la paga (i Corrieri Straordinari) sino a onze 6.20. al mese rimase a loro carico di pagare le razioni di stalla e tutt'altro in qualunque posto che trovansi. In questo posto adunque dovrebbero soffrirne il peso. Ma io, ciò non ostante, per agevolarli, ho avuto la premura di approntare loro dentro la casa di quest'ufficio una stalla più pulita, più adatta di quella che a lor dispendio incontrano nei Fondachi e posti di viaggio...per essi poter dormire con minore disaggio di quello che patiscono in detti fondachi. E perché nella medesima vi si trovava il detrimento dei luoghi, io ho fatto levarlo procurando così tutti i mezzi di esimerli da ogni patimento.
Eglino però qualche volta di rado non han voluto farlo dicendo che lor piaccia meglio recarsi nei Fondachi, ove trovano, non solamente il comodo per le vetture, ma anche per loro del letto; e si sono spiegati chiaramente che per uso di questa stalla vorrebbero una stanza provvista di letto, lume e fuoco cosachè lor non può competere affatto, poiché tutto ciò lor vien considerato, e compreso nella predetta mensuale onze 6 e 20.
Messina 25.2.1791”.

Ecco l’incontentabilità umana dei Corrieri straordinari che rifiutano la comoda stanza perché manca “letto, lume e fuoco”. A pensare che nei fondaci dove sogliono dormire hanno sì questi tre per loro importanti simulacri ma, come disse un viaggiatore straniero, in quei fondaci “uomini e bestie promiscuamente dormono”.
D’altra parte una persona che vive per oltre 12 ore al giorno in sella al proprio cavallo decrebbe aver voglia di un poco di libertà.
Oltre alla magrolina paga e alla paglia, al lume e al fuoco, ben altri pericoli sono sul capo dei Corrieri.
Una volta sono le strade a portare pericolo “vedendosi impossibilitati a tragittare il Vallone della Motta, le valanche di Torremuzza, Naso e Tusa tutte e quattro esistenti nei rispettivi territori e il passo chiamato di Pietraperciata, ossia Falconaro nel territorio di Giojosa si sono protestati di non potere perdere la vita, e la loro vettura nell'incontro di tali passi tutti diroccati e resi affatto impraticabili motivo per cui vengono costretti a fermarsi ove si trovano, e intraprendere a punta di giorno il di loro cammino”;
Di altra natura il rischio di rapine. “ I Corrieri esposti a tutte le intemperie dalle più calde e agghiaccianti stagioni, debbono anche rischiare la vita, rischio che essi conoscono più d'appresso per i continui ladroneggi che impunemente si commettono.”.
Non capitava spesso ma era possibile anche: ” Le inoltrai per dipartimento di Polizia del naufragio disgraziatamente sofferto del Corriere della corsa traversa da Trapani a Mazzara che il giorno 2 si annegò nel Fiume del Granatello nella via da Marsala a Trapani mentr'era di ritorno dalla sua corsa; e le rassegnai ben'anco il rinvenimento del cadavere e lo smarrimento della valigia, accaduto per effetto del disgraziato incidente.”
Ma quale era il percorso del Corriere straordinario nella sua solitaria gita attraverso il Val di Mazzara?
Vi erano due corse che ci interessano. La prima viene effettuata dallo straordinario del Circondario di Palermo attraverso Monreale, Partinico, Valguarnera, Calatafimi, Vita, Cinisi, Carini, Torretta, Capace, Altavilla, Trabia, Vicari, Menzoiuso, Marineo, Godrano, Ogliastro, Misilmeri, Parco, Piana delli Greci, Castronovo, Cammarata e San Giovanne.

L’Itinerario del Corriere straordinario secondo una indicazione del 1701. Non sono riprese tutte le tappe del viaggio.
 La seconda cartina riporta l’itinerario all’incirca del 1780 ripresa da un elenco promiscuo dei comuni delle tre valli (Val di Mazzara, Val di Noto e Val Demone). Non sono elencati per tragitto e quindi non è possibile tracciare sulla mappa il percorso.

Il territorio della Valle di Mazzara e alcune delle località (in bianco e alcune in nero) che facevano parte del viaggio del Corriere straordinario.
La durata del viaggio doveva essere considerevole. Tenendo conto della lenta marcia del mulo, del periodo di riposo, del periodo di attesa (di circa un’ora) in ogni comune per le pratiche inerenti la registrazione e l’affissione del bando, e del pagamento della tariffa di viaggio, si può presumere oltre 10 giorni.
Da alcuni documenti ove è registrata la data di partenza e di consegna si hanno notizie più precise (il tragitto è quello da Palermo a Sciacca):

Parte da Palermo il 13 agosto 1657 arriva il 2 settembre 1657 (giorni 20)
Da Palermo 21 giugno 1658 arriva 10 luglio 1658 (giorni 18)
Da Messina 29 ottobre 1678 arriva l’1 dicembre 1678 (giorni 32)
Da Palermo l’1 aprile 1689 arriva il 19 aprile 1689 (giorni 18)
Da Palermo 7 novembre 1691 arriva 23 novembre 1691 (giorni 15)
Da Palermo 5 febbraio 1692 arriva 16 maggio 1692 (giorni 99)
Da Palermo 31 agosto 1693 arriva 12 settembre 1693 (giorni 12)
Da Palermo 24 ottobre 1693 arriva 6 novembre 1693 (giorni 13)
Da Palermo 4 marzo 1694 arriva 18 marzo 1694 (giorni 14)
Da Palermo 27 giugno 1703 arriva 6 luglio 1703 (giorni 9)
Da Palermo 28 giugno 1703 arriva 6 luglio 1703 (giorni 8)
Da Palermo 23 giugno 1703 arriva 30 giugno 1703 (giorni 7)
Da Palermo 30 giugno 1712 arriva 26 luglio 1712 (giorni 26)
Da Palermo 27 ottobre 1714 arriva 8 dicembre 1714 (giorni 42)
Da Palermo 17 Novembre 1714 arriva 8 dicembre 1714 (giorni 21)
Da Palermo 20 luglio 1714 arriva 18 agosto 1714 (giorni 29)
Da Palermo 3 settembre 1715 arriva 12 settembre 1715 (giorni 9)
Da Palermo 12 febbraio 1728 arriva 29 marzo 1728 (giorni 45)
Da Palermo 28 settembre 1757 arriva 5 ottobre 1757 (giorni 7)
Da Palermo 16 novembre 1757 arriva 25 novembre 1757 (9 giorni nave svedese sospetta di contagio)
Da Palermo 20 febbraio 1768 arriva 3 marzo 1768 (giorni 11)
Da Palermo 21 marzo 1780 arriva 4 aprile 1780 (giorni 14)
Da Palermo 20 ottobre 1781 arriva 10 dicembre 1781 (20 giorni la presente con altre circolari)
Da Palermo 6 giugno 1796 arriva 8 luglio 1796 (giorni 33 nelle attuali circostanza di guerra si impedisca l’emigrazione…)

Il più rapido percorso viene compiuto in 7 giorni (2 volte); il viaggio più lungo, escludendo uno da giorni 99 forse per errore trascrizione, è di giorni 45 e un’altro da 42.
Considerando che Sciacca è posta a circa la metà del percorso completo ne deriva che grosso modo il tour si completava in giorni 15 nel migliore dei casi.
Si deve considerare che ci si può fare un’idea del percorso e del tempo impiegato ma attualmente non abbiamo precisi itinerari e tempi di percorrenza.
Infatti parecchie volte la partenza del Corriere straordinario veniva ritardata in attesa di nuove circolari, e con maggiori introiti. E’ quindi possibile che una circolare datata poniamo il 12 sia poi partita il 15 o il 20.
Ci si domanderà che tipo di ordini, bandi e circolari portavano questi Corrieri.
La lettera circolare era sempre di una certa importanza. Generalmente erano bandi che dovevano essere affissi per avere valore di legge; altri erano informazioni sul censimento e sulle attività produttive; un certo numero riguardano la piaga di allora, le epidemie, e il conseguente rifiuto di accogliere bastimenti provenienti da porti sospetti ovvero di bandiera sospetta (nel senso che provenivano da un porto dove si sospettava la presenza di “mal contagioso”); altri ancora sollecitano il pagamento del “donativo” cioè della tassa da corrispondere alla corona a carico di ogni comune.

Ecco un esempio:

Era dunque successo che nel giugno 1760 la barca del Padron Giovan Battista Sanguinetti “nel calare terra a Salonicco si era attaccata la peste” ed erano morte due persone. In arrivo a Genova la barca era stata posta in quarantena nel lazzaretto di “Varigano” e aveva fatto “i necessari spurghi”. Si teme il diffondersi del contagio poiché “per consimile caso trovasi sospetta la Provenza, e la Toscana…”. Per non correre rischi si pone la quarantena al naviglio mercantile con provenienza “dal Genovesato alla contumacia di giorni quattordici”.
La Real Segreteria di Napoli trasmette al viceré Fogliari l’ordine il 18 settembre. Il 2 ottobre il viceré informa la Deputazione del Regno di Sicilia, la quale il 4 ottobre emana la circolare che ordina la quarantena per tutte le barche provenienti dalle parti di Genova.
 Chi e che fisionomia aveva lo straordinario è presto detto: piccolo di statura, gambe arcuate, volto abbrustolito dal sole e cosparso di rughe, il Nostro sapeva leggere e scrivere ed era proprietario di un mulo o una mula. Non aveva un ingaggio stabile ma percepiva la mercede a viaggio. Il soldo era omnicomprensivo; paga, sostentamento del cavallo, diaria, vitto, alloggio, nella forma detta prima.
Ferie e pensioni neanche a parlarne.
Eppure nella società di allora era un privilegiato. Aveva un lavoro continuativo e poteva, volendo, fare qualche extra trasportando lettere private o denaro per conto terzi. Protetto dal foro militare portava “la scopetta” (fucile) e coltello a molla, di parecchi centimetri, detto comunemente “allicca sapuni” con cui difendeva la sua vita e il suo bene più prezioso: la mula.
Essenzialmente era un uomo che doveva difendersi da solo e non poteva far fede sugli apparati. Se subiva una rapina doveva o mollare o difendersi. Non vi era capitan d’arme o milite che avrebbe mosso un dito per ritrovargli il mulo o il maltolto. Se gli capitava qualche disgrazia il mondo continuava a girare come prima. Solo qualche riga in più per riportare il fatto.
Il suo ambiente era quello della strada, in cui passava gran parte del suo tempo. La famiglia forse non era il suo forte. Preferiva i fondaci, che funzionavano anche da osterie.
I rapporti con gli altri ceti sociali lo lasciavano indifferente. Aveva una istintiva antipatia per i “don” che regnavano negli uffici e costoro non nascondevano il loro disprezzo per la sua categoria. Con i marchesini e i baronelli, alias nobili cadetti e spiantati, che dirigevano gli uffici postali era un reciproco stare alla larga. Essi, i nobili spiantati, li consideravano benevolmente “uomini da poco” e si può ritenere che gli straordinari non avessero un gran bel concetto di loro, ma di ciò non vi è traccia nella carte delle Poste scritte dai don e dai baronelli.
Con i nobili veri, quelli che avevano l’argent, nessun rapporto, come se gli uni vivessero sulla terra e gli altri sulla luna.
Se avete letto il libro di Andrea Camilleri “il re di Girgenti” o qualche novella di Giovanni Verga, vi sarete fatti un’idea delle reciproche posizioni di allora.

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