storia postale

 

 



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l'inesistente ufficio francese a Torino

di Italo ROBETTI e Achille VANARA
Già nel XVI secolo esisteva in Europa una rete di collegamenti e percorsi predisposta per i “corrieri di Francia” al servizio della politica e degli affari del Re di Francia, nonché della famiglia e della relativa corte. Per raggiungere il resto dell’Italia e soprattutto Roma (dove dal 1551 era stato attivato un ufficio francese), sede del Papato col quale si intratteneva una non indifferente corrispondenza, Torino era un punto di passaggio obbligato per i corrieri che provenivano da Parigi e Lione. La cosa valeva, ovviamente, anche per il percorso inverso.
La più antica guida postale italiana, risalente al 1560, fu edita a Venezia. La prima ristampa, notevolmente ampliata, fu edita a Brescia nel 1562 e di essa si presenta il frontespizio. Tra le varie rotte, Torino (Turino) risultava (tra Moncalier e Riuole) la 49ª stazione di posta nell’itinerario “da Roma à Lione di Francia, per via di Piacenza e Alexandria” per un totale di 71 poste e la 13ª stazione di posta nell’itinerario “da Genoua a Lion di Francia”, sempre tra Moncalieri e Rivoli, per un totale di 35 poste.
Secondo alcuni alla fine del secolo XVI sarebbe stato predisposto nella città di Torino un vero e proprio ‘incaricato postale’ francese. Non si sa dove risiedesse (c/o ambasciatore di Francia?) ma è certo che aveva il compito di assistere i corrieri di Francia diretti a Roma all’andata e diretti al di là delle Alpi al ritorno, durante la loro sosta obbligata a Torino.
I frequenti periodi di guerra tra Piemonte e Francia sicuramente rendevano difficile, quando non veniva addirittura soppressa, l’attività di questo incaricato, dovendo i corrieri di Francia trovare altri percorsi, alternativi a quello sicuramente più comodo e veloce, usato da sempre.
Infatti, in una evenienza di questo genere alla fine del XVII secolo, non essendo permesso ai corrieri francesi di attraversare il Piemonte, si pervenne ad un accordo o, se vogliamo, ad una vera e propria convenzione che l’attivissimo Mastro di posta di Torino Rosano, il 19 dicembre 1690, stipulò coi direttori dell’ufficio di Lione, Cristoforo Payot (Guyot) e Pietro Roville, sul servizio dei corrieri tra la Francia e l’Italia con l’assenso del Generale delle Poste dello Stato sabaudo, Gonteri marchese di Cavaglià.
Si trattava di concordare il costo del trasporto delle malle e chi ne era incaricato. Le malle che provenivano da Lione sarebbero state trasportate da corrieri francesi sino al ‘port de Forest’ presso Susa [Foresto è una frazione di Bussoleno]. Qui i corrieri piemontesi le avrebbero rilevate portandole sino a Genova dove altri corrieri francesi le avrebbero prese in consegna per trasportarle a Roma. Analogamente nel viaggio inverso. E per questi incarichi si stabilivano dei compensi. Grosso modo per il trasporto di lettere e pacchetti di lettere le poste piemontesi non pagavano per il tragitto in territorio francese e le poste francesi non pagavano per il tragitto in Piemonte. Si stabilivano altresì corrieri per le piazzeforti di Pinerolo e di Casale in mano ai francesi e ci si impegnava reciprocamente


a non arrestare i corrieri quando percorrevano itinerari nel territorio di reciproca competenza. [Accordo ratificato il 21 febbraio 1691].
Verso la metà del 1696 lo stato di belligeranza tra il Piemonte e la Francia si concluse e Luigi XIV, in gravi difficoltà militari e finanziarie, firmò il trattato di pace di Torino il 29 agosto 1696 e Vittorio Amedeo II si ritirò così dalla grande alleanza antifrancese. I francesi abbandonarono Nizza e la Savoia ed il Piemonte riacquistò Pinerolo e Perosa. Ad ulteriore consolidamento dell’intesa la figlia del Duca, Maria Adelaide, andò sposa al Duca di Borgogna, nipote del Re di Francia.
Tale preminenza aveva assunto il problema dei corrieri di Francia, che volevano attraversare il Piemonte senza pagare i diritti di transito e di dogana, che uno dei punti dello stesso trattato di Torino (il 6°) prevedeva “Che li Corrieri, ed Ordinarij di Francia passerebbero come prima in questi Stati, osservando i Regolamenti, e pagando i dritti per le Mercanzie, de quali sarebbero caricati” come già previsto nelle disposizioni del 1652 di Carlo Emanuele II, riferendosi proprio al percorso Susa, Savoia e Pont de Beauvoisin.
La susseguente convenzione tra la Francia e il Piemonte prevedeva al punto 3):
Sarà ristabilito in Torino, dal Direttore delle Poste di Lione, un commesso francese per ricevere e verificare lo stato delle malle e dei pacchetti portati dai corrieri, il quale lascerà e consegnerà tutte le lettere e pacchetti destinati agli stati di S.A.R ai commessi del signor di Cavaglià …”.
Ed al punto 4):
“I commessi e corrieri francesi non potranno prendere in carico né in Torino, né in alcuna città degli stati di S.A.R. alcuna lettera, pacchetti di lettere, gruppi [somme di denaro] o pacchetti di merce tanto per Roma e rotte che per la Francia ….”
Al momento della ratifica della Convenzione del 1696, avvenuta il 20 febbraio 1697, Filippo Giacinto Gonteri, marchese di Cavaglià, Direttore generale delle poste, non accettò la clausola del commesso francese a Torino, “ma si convenne soltanto verbalmente che un agente dell’ambasciatore di Francia a Torino assisterebbe all’arrivo e partenza di detti corrieri” (Duboin). Questo particolare dell’accordo diede luogo a infinite discussioni finché “più non parlossi da ambe le parti di questo affare e le cose rimasero nello stato di prima” (Duboin). In verità nella ratifica si fa specifico riferimento che il controllo di quanto pervenuto a Torino doveva essere fatto da un commesso ducale.

Infatti così si esprimeva il Direttore Generale delle Poste:

“Ho sottoscritto, ratificato il suddetto trattato alle condizioni seguenti e non altrimenti.
Che per il detto trattato nulla si possa pretendere con pregiudizio delle dogane di S.A.R.
Che non ci sarà alcun effetto in merito allo stabilirsi di un commesso francese in Torino riportato nel terzo articolo, che mi incarica di far seguire gli affari del signor Direttore delle poste di Lione da uno dei miei commessi che renderà loro conto e rimborserà puntualmente tutto ciò che spetterà loro secondo il trattato e al quale essi daranno quanto giudicheranno ragionevole per le sue cure.
Che le lettere di Roma in Italia per Ginevra sono di mia competenza com’era prima della guerra senza che l’ufficio di Lione me le possa togliere.
Tutto il resto lo approvo e ratifico per sei anni.
A Torino il venti febbraio milleseicentonovantasette
PHILIPPE HYACINTE GONTERI Marchese di Cavaglià”

La guerra di successione spagnola, dopo vicissitudini varie, portò nuovamente ad uno scontro tra il Piemonte e la Francia sino al ben noto episodio dell’assedio di Torino del 1706. La successiva pace di Utrecht del 1713 normalizzò nuovamente i rapporti tra Vittorio Amedeo II e la Francia.
Nel settembre del 1713 si stipulò una nuova convenzione postale che, di fatto, si rifaceva a quella del 1696 regolarizzando il passaggio del Gran corriere di Francia e dell’aggiunto corriere che trasportava il secondo ordinario, anche se tutto poi non filò affatto liscio, come si vedrà. Nella ratifica stessa si giungeva ancora a ribadire che il commesso francese a Torino non avrebbe dovuto far passare, sotto qualunque pretesto, alcuna delle sue lettere per gli stati di Milano, Venezia e altre città d’Italia, altro che per il canale dell’ufficio di Torino e non poteva personalmente accettare lettere da far giungere in Francia.
Nonostante la concorde ufficializzazione della Convenzione essa fu sempre alla base, nei decenni successivi, di infinite diatribe e contestazioni. Nello stesso 1714 si segnalarono abusi dei corrieri di Francia che, nell’attraversamento del Piemonte, non volevano pagare sulle lettere e sulle mercanzie dirette a Roma i ‘dritti’ dovuti all’ufficio di Torino.
Un interessante fatto a cui seguì l’applicazione di una contravvenzione ebbe luogo nell’ufficio di Torino il 14 febbraio 1716. Il commesso Bertini nell’esaminare il contenuto della malla che il corriere di Francia stava portando a Lione e poi a Parigi provenendo da Genova e da Roma, notava un pacchetto di lettere particolarmente e stranamente pesante e, sospettando che potesse contenere oggetti sottoposti a “dritti” particolari, in contraddittorio con il corriere Francesco Sabot ed il commesso delle poste di Francia a Torino Ollivier, chiese l’intervento degli ufficiali di giustizia.
Si fece così riaprire la malla che era già stata richiusa e si obbligò l’Ollivier ad aprire il pacchetto sospetto assicurando che le lettere in esso contenute non sarebbero state aperte ma che se si fossero ritrovati oggetti sottoposti a “dritti” questi oggetti sarebbero stati sequestrati. La malla richiusa fu fatta prendere dal solito “camallo(1) e rimessa sulla “sedia di posta”. Il pacchetto conteneva parecchie lettere senza destinatario e due “groppi” (2) per complessivi 401 Luigi d’oro. Il Sabot riferì che quel pacchetto gli era stato messo nella malla dal Mastro di Posta di Genova per trasportarlo a Lione e che non sapeva cosa vi fosse dentro. Non si sa quale fu l’importo della contravvenzione ma è certo che per risparmiare l’1%, che era il “dritto” dovuto, rischiarono di perdere tutto.
I rapporti tra l’ufficio di Torino e quello di Lione continuavano ad essere tutt’altro che buoni. Un esame sulla situazione si fece il 18 ottobre 1716. Continue erano le discussioni su come interpretare gli articoli della Convenzione e perduranti le lamentele ora da una parte ora dall’altra. Da parte del Piemonte ci si lamentava spesso dei tentativi di frode dei corrieri di Francia e delle loro prepotenze mentre da Lione si protestava per le contravvenzioni e per le difficoltà frapposte ad un corretto esercizio.
Già in quell’anno, e di conseguenza, esisteva un progetto di una nuova convenzione tra il Controllore Generale di Francia sig. Pajot ed il sig. Garbillion munito di pieni poteri (plenipotenziario) per parte di S. M. (Vittorio Amedeo II dal 1713 era diventato Re di Sicilia) relativamente al passaggio dei Corrieri di Francia per il Piemonte e del corso delle rispettive lettere.
La continua disputa tra Lione e Torino sul percorso piemontese dei loro corrieri fu esemplificata da una memoria del 16 febbraio 1717 con la quale le Poste e i negozianti di Lione si lamentavano perché il corriere di Francia che giungeva da Roma a Torino il giovedì sera, o al più tardi il venerdì mattina, non poteva ripartire per Lione che il sabato sera alle 9 arrivando così a Lione il lunedì sera o il martedì mattina con gravi conseguenze su tutte le coincidenze. Si invitava pertanto il marchese del Borgo, ministro e primo segretario di Stato per gli affari esteri di S. M., a porvi rimedio.
Si giungeva così all’importante Editto del 3 settembre del 1718 nel quale apparivano le tariffe dettagliate per ogni ufficio. Nell’ufficio generale di Torino le lettere con destinazione Francia (“per più oltre Lione”) dovevano essere sottoposte all’affranchimento. La persona che portava la lettera all’ufficio doveva pagare: soldi 2 se semplice, soldi 3 se coperta, soldi 4 se doppia, soldi 10 per oncia se si trattava di un pacchetto di lettere
Il ‘particolare’ (così si definiva il privato) che da Torino intendeva spedire una lettera in Francia si trovava di fronte a un dilemma. O consegnava la lettera all’ufficio generale di Torino ed allora doveva sborsare al minimo la somma di 2 soldi, che poteva corrispondere al trasporto sino all’ufficio di scambio con la Francia (Pont Beauvoisin); oppure la consegnava al commesso francese il quale la ritirava illecitamente ma non faceva pagare nulla; chi trasgrediva le disposizioni ufficiali era solo il commesso ed il destinatario pagava per l’intero percorso e la cosa andava tutta a vantaggio delle poste francesi. Il commesso, di straforo (“di sfrozio”) consegnava queste lettere al corriere il quale le portava all’ufficio di Lione. Questo le tassava per l’intero percorso, e per giustificare al destinatario la cifra richiesta, apponeva il bollo di provenienza (che altrimenti non apparendo il mittente e il luogo di partenza poteva anche essere stata consegnata a Lione).
La lettera sotto riportata del 1 giugno 1717 (ex Vollmeier) rappresenta per ora il primo esempio di tale comportamento e dell’uso del lineare DE TVRIN, che perdurò sino al novembre 1737.

Scritta a Casale e indirizzata “a Monsieur Monsieur Le Marquis de Campistron Dans la rue des Tournelly ches Messieur Thomas Tapissier a Paris”. Il marchese Jean Galbert de Campistron era
il noto scrittore drammatico francese.
Le tariffe francesi del 1704 non potevano prevedere la tratta da Torino a Lione, che era fuori della loro competenza, mentre prevedevano la tariffa delle lettere semplici che da Lione andavano all’estero fissando per quelle dirette a Torino la tassa di 5 soldi. Se a questa si aggiunge la tariffa prevista per il tratto Lione-Parigi, che era di 6 soldi, si giunge ai manoscritti 11 soldi a carico del destinatario.

In conseguenza di quanto sinora esposto possiamo giungere ad alcune conclusioni.
1) A Torino non esisteva alcun ufficio francese ma solo un incaricato o commesso nominato dall’ufficio di Lione che assisteva i corrieri di Francia nella loro sosta a Torino, sosta che risultava alquanto complessa e che a volte ritardava la ripartenza.
2) Né il corriere né il commesso potevano accettare lettere da inoltrare verso Roma o verso la Francia.
3) Il commesso non era dotato di alcun bollo e quello di provenienza era applicato a Lione.
4) Michèle Chauvet, la studiosa di posta e tariffe francesi, non pare, quindi, essere nel vero quando afferma l’esistenza di un ufficio francese a Torino dal 1715 al 1742, così come il Vollmeier quando elenca i bolli di provenienza da Torino come usati a Torino (ancorché dal supposto ufficio francese).

note:

1) - facchino

2) - gruzzolo



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