S. P. del Regno delle due Sicilie

 

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La guerra di corsa dei "Trapanisi"

di Giuseppe MARCHESE (Numero unico Drepanumfil 2003)

Corsari, pirati, bucanieri a sentire questi nomi giungono alla mente letture giovanili, Salgari, soprattutto. I fratelli della costa, il corsaro nero…. E navi, navi con enormi vele, spagnole per lo più, che sparano una salva di cannoni che avrebbe potuto distruggere una città.

La guerra che si combatte nel mediterraneo tra il XV e il XIX secolo è una guerra di religione in cui da una parte stavano i paesi cattolici o cattolicissimi: la Spagna, la Francia, l’Austria, Venezia, il papato, la religione gerosolimitana, eccetera contro “i turchi” intesi come popolazioni del nord africa (Tripoli, Tunisi, Algeri) sotto la copertura dell’impero ottomano.

Il frutto più appariscente di questa attività erano gli schiavi. Nell’occidente “cristiano” gli schiavi erano un elemento di elevazione sociale. Nel paese dei “turchi” erano una preziosa fonte di reddito. Lo schiavo campava e produceva per il suo padrone, il quale lo poteva anche affittare. Certe volte gli toccava assaggiare il remo e talvolta diventava pirata egli stesso.

I corsari nostrani

La pirateria di legni nostrani ha le due facce: l’esigenza di difesa della popolazione soggetta a ripetuti attacchi (specialmente le Isole Eolie, le Egadi, Trapani, Ustica); la promessa di un bottino consistente, in cui era compreso anche la tratta degli schiavi.

Specialmente la seconda fu la molla che mise in piedi l’industria della pirateria nelle città siciliane.

La prima prammatica che stabilì la divisione delle catture venne emanata da Carlo V nel 1549 e la riporta Francesco Luigi Oddo nel volume “La Sicilia sotto gli assalti barbareschi e turchi”. (1)

Dal volume del Pugnatore si ricava: “Quasi per un certo influsso celeste successe che l’anno 1582 molte genti di Trapani, avendo per prima avuto dalle guardie della Favignana aviso cò segni di alcuni vasselli di corsa che quivi apiatati stavano, preda aspettando, più volte con certe loro barchette a trovarli infin nelle cale, dov’erano, animosamente se ne girono: ove si felicemente gli assaltarono che, ad uno et a due alla volta, ne presero in poco tempo diversi. Laonde Marc’Antonio Colonna, che allor era viceré di Sicilia, in ricompensa del gran valore da loro, con core e con forza, in quelle prove mostrato, per dar a costoro più animo di porsi a simili imprese, li fece esenti dall’obbligo, che per antic’uso è in Sicilia di darsi all’ammirante reale la decima delle prese che in mare combattendo cò nimici si fanno, ordinando che il tutto fosse intieramente di quelli che si ponessero in avventura di fatti simiglianti.(2)

Ci si accorse, in quel lontano 1582, che il gioco fruttava di più in luogo di andare a pesca di sardine; quindi “Per lo che i marinari di Trapani si inanimarono tanto che l’anno seguente (1583) avendo armato insino a tredici tra bergantini (brigantini) et altri cotal legni somiglianti, ebbero l’ardire di assaltar in Africa la terra di Monastero (Monastir) e di prenderla appresso e saccheggiarla". (3)

Non vi è dubbio che fin quando non era concessa ai corsari la spartizione del bottino, la guerra di corsa ebbe carattere episodico.

Le maglie si allargarono a poco a poco e in questa fase persone che disponevano di denaro armarono in corso delle navi, dandole a persone ritenute abili, con patti stipulati presso notari in cui erano dettate le condizioni di armamento e della spartizione del bottino.

Infatti le prime licenze di corsa dei trapanasi avevano una limitazione imposte dal viceré Duca di Feria (viceré dal 1602 al 1606) “pueder armar y salir contra los dichos cossarios en la forma y manera que lo han hecho por lo passado sin incurrir por ello en pena alguda, advirtiendo que non han de alargarse saliendo fuera de la costa de Trapana y las islas circumvizinas de a quella ciutad y las del Monte y Marsala y con lo toccante al aprovechamiento y application de la ropa y baxeles y esclavos que en ellos se tomaran...”. (4)

Alle volte la “battuta” aveva buon esito e tutti, o quasi tutti, erano soddisfatti, anche il vicerè a cui toccava parte della preda. Forse lo erano meno i nuovi schiavi. Nel 1649 il vicerè Giovanni d’Austria ammiraglio della flotta Spagnola, ordina di inviare a Messina “li turchi presi sui mari di Marsala da un brigantino del duca di Musimier insieme con le genti che intervennero in detta presa”. (5)

Inutile dire che una volta trascorsa la quarantena, il più delle volte il remo aspettava i turchi catturati.

Nel 1722 il Tribunale del Real Patrimonio dette licenza ai trapanesi di “abbiamo disposto che dobbiate far disporre l’armamento di galeotte felughe lunge o tartane o d’altre barche atte ad intraprendere il corso.. e venire a costeggiare seriamente li mari di questa capitale del regno... dichiariamo che tutte le prede che faranno così di Mori come di barche mercanzie et altre robbe siano tutte intieramente senza alcuna menoma deduzione acquistate alli marinari et padroni delle barche corsare s’armeranno con farli franchi del quinto della Reale Corte e diritti del Grande Almirante.(6)

Le condizioni imposte dallo Stato variavano a seconda della necessità e dell’intensità dell’offesa nemica. Nel 1749 venne concessa ai liparoti e ai trapanesi di armare navi in corsa alle condizioni:

..farlo precisamente nelli mari e coste di questo Regno e della Barberia ad esclusione di dover andare nel Levante”.

Tutte le prese che faranno siano interamente degli armatori, con che però dalli schiavi che prenderanno debbansi separare quelli che saranno di buon servitio delle galere alfin di consegnarli all’istesse pagandosi dalla R. C. (Regia Corte) 45 ducati napoletani per ciascheduno;

“Che le quarantene, nel caso non saranno alla medesima ammesse nei porti del Regno, potranno farle nei lazzaretti di Malta”;

“per ultimo se gli concedono per via di prestamo d’armi, monitioni e petre sic dicti di guerra che gli necessiteranno, da somministrarseli con la dovuta cautela nei reali magazzini di S.M. e toccanti alle galere che entreranno nei combattimenti”;

“che sappi ognuno la sua continenza per animarsi ad attendere al detto corso, sopra il proprio vantaggio, anche per estirparsi i barbari Corsari dal nostro mare che han cagionato l’inquietudine di S.M.
(7)

Manifesto del 31 Luglio 1725 a firma del viceré Fra Gioacchino Fernandez Portocarrero Conte de Palma con la quale “a ciascuno di da il permesso di potere per questa campagna di armare in corso contro detti barbari in tutta libertà, e franchezza, senza che fosse obbligato a contribuzione alcuna in caso di presa, ne al pagamento di diritto veruno, anche con farle spedire gratis le necessarie Patenti....”
Carlo VI imperatore, all’epoca re di Sicilia, intende con la guerra di corso contrastare la pirateria del Nord Africa. Le agevolazioni per chi armavano con quest’obiettivo la propria nave erano limitate a “questa campagna” e non erano di poca entità in quanto in precedenza una parte delle prede erano appannaggio della corona e dell’ammiraglio delle galere di Sicilia.

Ci si limita a questi due soli esempi in quanto l’argomento è vasto ed stato trattato da altri illustri studiosi (vedi bibliografia).*Nel 1734 la Sicilia era contesta tra gli imperiali, o austriaci, e la Spagna i quali ultimi la rivolevano assolutamente indietro. A poco a poco gli spagnoli avanzavano e gli austriaci indietreggiavano, finché agli imperiali non rimase altro spazio che le fortezze di Siracusa e di Trapani.*Adirati per la resistenza di quelle piazzeforti Don Giuseppe Carrillo Albornoz, capitano generale della spedizione Spagnola in Italia, bontà sua, bandisce la guerra di corsa contro le barche trapanesi e siracusane, ed altre di bandiera imperiale come si legge nel Bando e Comandamento.



Ma se almeno l’Albornoz era un conquistatore, che dire “delli Trapanisi” che nel 1820 si trovarono ad essere in lite con i palermitani per via che i palermitani volevano l’indipendenza e la costituzione di Spagna mentre “li Trapanisi” chiedevano solo la costituzione di Spagna

A prescindere di cosa volevano si passò direttamente alla guerra di corsa. Avvenne che capitò sotto le grinfie dei trapanesi ....” Una delle nostre barche cannoniere incrociando né mari di mezzogiorno ebbero la sorte di predare un brigantino napoletano proveniente da Malta col carico di grani di salme 280. Questo legno apparteneva al principe della Trabia e al negoziante Giovanni Riso (palermitani) e fu dichiarata buona preda”La dichiarazione di “buona preda” nel gergo di allora stava a significare che la cattura era “a norma di legge”. (8)

Manifesto a stampa del viceré duca de La Viefuille con la quale “..en vista de la instancias han heco los Trapaneses, y Liparotes, accordarles armar en corso contra Moros, que infectas las costas de este Reyno, haciendolo en ellas, y en las aguas de Berberia, sin dever en modo alguno pasar al Levante, y al mismo tiempo ordenar, que las quarantenas, en caso de predas, puedan hacerlas en los lazaretos de Malta
Il re Carlo concede ai Trapanesi e ai Liparoti di armare in corso contro la Berberia (Nord Africa) senza poter andare in Levante (impero Ottomano) con la pace già conclusa e, in tempi di pestilenza, poter scontare la quarantena nell’isola di Malta.



La difesa del litorale

La difesa del litorale da questi micro attacchi non poteva avvenire con le grosse navi da combattimento, con i vascelli da 32 e più cannoni: ce ne sarebbero voluti molti, troppi. Cosa che non era nelle intenzioni del re di Spagna sempre affamato di soldi e di navi per fare la guerra a questo e a quello in Europa, nelle Americhe, al nord, al centro e al sud.

La flotta siciliana era formata da 5 navi, portate a 6 nel 1680. Poche per tenere i mari liberi dai corsari. In più queste, quando occorreva, andavano ad ingrossare la flotta spagnola e in Sicilia si doveva correre ai ripari.

Ripari che avvennero gradualmente, al solito molto gradualmente, prima con la sorveglianza del litorale, adattando alla meglio le guardie di sanità che sorvegliavano per altri scopi la costa e irrobustendo nei mesi d’estate la guardia con l’inserimento di guardie a piede e a cavallo.

Nello stesso tempo si costruirono baluardi, forti e torri di guardia, armate o meno, per l’avvistamento e la difesa del piccolo cabotaggio. Le città marittime furono difese da muraglie, con l’aggiunta di cannoni, ricorrendo a tutte le sottigliezze come quando il Senato di Trapani propone “per la somma che doverete approntare sia considerevole e giacchè la presente urgente vi comincerete subbito col mettere a cavallo l’otto pezzi di cannone che in codesta città detenete...” (9)


La sorveglianza armata

Le guardie alla marina o le guardie del litorale erano state formate per impedire il contagio in periodi di pestilenza fuori regno.

La sorveglianza del litorale da parte di guardie armate fu il primo espediente per tutelarsi dai corsari barbareschi. All’inizio erano solo vedette che avvisavano quando avvistavano legni corsari o sospette. In seguito questa difesa fu potenziata fino a essere una forza pronta ad intervenire con le armi e ad impedire lo sbarco di corsari. Le lettere che ordinano mettere le guardie alle marine dicono costantemente che l’avviso deve essere dato “la notte col fuoco il giorno col fumo”.

Vi erano guardie “di piede e di cavallo”.

Il tipo di guardia e le distanze sono riportate in una lettera dell’8 luglio 1656 del viceré Giovanni Tellez Giròn, duca d’Ossuna di cui si riporta il passo che ci interessa: “...si ordina che che per tutto il comprensorio della marina dobbiate mettere guardie così a piedi come a cavallo in quelli posti che vi appariranno più appropriati, nonchè dette guardie non siano distante una dall’altra più di tre miglia con l’ordinare à quelli a cavallo di continuamente mandano scorrendo et battendo il camino sino chè si incontrino con l’altro guardiano a cavallo dell’altro posto dandosi la mano l’un con l’altro e notizia di quanto passa acciò si stia con la vigilanza che tal materia ricerca.

Poiché il pericolo maggiore avveniva nel periodo estivo (da aprile a ottobre) in questo periodo veniva rafforzata la guardia che in un primo tempo venne chiamata straordinaria e poi “guardia d’està”.

L’intervento di altre forze, come le guardie urbane e i reparti dell’esercito non erano ammesse, salvo in casi eccezionali e per brevi periodi.

Vi erano manchevolezze nel servizio. Nel 1724 un’ispezione del capitan d’armi e guerra della città di Mazzara “non trovò nel distretto di 14 miglia della marina di Castelvetrano, nessuna delle guardie”. La mancata sorveglianza portava a più facili approdi dei corsari, ma anche se le guardie stavano al loro posto, l’unica difesa di cui disponevano era di accendere il fuoco e scappare.

Dal 1733 le guardie della marina erano dislocate a distanza di un miglio una dall’altra e alle spese contribuivano tutte le università (Comuni) e i Feudi litoranei. Erano soggetti alla spesa, ma in misura minore, anche i Comuni che non avevano sbocco sul mare. (10)

Nel periodo invernale le coste erano guardate dalle sole guardie di sanità che svolgevano un’altro compito: la difesa del litorale da navi che provenivano da luoghi sospetti infetti. (11)


Le Isole minori

Un ulteriore problema rappresentavano le isole minori. Ricettacolo e rifugio per i corsari, disabitate o meno, le isole erano una croce per i nostri governanti, mentre per i corsari erano ottime basi per rifornirsi di cibo e acqua, e anche di scambiare merci per tutta la durata della “campagna” che generalmente durava da Aprile/maggio a ottobre.


Egadi

La prima ad essere colonizzata e difesa da una guarnigione, fu Favignana. Nell’isola era posto un castello, di epoca angioina, sulla cima di un colle su cui venne eretto il forte di S. Giacomo. e il forte di S. Leonardo, “eretto sulla costa a difesa del porto e della tonnara”.

Nel 1640 il Pallavicino ottenne la licentia populandi. Una popolazione di circa 200 anime viveva entro il forte S. Giacomo al riparo delle incursioni barbaresche. Anche a Favignana vi era un distaccamento di soldati spagnoli che vivevano entro due piccoli forti. (12)

Nel 1852 B. Marzolla la descrive con un suolo fertilissimo, abbondante di bestiame grosso e produttrice di un vino squisito detto vino del bosco.

Il forte di S. Caterina in Favignana.
(da Ferdinando Maurici La Fardelliana 1999)



Marettimo

Sul finire del 1500 nell’isola venne eretta una fortezza, asilo di una piccola guarnigione.

Verso il 1640 l’isola era abitata da una piccola guarnigione di militari, costretti nel forte dell’isola, mentre il resto era considerato “un nido di corsali”. (13)

Nel 1852 il Marzolla la indica abitata da “alcuni villani che vi tengono alveari”. Inoltre “serve di prigione à delinquenti”. (14)


Pantelleria

Altro esempio di colonizzazione riuscita si ebbe con l’isola di Pantelleria. Il Marzolla la trova incantevole “Gli abitanti dedicansi per lo più alla pesca, allevando alquanto bestiame, tra cui grandi e belli somari, e coltivano cereali, legami, frutta squisita, cotone. Esportano fichi, uva passa, capperi, cotone, pesci salati, carbone di legno.” (15)


Le torri di guardia

Tra la fine del quattrocento e la metà del cinquecento cominciò la costruzione di torri di guardia per l’avvistamento delle navi corsare.

Alla fine del 1700 erano circa 200 le torri costruite di cui 37 a carico della deputazione del regno e le altre da parte delle Università (città) o dei privati proprietari dei vasti feudi limitrofi al mare. Nel 1805 questi ultimi erano 44.

Una parte delle torri erano guarnite di artiglieria. La forza era di tre o quattro soldati “acciò dormendo uno vegliasse l’altro”. Le torri dell’università e dei baroni avevano proprio personale, ma questi, alle volte, affidavano il servizio di custodia ad altri. (16)

L’armamento individuale delle guardie era costituito da schioppi e spingarde.

La segnalazione del pericolo avveniva in due modi: quelle armate di cannone avvertivano con lo sparo del “mascolo”, (17) mentre le torri di osservazione, sprovviste di artiglieria, avevano nella parte terminale della torre una o più fascine di legna da accendere in caso di avvistamento sospettto. L’avviso veniva fatto il giorno con combustibile bagnato (col fumo) e la notte con l’accensione della fascina (col fuoco). Questo sistema rimase inalterato nel tempo.

La mancanza della sorveglianza da parte degli addetti alla torre, detti torrieri, in caso di scorreria e predazione, era punito con la carcerazione. In qualche raro caso interveniva il viceré per imporla. Dato che esistevano torri della deputazione (statali) e dei particolari (dei feudatari) è probabile che vi siano state delle differenze nel castigo a seconda del soggetto giudicante.

Nel 1804 fu ordinata una ricognizione delle torri di guardia esistenti in Sicilia. Dall’elenco si ha l’indicazione delle Torri munite di armamento di offesa (cannoni). Non sono censite tutte le torri, (per esempio manca la Torre di Ligny), e mancano i Forti con qualche eccezione (la Colombara di Trapani era un forte e non una torre) e infine mancano i Forti di Favignana e Marettimo

L’elenco generale delle torri è ripreso dal volume del Villabianca “Torri di Guardia dei litorali della Sicilia”. La numerazione è quella del Villabianca. Quelli che non la riportano non sono in elenco. In quest’articolo sono riportate le sole torri ricadenti nella provincia di Trapani.

N.ro

Denominazione

Armamento e personale

località

114

Tre Fontane

1 cannone

 

115

Granitola

3 custodi

 

116

Mazzara

3 custodi

 

117

Giardino

3 custodi

 

118

Fossa della Nave

3 custodi

 

119

Sibilliana

3 custodi

 

120

Spagnola

3 custodi

 

121

Borrone

3 custodi

 

122

S. Todaro

3 custodi

 

123

Birgi

3 custodi

 

124

Aliga Grossa

1 cannone

 

 

Xadiddi

?

Fra Marsala e Trapani

125

Nubia o di Castro

1 cannone

 

126

Colombara

3 custodi

 

 

Ligny

?

 

127

S. Giuliano

1 cannone

 

128

Bonagia

3 custodi

 

129

Cofano

1 cannone

 

130

Calazza

3 custodi

 

131

Isolilla

1 cannone

 

132

Poggio

3 custodi

 

133

Roccazzo

2 cannoni

 

134

S. Vito

3 custodi

 

135

Sceri o dell’Usceri (Scieri)

1 cannone

 

136

Giazzolino o Azzolino

1 cannone

 

137

Guzzo

3 custodi

 

138

Scopello

1 cannone

 

139

Guidaloca

1 cannone

 

140

Baida

3 custodi

 

141

Magasenazzo

3 custodi

 



La cattura

Il modo più “normale” per diventare schiavi avveniva con l’assalto, o l’arrembaggio, di una nave. In questo caso le prede erano trasbordate sulla nave corsara e avviata nei porti della barberia.

Non sempre chi era a bordo di una barca predata riusciva a fuggire. Una testimonianza viene da una lettera di Sciacca del 19.8.1798: “Quest’oggi è arrivato in questa P.ne (Padrone) Giovanni De Malva della Pantellaria, il quale trovandosi vicino alla torre di codesta colla sua feluga col carico di mobili, ed utensili di casa, fu la notte scorsa delli 14 agosto ad ore cinque, dietro ora una circa di fuoco, depredata da un legno barbaresco con aversi soltanto salvato d° padrone, e tre marinari, e due passeggeri, ed altri otto marinari, ed un passeggiere restarono nella suddetta feluga depredata.

I corsari non cercavano solo schiavi. Anche le prede di barche o dell’intero carico delle barche era gradito. E di questi predazioni vi sono innumerevoli esempi:

Don Gaspare Campanello Trapanese...fu incontrato da tre galeotte barbaresche, con diverse altre nazioni, le quali in veduta di detto sciabecco cominciarono ad avvicinarsi con più prestezza con diversi dispari di cannoni, per cui gli uomini dello sciabecco, dietro due ore circa di combattimento, consideranno essere difficile salvare la barca pensarono proprio curare a salvarsi almeno la vita con disbarcare e porsi sotto la suddetta torre....” (18)


Le barche corsare

L’avvistamento delle barche corsare avveniva quasi sempre a distanza tale da poter riconoscere il tipo di natante che si avvicina per predare. E’ da tenere presente che l’avvistamento era fatto da gente esperta e che quindi le segnalazioni del tipo di nave possono essere ritenute esatte, salvo qualche caso di avvistamento al largo.

Su 160 segnalazioni di incursioni (dal 1778 al 1810 per tutta la Sicilia) la comparsa di segni consimili è la seguente: speronara 3; sciabecco 52; galeotta 32; pinco 6; fregata 2; polacca 6, corvetta 3; mezze galere 2; Omdra 1; cotter, 1; Saica 2; liutello 4; brich 3.(19)

In alcuni casi la segnalazione è generica come legno o barche barbaresche; in altri casi le navi viaggiano a coppie o, in rari casi più di due.

Molte segnalazioni indicano come barca predatrice il “lancione”. In questo caso, non essendo individuata la barca madre, è intesa come non segnalata.

Sciabecco algerino Sciabecco del XVIII secolo


La posta nel litorale

La segnalazione degli attacchi dei corsari era comunicata a Palermo per mezzo di corrieri normali, raggruppati dalle città capi della Comarca.

Per le segnalazioni alle città prossime del litorale non si poteva fare riferimento alla normale posta, poiché non erano previsti tali itinerari. I percorsi stabiliti erano pensati per portare la posta a Palermo, Messina e in continente.

Occorreva un sistema che permetteva l’invio delle lettere su un percorso costiero.

La possibilità di adoperare Corrieri “a posta”, detti comunemente Corrieri seri, venne da una prammatica del viceré Antonio Colonna del 1579 che stabiliva:

OCCORRENDO che alcun officiale, ò altra persona non si ritrovi nel luogo, dove i corrieri ordinari habbian ordine di portargli lettere; in tal caso essi corrieri ordinarij habbian à lasciar tali lettere al Secreto dell’istesso luogo, & egli riceverle, & dar al corriero fede della ricevuta, & al ritorno del medesimo corriero ordinario, ò con la prima altra occasione avisi al Vicerè, ò à quel tribunale, ò officiale, del quale nel soprascritto apparerà esser tali lettere, ch’esso per l’assenza di quella persona trattiene infin ad altr’ordine cotali lettere in suo puotere, & se fra tanto cotale persona capiterà in quel luogo esso Secreto harrà cura di dargliele, & ricuperare fede di ricevuta, & avisar il successo al Vicerè, ò a quel tribunale, ò officiale di cui seranno le lettere”.

Le modalità di pagamento erano specificatamente detti:

PER supplir alle spese necessarie de sudetti corrieri, i quali per mano de Secreti hanno ad esser spediti fuori del camino delli corrieri ordinarij; ciascheduno d’essi Secreti habi la facoltà di spender tutto quello, che sia bisogno de qualsivoglia danari della Regia Corte, che si ritroveranno in puotere del Regio Depositario di quella città, ò Terra, & se altro denaro non ci fosse pronto, faccia pigliare la somma necessaria dalli gabelloti, Collettori, & Ministri degli Arrendatori della secrezia, a quali, & al sudetto depositario s’ordina con la presente, che à polize d’esso Secreto sottoscritte anco dal Proconservatore paghino quello, che per tal servigio serà lor ordinato, & ciò senza replica ne discussione”.

Il tracciato di cui ci si occupa in questo articolo è quello che corre da Trapani verso Agrigento, terminando a Siracusa, il litorale che era più esposto alle incursioni barbaresche.

Il sistema delle segnalazioni di attacchi corsari era congegnato in questo modo. Vi erano delle fermate principali nei maggiori centri. Questi centri, una volta ricevuta la segnalazione ne rendevano edotti i piccoli centri sotto la loro giurisdizione. Con questo sistema tutti i paesi, e terre del litorale erano avvisati in tempi abbastanza veloci.

Le fermate in partenza da Trapani verso Agrigento erano: Marsala, Mazzara, Sciacca, Siculiana, Girgenti, Palma, Licata, Terranova, Vittoria, Santa Croce, Scicli.

Uno dei tanti collegamenti hanno la cadenza: Scicli 8 marzo, Girgenti 13 marzo, Siculiana 15 marzo, Sciacca 16 marzo.

Un’altro collegamento ha la sequenza: Trapani 12 agosto, Marsala 14 agosto, Sciacca 18 agosto, Siculiana 20 agosto, Girgenti 21 agosto.

Abbiamo detto “abbastanza veloci” ma non la celerità che sarebbe stata necessaria. Il trasporto del messaggio con pedone non era veloce quanto la speronara nemica la quale a forza di remi o di vele, arrivava prima.

Il percorso dei corrieri delle Università da Trapani ad Agrigento. Le tappe della corsa a: Marsala, Mazara del Vallo, Sciacca, Siculiana, Agrigento. Ogni tappa comportava la diramazione delle stesse notizie alle città vicine.

 

Il percorso dei corrieri delle Università da Siciliana a Scicli. Le tappe sono Palma di Montechiaro, Licata, Gela, Vittoria, Santa Croce Camerina, Scicli.


Ma la guerra di corsa i trapanesi non solo la facevano ma anche la subivano. Le cronache al riguardo sono innumerevoli. Si riportano alcuni episodi:

Lettera da Palermo 9 maggio 1780 a firma del Viceré Stigliano Colonna che narra le vicende di un leuto trapanese attaccato da uno sciabecco turco. Notizia inviata a tutte le città del litorale “per l’avvertimento della pubblica salute, e cautela del Regno”.
Lettera da Palermo 22 ottobre 1766 a firma del viceré Fogliari sull’occorso seguito tra la galeotta turca e due tartane trapanesi, l’incendio della antenna vela della medesima. Avviso inviato a tutte le città del litorale “per guardarvi se il mare gettasse cadaveri o robba”…..
Lettera da Palermo 22 marzo 1721 a firma del viceré De la Viefuille inerente la caccia subita da uno schifazzo trapanese “gli uomini del quale avendo preso la fuga sopra il battello ebbero la sorta di salvarsi in terra….” L’ordine ai giurati del luogo è che “il battello sudetto essendo già purgato nell’acqua del mare, lo farete similmente restituire ai padroni trapanasi”.


La spartizione del bottino.

La spartizione delle prede nella guerra di corsa era regolamentata come segue: per prima cosa era necessaria una licenza per esercitare “il mestiere” e vi erano dei diritti da pagare. Una parte della preda era spettante all’equipaggio e una parte alla regia corte. Una volta ottenuta la licenza di corsa di dava la “patente” che era necessaria toccando porti di nazioni amiche.

Questa patente non era necessaria in casi particolari e abbiamo visto che per la città di Trapani vi furono delle diverse concessioni ripetute nel tempo valide per tutte le barche che si mettevano “in corsa”.

Della metà spettante all’equipaggio una parte andava all’armatore e l’altra parte da dividersi tra i componenti della ciurma.

Erano previsti delle compensazioni per chi moriva nel “compimento del dovere”.

Il castello della Colombara. Nel corso del tempo il castello fu adibito a caserma della Piazzaforte, poi baluardo armato contro le incursioni dei barbareschi, e infine a luogo di pena. Oggi attende una ulteriore collocazione.





NOTE:

(1) “Transfretando et discorrendo al continuo per li mari di questo Regno, multe galeotte, fusti et altri vaxelli di corsali, turchi et mori, inimichi di la christiana religioni, mettono in terra numero di turchi et mori, depredando et captivando li Regnicoli, vassalli di sua Maestà Cesarea, et fachendo varii et diversi corrarii. Non senza grande diservicio di lo Onnipotenti Iddio, di sua Maestà Cesarea et danno frandissimo di lo ditto Regno.... Tutte quelle persone che nixiranno allo incontro delli detti turchi et mori, che mettiranno in terra per far ditti corrarii , et quelli prenderanno et piglaranno..., habbiamo d’havere la intewgra mità delli detti turchi et mori, che prindiranno, come è ditto, sine aliqua diminutione, poichè le ditte genti esponino li loro personi in pericolo di loro vita, è giusta et conveniente cosa ... che habbiano di conseguitare la detta mitati di turchi et mori, et l’altra mitati l’habbia di conseguire la Regia Curte

(2) Giò Francesco Pugnatore, Historia di Trapani, Corrao Editore, Trapani 1984.

(3) Pugnatore, Istoria di Trapani, Corrao, Trapani 1984.

(4) Antonio Buscaino I Trapanesi nella guerra di corsa, La fardelliana, anno XIII 1994.

(5) Lettera da Messina 16.8.1649.

(6) Antonio Buscaino, ibidem

(7) Antonio Buscaino, ibidem

(8) Nicolò Burgio e Clavina, annali di Trapani, manoscritto, 1832. Biblioteca Fardelliana Trapani.

(9) Lettera da Trapani 6 marzo 1675 alla città di Sciacca in cambio di una somma che Sciacca deve trasferire alla Città di Trapani.m

(10) “...siamo a dirvi. Che a tenor della pianta del 1733 devesi la marina di codesta custodire con una guardia a miglio, siccome Noi ultimamente l’abbiamo disposto...” Lettera da Palermo 31 Agosto 1745 a firma del viceré Bartolomeo Corsini.

(11) ...emanate sotto li 24 agosto incaricate alle Deputazioni di Sanità del Regno di far continuare le guardie d’està per la custodia tanto nè casi di Corsari, che di Sanità facendole servire di notte, e di giorno coll’aumento della metà del salario, che solevasi corrispondere alle dette guardie di Sanità, che d’allora in poi doveasi levare, col di più, che venendo il tempo solito di retirarsi le solite guardie d’està, e continuare quelle di sanità...” Circolare a stampa da Palermo 7 dicembre 1730 a firma del viceré Cristoforo Fernandez de Còrdova conte di Sastago. Archivio Stato Palermo, Real Segreteria incartamenti, busta 322.

(12) Lettera da Carini 1 settembre 1687 con la quale il Percettore della Valle di Mazzara ordina ai Giurati di Marsala di depositare una somma a Trapani affinché “si paghino alli soldati esistenti nella Città di Trapani Isole di Favignana e Marettimo et altri militari per loro diaria...

(13) Ferdinando Maurici Le Egadi dalla tarda antichità agli inizi dell’età moderna) La Fardelliana 1999.

(14) B. Marzolla, Pianta Provincia di Trapani, Napoli 1852.

(15) B. Marzolla, ibidem

(16) “Il male però che si detesta a questi tutti torrieri...li quali sogliono situarvi persone di lor famiglia, dimezzando il soldo colli medesimi, ...perché questi col miserabile soldo che tirano, sufficiente appena per il pane, non possono fare a meno di abbandonare la guardia e vacare lontano altrove a procacciarsi il vitto". Francesco Maria Emanuele e Gaetani, Torri di guardia dei litorali della Sicilia, Edizioni Giada, Palermo 1985.

(17) Il Tommaseo definisce “mascolo” una “camera mobile che si leva e unisce alla canna d’alcuni petriere” e ancora (pezzi di) “ferro con la quale si caricano le bombarde”. Nel contesto della frase pare che lo sparo del mascolo sia una specie di colpo d’avvertimento di scarsa capacità offensiva.

(18) Lettera da Sciacca 4 settembre 1798

(19) Archivio di Stato Palermo, Suprema deputazione di salute, buste da 102 a 211.

 
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