storia postale



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la lettera tra storia postale e storia,
ovvero divertirsi in economia

di Giuseppe PREZIOSI (da l'Occhio di Arechi n. 28 dell'A.S.F.N.)

Lo confesso, per molti anni sono stato anch'io un collezionista classico di francobolli sciolti e ancora oggi lo sono. Il raccogliere tanti pezzi uguali, fossero anche dei banali ordinari, mi dava un senso di intima soddisfazione. A buon motivo potrei essere considerato un "mazzettaro", di qualità, ma pur sempre un "mazzettaro". È da parecchi anni, però, che si è sviluppato in me un senso di saturazione e di noia. In fondo si trattava di acquistare a poco prezzo migliaia di pezzi tutti uguali, magari su frammento, per lavarli, selezionarli e imbustarli. Divertente, ma non troppo, visto che mancava uno degli aspetti più importanti che rende vivo il collezionismo: lo studio. Non c'è alcun piacere a riempire decine di buste con francobolli di valore quasi nullo che difficilmente saranno riprese tra le mani e riguardate.
Non possedendo mezzi sostanziosi e non facendo parte del circuito degli espositori mi è stata anche preclusa la possibilità di avvicinarmi al mondo del francobollo classico, carico di per sé di storia e per il quale non erano ipotizzabili dei grandi accumuli.
La lettura, però, di numerose riviste e libri ha messo a poco a poco in luce la nuova frontiera del collezionismo filatelico: la storia postale. Affrancature e tariffe, servizi accessori e modulistica, pur utilizzando i medesimi francobolli che, sciolti, non avevano alcun valore, potevano riservare delle sorprese e delle soddisfazioni (anche in termini economici) di non poco conto. La storia postale, però, non è la storia. Pur collezionando dei documenti che appartengono al passato (magari prossimo, ma sempre passato), lo storico postale li considera avulsi dal momento in cui nacquero. Allo storico postale non interessa il contesto storico e neanche lo spaccato sociale che il documento postale può rappresentare. Esso lo intriga per quanto rappresenta nell'ambito della posta. Un fulgido esempio di tale modo di intendere la storia postale sono state le due mostre sul "Regno" e la "Repubblica" realizzate a Montecitorio alcuni anni or sono. Ho scritto fulgido in quanto in esse erano raccolte vere perle filateliche, oltre che storico postali. Tariffe poco usate, usi plurimi di pezzi non comuni che rendevano il documento spesso unico, utilizzi complessi per valori che, di per sé poco rari, lo sono diventati in forza del loro accoppiarsi (valori gemelli, affrancature miste, momenti di transizione per le poste documentati attraverso usi anomali dei francobolli ecc.). In quel caso pochi si curarono dei bolli, magari a targhetta, che, viceversa, interessano degli appassionati di "nicchia", pronti a scrivere la storia di un particolare bollo, usato per poco tempo e in pochi casi. Ancor meno furono mostrate delle "rosse" o delle automatiche, mortificate perché "non francobolli" mentre, si sa, vi sono degli appassionati pronti a creare delle splendide raccolte tematiche utilizzando solo le targhette che accompagnano il punzone di Stato.
Una delle intuizioni geniali di Alberto Bolaffi è stata la rivalutazione dei contenuti delle lettere. La posta è stata per lunghi secoli il veicolo quasi esclusivo di idee, notizie, sentimenti. Perché separare il contenuto dal contenente o semplicemente ignorarlo se, attraverso di esso, si può ricostruire lo spaccato sociale di un segmento storico irripetibile? L'editore torinese tendeva a rivalutare, anche da un punto di vista economico, soprattutto un settore antiquariale e prefilatelico che, le sovraccoperte, neanche le apriva. Ma c'è stato chi ha interpretato in modo molto più ampio il messaggio, allargandolo a periodi a noi più vicini e pubblicando studi, ad esempio, sulle lettere dei prigionieri di guerra, che sono delle vere pietre miliari filografiche. Purtroppo tali studi non sono né semplici né economici e scivolano, il più delle volte, nell'aspetto umano e sociale del contenuto degli scritti ignorando, a questo punto, il contenente (i bolli, gli istradamenti, le censure e quant'altro) magari non toccando problematiche postali che sarebbe fondamentale sviscerare. In ogni caso concentrandosi troppo sul contenuto di un gruppo di documenti quasi mai sarà possibile collegarli alla storia con la S maiuscola che pure è contemporanea.
Altro grande problema è che la storia, di per sé, è una vera sconosciuta, anzi una nemica per le giovani generazioni. In sostanza, il problema più profondo, anche per individui di cultura, è che essi mancano del "senso della storia". Le generazioni più recenti non si rendono cioè conto di far parte di una catena di cui loro sono solo un anello e che questa catena non può essere spezzata in alcun modo né può essere accettata a segmenti. Oggi, la storia, globalmente intesa, è ignorata e, a livello individuale, il vissuto della generazione genitrice non viene neanche preso in considerazione, figurarsi quello dei nonni. Luigi XV diceva: "dopo di me, la fine"; le generazioni dei nostri figli e nipoti sostengono invece: "prima di me, il nulla". Altro che far tesoro delle passate esperienze!
Lo scarsissimo interesse per il passato potrebbe essere invocato tra le cause del tramonto di molti hobbies tra cui la filatelia. Come può attirare un diversivo che è collegato, in ogni caso, a un passato che si vuole ignorare? Da qui anche il degrado della filatelia a raccolta di immaginette che dovrebbero insegnare qualcosa, che comunque si ignora, ma che soprattutto non hanno più una dignità funzionale che le rendano attuali e collegate al vissuto.
Ma se appena si possiede il "senso della storia" ci si accorge che è proprio la documentazione postale (contenuto e contenente) che ci può far rivivere, quasi toccare con mano, quei momenti. Una lettera del secolo scorso, a non voler andare troppo indietro nel tempo, ad esempio, è stata scritta in un giorno particolare, attestato dall'annullo, in cui, magari, nel mondo si "faceva" la storia. Al di là del contenuto che quasi mai si riferisce a quel momento, è il contenente stesso che ha "vissuto", "viaggiato", "comunicato" in quel preciso giorno in cui si stava "facendo" la storia.
Una prima "folgorazione" la ebbi quando misi le mani sul volume di Emilio Simonazzi e Paolo Vaccari sui 36 giorni di regno di Umberto II. Volume, peraltro bellissimo, che legava un documento postale, spesso con affrancature complesse e bolli rari, ad ogni giorno di quel breve periodo. Al di là della pura storia postale, il messaggio che gli autori volevano inviare era molto chiaro: mentre in quei convulsi giorni la storia d'Italia subiva una drastica sterzata, la comunicazione scritta continuava a viaggiare da un capo all'altro del Paese spesso senza che i comunicanti si rendessero conto di quello che stava accadendo. Il volume non è scritto da "filografi" ma è indubbio che il richiamo alla storia in senso lato sia molto forte. Tutti i documenti trasudano il fascino del vissuto quotidiano, legato però al momento storico. Ma la storia non si crea forse giorno dopo giorno, spesso all'insaputa dei comuni mortali? Ogni giorno diviene, per il solo fatto di essere trascorso, "storia" per l'intera umanità. Altrove e meglio proverò questa affermazione, ma senza voler tediare ulteriormente il lettore è possibile, "a posteriori", selezionare i giorni che hanno fatto la storia in modo più palese, le cosiddette "date storiche", che per oltre un secolo possono trovare una documentazione postale certificata, anche se indipendente dal fatto. Mi dà un senso quasi di ebbrezza avere tra le mani un qualunque documento postale "lavorato", ad esempio, il 25 luglio del 1943 o il 24 maggio 1915 e così via datando. L'ignaro documento è la prova che un ignaro attore stava utilizzando lo strumento di comunicazione mentre in qualche parte d'Italia o del mondo la storia subiva una brusca sterzata. Ritrovare, dopo molta fatica, un documento postale con una delle date sensibili che hanno mutato il corso dei destini di milioni di uomini ti provoca un tuffo al cuore. E lo si può acquistare spesso con qualche euro, visto che la storia postale privilegia la rarità del documento, la storia con la S maiuscola non lo fa. Si può anche sperare che il costo contenuto e l'interesse nella ricerca della data particolare possa coinvolgere qualche giovane attratto dalla storia più che dalla filatelia (se mai esiste). Sarebbe un successo clamoroso e potrebbe far intravedere un futuro "Culturale" per un settore asfittico.
Vi presento perciò qualche esempio che prova quanto fin'ora scritto sperando, in futuro, di poter aggiungere altri documenti con diverse date memorabili a questa mia raccolta molto particolare.
Un'ultima considerazione. Come faranno le generazioni future e provare la stessa emozione quando non esisteranno prove tangibili di comunicazione con data certa?

10 giugno 1924

Il 10 giugno 1924, un martedì, si rivelava per tutta l'Italia come una calda giornata di primavera inoltrata. Gli italiani, almeno quelli che se lo potevano permettere, avevano smesso i caldi pastrani invernali e indossati gli spolverini tipici dei mezzi tempi. Nelle città del Centro Sud se ne vedevano parecchi in paglietta e "spezzato" con pantaloni bianchi di panno leggero.
Il 10 giugno 1924, la Camera dei Deputati era stata convocata in seduta pomeridiana. I lavori della XXVII legislatura erano iniziati solo da una decina di giorni dopo che gli eletti erano stati convalidati da una larghissima maggioranza, nonostante un violento discorso contro la legittimità delle stesse elezioni tenuto dall'onorevole Giacomo Matteotti, socialista, il 30 maggio. La seduta del 10 si preannunciava egualmente scottante visto il montare dello scandalo delle tangenti pagate dalla Standard Oil ad esponenti del fascismo e della stessa monarchia per ottenere l'esclusiva dello sfruttamento e della vendita dei prodotti petroliferi nel nostro paese e sue colonie.
Il 10 giugno 1924, verso le 16, l'onorevole Giacomo Matteotti uscì di casa con in tasca il discorso scottante sulle tangenti Standard per recarsi, a piedi, come faceva sempre, a Montecitorio. Il caldo lo aveva convinto a variare il percorso del suo abituale tragitto per cui, invece di girare per la via Flaminia e Piazza del Popolo, si avviò sul lungotevere Arnaldo da Brescia. Sotto i platani del lungotevere sostava un'auto della polizia politica fascista. Probabilmente, lo zelo di alcuni gerarchi si era spinto sino allo spiare il movimento del deputato socialista. Alle 16 e 30, approfittando della poca gente che camminava sul lungotevere a quell'ora e con una temperatura di circa 30°, i componenti della squadra si avvicinarono all'onorevole Matteotti, lo afferrarono e, malgrado questi si divincolasse, lo scaraventarono sull'auto che partì velocemente. Alle 18 e 30 l'onorevole Matteotti era già stato ucciso con alcune coltellate e il suo cadavere girovagava con i suoi assassini per la campagna romana.


Il 10 giugno 1924, alle prime ore del giorno, un solerte portalettere prelevava la posta da alcune cassette poste lungo il percorso che lo avrebbe condotto alla stazione ferroviaria di Palermo dove sarebbe stato effettuato lo smistamento e la bollatura degli oggetti. In una delle buche, la sera precedente o durante la notte, una mano sconosciuta aveva deposto una lettera di piccolo formato, affrancata al retro, secondo un'usanza diffusa all'epoca, indirizzata a tal "Distinta Signorina Gianna Di Pasquale, presso la scuola professionale femminile, Piazza Castelnuovo, Città". La letterina fu bollata sul fronte con un annullo meccanico a targhetta con la quale si propagandava l'uso del numero del quartiere postale, una sorta di codice di avviamento postale ante litteram. Il datario di Palermo Ferrovia indica chiaramente, oltre la data, l'orario di lavorazione, 9 -10. Resisi conto che né il datario, né la targhetta avevano potuto esplicare la loro funzione annullatrice, gli ufficiali postali di Palermo Ferrovia provvidero ad imprimere sul francobollo, con un Guller, la data (10.6.24/10) e l'indicazione "Palermo Ferrovia Corrispondenze ordinarie".

La letterina finì quindi nel dispaccio per le poste centrali e la successiva lavorazione. Il francobollo utilizzato era un Michetti da 60 centesimi, blu, sovrastampato per 25 centesimi. Emesso il primo dicembre 1923 (sarebbe stato in uso sino al 31 dicembre 1925), esso faceva parte del nutrito gruppo di sovrastampati emessi negli anni Venti per poter utilizzare dei tagli che il variare delle tariffe avevano reso difficilmente utilizzabili. La tariffa da 25 centesimi (lettera nel distretto) era assolta appieno dal nostro francobollo che risulta, peraltro, anche decentrato verso il basso. Giunto all'ufficio di Palermo Centro, il dispaccio fu immediatamente lavorato e la letterina ricevette l'impronta di un altro Guller recante la data (10.6.24/12) e la dicitura "Palermo distribuzione". A separare le parole due rosette piuttosto grandi e distanziate mentre nell'annullatore di Palermo Ferrovia le rosette sono molto piccole e ravvicinate alle scritte. Inoltre, le lunette del bollo di Palermo Ferrovia, per quanto piccole, sono riempite con una serie di barrette verticali, cosa che non succede nel bollo di Palermo Centro.
Quest'ultimo fu apposto al retro, accanto al francobollo, mentre sul davanti, per ribadire l'invito ad indicare il numero del quartiere postale, un piccolo bollo tondo rendeva noto agli utenti che Piazza Castelnuovo era situata nel quartiere postale 14.
Con la distribuzione delle ore 17 dello stesso 10 giugno 1924 la letterina fu consegnata nelle mani della signorina Gianna.


3 Settembre 1939

Il sabato 3 settembre 1939 chiudeva una settimana convulsa che aveva visto Hitler scatenare, il giovedì precedente, l'offensiva militare contro la Polonia. Dopo due giorni, le armate tedesche erano già penetrate profondamente in territorio polacco travolgendo ogni resistenza. Le cancellerie degli altri paesi europei erano subito entrate in fibrillazione, chi cercando una scusa per giustificare un defilamento, chi per distrarre l'attenzione da subdoli propositi aggressivi, chi per prendere decisioni, in ogni caso, tragiche. Quest'ultima era la situazione della Gran Bretagna e della Francia che, dopo aver ceduto due volte, in occasione dell'Anschluss dell'Austria e dello smembramento della Cecoslovacchia, non erano più disposte a transigere per la Polonia, stimando di poter ancora bloccare in tempi brevi la macchina bellica tedesca.
La mattina del 3 la decisione era stata presa e nell'arco della giornata fu formalizzata la dichiarazione di guerra, considerato anche il rifiuto tedesco a fermare l'attacco alla Polonia.
A sera, era ormai scoppiata la Seconda guerra mondiale, anche se nessuno lo sapeva e nessuno immaginava quali devastazioni e lutti avrebbe comportato.


Dopo una convulsa giornata, solo la neutrale Svizzera poteva considerarsi totalmente estranea al conflitto, anche se le preoccupazioni non mancavano e il governo stava predisponendo delle contromisure per garantire il rispetto della neutralità.
Dopo una giornata di lavoro, un impiegato del comitato di atletica, facente parte dell'Associazione svizzera di calcio e atletica, con sede a Ginevra, imbucò presso l'ufficio n.2 della città una lettera indirizzata all'Associazione di atletica leggera di Zurigo, casella 2735 dell'ufficio postale presso la stazione centrale della città svizzero-tedesca.
L'ufficio di Ginevra 2, situato all'interno dell'antica stazione Cornavin, che sorge proprio al centro della città, bollò alle ore 23 in modo molto chiaro la lettera (secondo una tradizione che fa divenire indecifrabile il tempo in cui un bollo svizzero viene apposto) e l'avviò immediatamente verso il treno per Zurigo. Nessun bollo di arrivo certifica l'introduzione della missiva nella casella postale, ma possiamo arguire che tutto avvenne nell'arco di una giornata.
20 centesimi resero franca la lettera mediante un francobollo commemorativo che ricordava, ironia della sorte, il 75° anniversario della firma della I Convenzione di Ginevra sulle condizioni dei feriti in guerra. La convenzione era stata successivamente (nel 1906 e nel 1929) migliorata e, con l'ultima edizione, integrata da un'importante aggiunta sulle condizioni dei prigionieri di guerra.
L'ignaro utilizzatore del francobollo non poteva certo prevedere quante volte nei successivi sei anni la convenzione di Ginevra sarebbe stata calpestata da molti dei suoi firmatari.


25 luglio 1943

La mattina del 25 luglio 1943 nulla lasciava presagire quello che si sarebbe verificato entro la fine della giornata. Pochi, e solo nella capitale, erano al corrente del risultato del Gran Consiglio del Fascismo iniziato la sera precedente e scioltosi nel cuore della notte. L'Italia era stata defascistizzata d'ufficio e nessuno lo sapeva. La giornata si presentava, come le ultime appena trascorse, calda e soleggiata, e….. di passione per le nostre forze armate e la dignità nazionale. Era dal 10 luglio, quando gli alleati erano sbarcati in Sicilia, che gli italiani non si aspettavano più nulla di buono dai bollettini di guerra. I testi erano sempre simili: le truppe italiane e i camerati germanici opponevano una strenua resistenza che, alla fine, avrebbe ricacciato in mare gli invasori. Non era vero e nessuno ci credeva. L'unica certezza era data dalla crescente potenza bellica alleata e che, almeno in campo aereo, non c'era più confronto.
Il 25 luglio era domenica e gli uffici pubblici e la maggior parte delle fabbriche erano chiuse. Chi poteva, si era allontanato dalle città magari per raggiungere le famiglie sfollate. Pochissimi erano a conoscenza che il re aveva convocato per la stessa serata il dimissionario capo del governo ed era pronto a farlo arrestare. Gli stessi tedeschi, tranne Hitler e pochi intimi, erano ignari di quanto successo nella notte. Fu perciò con grande stupore che, a sera inoltrata, poco prima delle 23, gli italiani appresero dall'EIAR, che aveva interrotto la normale programmazione, della caduta del governo, della sostituzione di Mussolini con Badoglio e che la guerra continuava. Le reazioni si sarebbero avute solo a partire dal 27 quando i giornali riportarono la notizia con grande evidenza, la popolazione si riversò per le strade e iniziò ad abbattere i simboli del regime. Nessuno sembrò rendersi conto, in quel momento, della tragedia che stava per abbattersi sulla nostra nazione.

Il 25 luglio 1943 era un giorno come un altro anche per le truppe italiane dislocate sui vari fronti di guerra, in particolare nei Balcani, in Grecia e in Albania.
Uno scritturale del 26° Parco Speciale Automobilistico di stanza a Tirana, di buon mattino si recò alla direzione del reparto dei servizi generali per il disbrigo della corrispondenza corrente. In particolare preparò la corrispondenza d'ufficio da inviare ad alcuni reggimenti autieri con richieste di rimpiazzi e pratiche varie del personale. Nella tarda mattinata aveva completato il lavoro ed era pronto a portare la posta presso il comando della 9ª Armata, lì a Tirana, dove avveniva il concentramento dei dispacci per l'Italia, presso l'ufficio di posta militare n. 22.
Stazionario in Albania, e in particolare a Tirana, fin dall'inizio della guerra, l'ufficio di posta militare n. 22 aveva seguito le sorti della 9ª Armata anche quando questa aveva assunto la denominazione di Comando Superiore delle FF.AA. in Albania. Era meno di due mesi che si era tornati alla vecchia denominazione.
La posta fu lavorata con grande celerità perché doveva essere imbarcata sul primo volo militare del lunedì per l'Italia che decollava dall'aeroporto di Tirana prima dell'alba.
La lettera, indirizzata al Comando del 4° reggimento autieri, compagnia deposito provvisorio di Verona, ricevette perciò l'impronta del classico Guller in dotazione all'ufficio della P.M. 22 con l'anno dell'era fascista, il XXI, in bella evidenza e finì nel sacco in partenza.
Non sappiamo quando giunse a Verona, perché manca il bollo d'arrivo. Sappiamo però che, dopo due mesi e 5 giorni, la posta militare n. 22 fu chiusa a Roma, insieme a numerose altre, dopo aver perso stampati, valori e bolli di servizio.


27 aprile 1945

Il 27 aprile 1945 era venerdì e dappertutto, in Italia, si respirava un'aria euforica. Da due giorni era ormai in atto un'insurrezione generale al Nord mentre tra il CNLAI e le forze armate germaniche erano in corso trattative che avrebbero consentito a quest'ultime un'onorevole resa.
Invano il cardinale Schuster aveva cercato di far sottoscrivere una resa incondizionata anche alle truppe e al governo della R.S.I. Sicumera, fanatismo, paura, delusione, avevano spinto Mussolini e i principali membri del governo e delle forze armate repubblicane a scegliere la via di una fuga strategica ma ingloriosa e quasi impossibile verso la Svizzera. Vi era la speranza di superare il confine in qualche punto poco controllato eludendo la scorta delle SS o di nascondersi, prendendo contatto con gli angloamericani per consegnarsi a questi ultimi. Qualcuno blaterava di un inesistente "ridotto della Valtellina" in cui arroccarsi in attesa di un'eroica resistenza finale. Dopo aver vagolato tra Como e Menaggio durante l'intera giornata del 26, lo sparuto gruppetto, tra cui Mussolini, la Petacci e alcuni gerarchi si era fermato nella piccola cittadina lariana. Durante la notte tra il 26 e il 27 si trovava a passare per Menaggio un'autocolonna tedesca, formata in prevalenza da personale della Flack, proveniente da Como e diretta in Germania. Mussolini, alle strette e vista la situazione, aveva chiesto insieme ai gerarchi di aggregarsi, non liberi, non prigionieri ma ospiti indesiderati anche se tollerati.
Tra le parti dell'autocolonna, costituita da un blindato, alcune Volkswagen di servizio e autocarri "telonati", adibiti al trasporto truppe, erano state infilate anche le FIAT nere del duce e di quelli che avevano voluto seguirlo, anche se in realtà Mussolini era stato fatto salire quasi subito sul blindato, per proteggerlo meglio, disse il colonnello Fallmeyer, comandante della colonna. All'alba del 27 aprile, qualche chilometro prima di Dongo, l'autocolonna fu bloccata da uno sparuto gruppo di partigiani della 52ª brigata Garibaldi comandati da Pier Luigi Bellini delle Stelle. Agli italiani, pur genericamente alla ricerca di fuggiaschi, premeva soprattutto bloccare la colonna per controllarla e disarmarla. Fu solo per caso che un solerte partigiano, Urbano Lazzaro, guardia di finanza presso la tenenza di Dongo, nel controllare gli occupanti di un autocarro, scovò tra essi il duce, mimetizzato in un pastrano della Luftwaffe e con un elmetto calato sugli occhi. Apparve chiaro a questo punto anche il perché della presenza nell'autocolonna delle FIAT nere. Presi in consegna dai partigiani, Mussolini, Claretta Petacci, il fratello di quest'ultima e un nutrito gruppo di gerarchi, furono condotti nel municipio di Dongo in attesa di una decisione che in realtà era stata già presa, mentre la notizia della cattura rimbalzava di comando in comando fino alla sede del CLNAI che, valutati rapidamente i pro e i contro, ritenne l'esecuzione dell'ex duce un'opzione opportuna. Così la sera del 27 aprile 1945 una squadra, al comando del colonnello Walter Audisio, si mosse rapidamente da Milano alla volta di Dongo.
Il giorno seguente, precedendo nei tempi gli inglesi e gli americani e contro il parere di molti componenti del CLNAI, il colonnello "Valerio" avrebbe giustiziato, alle 16 e 10, Mussolini e la Petacci a Giulino frazione del comune di Mezzegra sulla riva occidentale del lago di Como.



Il 27 aprile 1945 la sede di Chieti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale aveva urgenza di comunicare a tutte le sedi periferiche, "organi erogatori della provincia", (in pratica i comuni) che il 1° maggio successivo sarebbe stato considerato solennità civile, come deliberato dal Consiglio dei Ministri, e che, pertanto, ai lavoratori, quel giorno sarebbe stata corrisposta l'indennità di disoccupazione con esonero dell'obbligo della firma di controllo. Si precisava anche che la festività del 1° maggio sostituiva quella del 21 aprile, Natale di Roma.
Alle 14 l'addetto al protocollo e alla posta presso l'INPS portò all'ufficio principale della città teatina il gruppo delle circolari, non imbustate ma affrancate con il 2 lire carminio della serie "imperiale". L'affrancatura, in vero, appare strana perché con 2 lire si spediva una lettera fuori distretto (per il distretto bastava 1 lira), ma per una comune stampa bastavano 40 centesimi e, se diretta a Sindaci, anche 20. La circolare era stata inviata al municipio di Ripa Teatina, un centro di poco più di 3.000 abitanti a meno di 5 km dal capoluogo. Il francobollo fu annullato dal normale Guller di Chieti (arrivi e partenze) di grande formato, atto a contenere, oltre l'orario di invio (le 15), l'anno dell'era fascista che, dal 1943 era stato fatto scomparire dal blocchetto – datario che presentava un ampio spazio bianco dopo la data.
La circolare era in ritardo per essere avviata con la corriera che collegava il capoluogo al comune e dovette attendere il mattino successivo ma a Ripa Teatina la posta scaricata non potette essere lavorata prima di lunedì 30, data che appare al verso, impressa con un vecchio Guller a lunette vuote, stellette divisorie e nome della provincia in chiaro.

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