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alcune note sui lavoratori italiani in Germania
di Marino Bignami (www.postaesocieta.it)

Dopo avere ricevuto la richiesta di notizie su una busta proveniente dal Reich tedesco e non sapendo dare una risposta, ho girato la domanda alla rubrica "le domande dei lettori " de "il postalista". (vedi sotto)
Non ho avuto risposte, ma la busta mi ha incuriosito, pertanto ho fatto ricerche sullo stato dei lavoratori in Germania e sulle vicende non militari dei soldati italiani (spesso trasformati dagli eventi in lavoratori) da cui ho ricavato alcune brevi note (spero esatte), suffragate da alcuni oggetti postali della mia collezione.

Durante la seconda guerra mondiale, la Germania aveva mobilitato un enorme numero di militari per cui cominciò a scarseggiare la manodopera delle fabbriche. Il regime nazista iniziò quindi a propagandare nei paesi alleati i vantaggi per il lavoratore straniero che andava a lavorare nelle sue fabbriche. Mi sono perciò chiesto quanto guadagnavano i lavoratori volontari in Germania e perchè molti italiani vi si recarono?
Già prima dell'entrata in guerra dell'Italia negli anni 1938-1940, molti lavoratori italiani si erano recati in Germania, attratti dalla facilità di trovare lavoro e di una paga migliore che in territorio germanico si aggirava sui 250 - 300 marchi mese, pari a Lire italiane 1700 circa, mentre in Italia era difficile trovare lavoro e la paga media (vedi tabella riprodotta sotto) era di circa 60 - 80 lire alla settimana pari a mensili 300 lire circa (cambio Lira Marco circa 7 : 1) . I lavoratori che emigravano erano per la massima parte contadini (con un contratto solitamente di sei mesi), ma furono numerosi anche i muratori e gli operai degli opifici. Spesso provenivano dal Sud e tutti avevano alle spalle una situazione di miseria e disoccupazione; avevano affrontato l'emigrazione per poter inviare a casa del denaro necessario alla famiglia.
A conferma delle cifre suesposte, trascrivo fedelmente parte di una lettera del febbraio 1941 che un lavoratore, verosimilmente un muratore, invia ad un nipote avvisadolo di una rimessa di denaro e con la richiesta di inviargli del tabacco da regalare ai suoi superiori per avere la possibilità di entrare in fabbrica.

"...ieri ho spedito un vaglia di 50 marchi vale a dire lire italiane £ 350, non ho potuto spedire di più perché é 15 giorni che é stato sospeso il lavoro per il grande freddo che varia giornalmente da 10 a 20 gradi sottozero, però pagano ugualmente il 60 per cento per 9 ore al giorno e si prende ancora 7 marchi al giorno pari a nette lire italiane 45 al giorno....."

Chiudilettera propagandistica applicata al retro di busta dell'Ufficio Provinciale di Collocamento in periodo R.S.I.

Con la partecipazione al conflitto dell'Italia un certo numero di lavoratori emigrati in territorio tedesco tornarono in patria, richiamati dalla maggiore facilità di trovare lavoro con le commesse statali per le necessità belliche. Alla data dell'8 settembre 1943 erano però ancora presenti in Germania circa 90.000 lavoratori italiani, a questi si aggiunsero nel 1944, alcune migliaia di operai emigrati volontari dalla R.S.I. e qualche decina di migliaia di giovanii rastrellati nelle città del Nord Italia dai tedeschi e dai repubblichini. Per le aumentate necessità legate alla sua guerra di conquista, la Germania utilizzò anche in maniera coercitiva come operai, sia i prigionieri di guerra, sia le persone rastrellate nei territori conquistati, impiegandoli in modo coatto nelle industrie e nell'agricoltura. Tra i volontari erano compresi sia lavoratori civili sia quelli inquadrati nelle forze germaniche come combattenti ed altri come ausiliari militari.

1944 - Busta con testo. Il mittente dichiara ai parenti che si é arruolato nelle FF.AA. germaniche, veste la stessa divisa e gode della stessa paga, chiede se è "arrivato il sussidio".

Dopo la tragedia dell'8 settembre i tedeschi catturarono complessivamente 810.000 militari italiani: di questi 94.000, subito dopo la cattura, si unirono alle forze armate germaniche (con la stessa divisa e paga dei soldati tedeschi) o aderirono (dopo la fondazione della R.S.I.) al ventilato progetto della costituzione di una armata italiana per contrastare l'avanzata alleata, gli altri 716.000 vennero internati nei lager. Successivamente di questi ultimi altri 42.000 furono convinti ad arruolarsi nella Wermach oppure come combattenti nelle tre divisioni italiane che si stavano formando nel territorio tedesco (Monterosa, Italia, San Marco); altri 61.000 furono inquadrati come ausiliari nei Battaglioni lavoratori militarizzati. I Battaglioni erano un centinaio con una forza di circa mezzo migliaio di uomini ciascuno; erano comandati e diretti da militari tedeschi, spesso erano sottufficiali, qualche volta ufficiali.

Cartolina in franchigia militare inviata a soldato in Feldpost n° 87843 che partecipava alla ricostituzione della divisione "Italia", alla data dislocata in Baviera

I rimanenti vennero inquadrati come I.M.I. cioè "Internati Militari Italiani" e rinchiusi nei Lager del Reich o dei territori controllati o conquistati. In quanto internati militari e non prigionieri, gli italiani non erano tutelati dalle Convenzioni di Ginevra
Gli IMI con questa qualifica erano obbligati al lavoro e utilizzati in condizioni vietate dalla Convenzione di Ginevra, sotto controllo militare germanico, oppure impiegati presso ditte che producevano materiale bellico per le Forze Armate, fra queste, anche aziende di proprietà svizzera istallate su territorio tedesco.

Nel luglio del 1944 venne stipulato un accordo Mussolini-Hitler per la smilitarizzazione dei militari I.M.I. catturati dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943; furono ridotti allo stato civile sotto l'allettante promessa di un poco di libertà e perdita della qualifica di prigionieri militari per acquisire quello di lavoratore obbligato al soggiorno coatto. Furono dimessi dai campi dove erano rinchiusi e dovevano, come tutti i civili, possedere una tessera annonaria ottenibile solo con il posto di lavoro, in cambio per accordi con la R.S.I. i parenti in Italia potevano godere di un sussidio come già ne godevano sia i combattenti inquadrati nelle FF.AA. germaniche che i lavoratori ausiliari dei Battaglioni lavoratori.

1945 - Cartolina inviata dal "MINISTERO DELLE FF.AA. Delegazione d'assistenza - Brescia" al Comune di ALFIANELLO - BS, per conoscere di quale sussidio godevano i parenti di un militare arruolato nelle file dei tedeschi.
Fronte e retro di cartolina in franchigia ( Posta da campo) E' la seconda parte per la richiesta di invio del vestiario civile probabilmente di ex soldato I.M.I.. Se fosse stato prigioniero, i tedeschi molto precisi, avrebbero segnalato: prigionierio di guerra. Avendo optato per il lavoro da "libero" venne inviata la cartolina con gli estremi e probabilmente con la prima parte trattenuta dall'ufficio è stato segnalato nome e indirizzo al "Commissariato Nazionale del Lavoro" (vedi bollo ovale di franchigia), che ha passato poi la richiesta ai parenti di mandare vestiti e biancheria civile al loro congiunto.

Questi "lavoratori volontari" IMI furono numerosi: oltre 400.000 con firma di impegno sulla parola di rinuncia alla fuga, mentre altri 100.000 circa furono lavoratori militari precettati che non avevano rinunciato alla qualifica di militari. Gli internati I.M.I. ridotti a civili, alla dismissione dai Lager, ricevettero in marchi le somme accreditate per il lavoro precedentemente svolto. Avevano l'obbligo di residenza ma una parziale libertà di movimento, di frequentazioni e di orario. Ricevevano un salario giornaliero di una decina Marchi (?) per pagarsi vitto e alloggio, spesso collocato in strutture dormitorio delle fabbriche o negli stessi campi dove erano stati rinchiusi come prigionieri, riuscendo anche a risparmiare ed inviare qualche soldo alle famiglie in Italia. Una sorte simile ebbero i lavoratori coatti rastrellati nei territori della R.S.I., infatti durante gli anni di Salò molti italiani vennero deportati e costretti a lavorare per la Germania nazista, come ho già accennato sopra.
Sul finire del conflitto quando tutto crollava anche i veri volontari che si erano recati a lavorare in Germania spontaneamente, ebbero praticamente lo stesso trattamento e gli stessi obblighi degli internati I.M.I. smilitarizzati.

Con la fine della guerra (terminata ufficialmente il 2 maggio 1945) gli Alleati predisposero logicamente aiuti agli stranieri presenti in Germania a vario titolo. Per quelli che erano rimpatriati vennero alla luce problemi di carattere amministrativo.
Il nuovo ordine statale italiano decise di accreditare i benefici arretrati che i patrioti (partigiani), i militari aggregati agli alleati e i prigionieri o gli internati avevano maturato come lavoratori richiamati alle armi, e di escludere i collaboratori ad ogni titolo della R.S.I. o dei tedeschi e cioè i lavoratori volontari in Germania, gli I.M.I ridotti a lavoratori borghesi e i soldati arruolati nelle fila germaniche come combattenti o ausiliari. Ne erano stati esclusi anche i militari italiani sbandati che si erano dati alla macchia, defilati e nascosti ai fascisti repubblichini dopo l'8 settembre 1943 ma non partecipanti alla liberazione nelle formazioni partigiane.
La V^ Armata Americana, in questo marasma, diede ordine ad alcuni studi legali di rintracciare le persone che avevano lavorato in Germania ed erano tornate in patria senza avere chiuso la loro posizione lavorativa a causa del confuso e caotico periodo finale del conflitto, durante il quale i lavoratori non avevano percepito la paga dalle aziende in cui erano impiegati.

Lo studio degli avvocati in base alle liste consegnate inviò una cartolina con risposta da compilare con la data di rientro in Italia. Alcuni che erano rientrati prima di marzo (e verosibilmente chiusa la loro posizione ) non ebbero alcun rimborso, altri ebbero un rimborso forfettario di 1500 lire per mese o di cinquanta lire giornaliere (tale cifra era la paga media di un operaio italiano in quel periodo).

1945 - Tabella post-bellica inserita nella circolare n° 91 dell'Istituto Nazionale Previdenza Sociale che fa riferimento alle paghe del 1939 (anteguerra) ed ancora valide percentualmente come contributi.

Il periodo rimborsato iniziava dal 1° di marzo fino al giorno del rientro e fino a un massimo di quattro mesi cioè: marzo, aprile, maggio e giugno. (Con la forte inflazione di oltre venti volte, in Nord-Italia dal 1939 al 1945 la paga media nel dopogruerra era arrivata a 200 - 250 lire settimanale.) Rimase pressochè costante il cambio Lira-Marco intorno a 7 : 1 (dopo l'otto settembre "43 i tedeschi imposero il marco di occupazione (come fecero gli americani con le AM-LIRE) con rapporto Lira - Marco di 10 : 1 ma non ebbe seguito perchè il mercato continuò a mantenere più o meno lo stesso tasso di cambio di sempre.

Gli stessi valori di paga anteguerra vennero invece mantenuti dallo Stato per saldare i militari che erano stati assenti dai reparti contro la loro volontà, perchè prigionieri degli alleati o dei tedeschi (con le limitazioni sopra accennate)
A titolo di esempio (ho dei documenti che lo attestano) un marinaio prigioniero in Africa dal maggio 1941 al giugno 1946 (circa 1800 giorni), dopo processo di "DISIMPEGNO" fatto dalla Marina (per giustificare la sua regolare assenza dal reparto militare per prigionia), fu liquidato con poco più di 11.000 lire per oltre 5 anni! , pari a circa 6 lire al giorno.
Più o meno la stessa cifra è stata pagata nel "43 ad una madre vedova i cui figli erano stati richiamati alle armi. I due figli soldati le davano diritto a 12 lire al giorno di "SOCCORSO"; dopo l'otto settembre 1943, un figlio venne cancellato dal libretto (forse si era dato alla macchia?) e la cifra ridotta a 8 lire al giorno e dopo 3 mesi di riscossione all'ufficio postale ogni 15 gg. il pagamento si è interrotto (?).

Libretto di "SOCCORSO". Fronte e pagina interna con le competenze di 10 lire, diminuite dopo l'8 settembre "43 a lire 8 a favore di madre vedova con figli militari. Emesso nel 1943 e pagato all'ufficio postale ogni quindicina, (in un altro documento del dicembre "44 (R.S.I.) è di lire 33 ogni 15 giorni.)
Cartolina del luglio 1945 (con risposta affrancata Lire 1,20) per richiedere la data di rientro in Italia di lavoratore in Germania. In base alla risposta (3 mesi e 10 giorni) è segnata la cifra di £ 5.000
(questa cartolina fa parte di un piccolo lotto di un ventina di pezzi tutti uguali con nomi e conti diversi)
Cartolina nuova (non utilizzata) per comunicare al lavoratore rientrato dalla Germania, che su incarico della V^ Armata americana, gli avrebbero fatto avere la somma tramite banca.

Da quanto sopra, penso di poter concludere che molto probabilmente la lettera presentata nella rubrica "le domande dei lettori " fosse di un lavoratore volontario o ex I.M.I. che scriveva ai parenti avendo come indirizzo mittente il luogo dove risiedeva, infatti scrivevo:

"Un lettore del mio sito < www.postaesocieta.it > mi ha inviato la seguente immagine e mi ha fatto una domanda a cui non so rispondere. Il lettore chiede: il mittente era un lavoratore coatto residente o un deportato? Analizzando l'immagine ho rilevato che è affrancata, questo presuppone possesso di denaro, quindi non deportato. Ho notato che sulla busta c'e impresso un timbro che corrisponde all'indirizzo vergato dal mittente e la parola (WERKHEIM). Non conosco il tedesco e una scorsa al dizionario mi ha fatto pensare a "casa del lavoro", "ricovero", "ostello per il lavoro", questo mi fa supporre che il mittente fosse un prestatore d'opera andato in Germania di sua volontà a lavorare e alloggiasse in una struttura organizzata dalla fabbrica. La busta reca tracce della censura tedesca effettuata a Monaco di Baviera. Si potrebbe anche arguire che il timbro applicato sul fronte, e uguale all'indirizzo, fosse applicato dall'ostello e magari obbligatorio per i lavoratori esteri colà trasferiti, per essere facilmente identificabili. Chi mi può dare informazioni su questo dilemma?

Grazie Marino Bignami.

Pubblicazioni consultate:
CRONACA NUMISMATICA 1999 "speciale" La monetazione nella 2° Guerra Mondiale"
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - Circolare n° 91 - ottobre 1945.
Gianni Giannoccolo - GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI NEI CAMPI TEDESCHI .
Gianni Giannoccolo - I MILITARI ITALIANI NELLE FORMAZIONI GERMANICHE 1943 - 1945
L.Buzzetti-P.Vironda - POSTE DA CAMPO E FELDPOST 1943 - 1945
Giuseppe Marchese - www.giuseppemarchese.com
www.schiavidihitler.it

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