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un bollo......sospetto
di Raffaele CICCARELLI

>>> I francesi in Italia
 
 

Sfogliando il bel libro “Quel magnifico biennio” curato da Bruno Crevato Selvaggi mi sono imbattuto alla pagina 26 nella riproduzione di una lettera spedita da Chiavari capoluogo del dipartimento napoleonico 110 con il fantomatico bollo CHARGÉ D’OFFICE di cui tante avevo sentito parlare. La didascalia a lato indica che l’apposizione di tale bollo era “una procedura riservata alla valutazione del Direttore della Posta secondo la presunta importanza del plico o del destinatario” proseguendo poi con una considerazione sulla infrequentissima procedura e da una valutazione di rarità annotandola come “l’unica lettera partita da un ufficio italiano con questo bollo”.

Fin qui le note dell’estensore ma la sensazione che come dice il proverbio “non è tutto oro quel che luce” e cioè che tale bollo sia un falso clamoroso mi è rimasta anzi si è rafforzata.

Ricordo se la memoria non mi inganna di aver personalmente sentito, a latere di una esposizione filatelica, da uno dei più grandi esperti di posta napoleonica parlare di questa lettera e del suo bollo qualificandola come un falso inequivocabile.

Vedrò nel appoggiare questa tesi di portare alcune documentazioni che la potrebbero confermare.

Nel suo fondamentale libro per i collezionisti di posta napoleonica, “Metodi e bolli postali napoleonici dei dipartimenti francesi d’Italia” di Edoardo P. Ohnmeiss edito da Vaccari nel 1982 a proposito delle raccomandazioni d’ufficio ( Chargé d’office) l’autore così scrive a pag. 74:
“…. Faceva eccezione la RACCOMANDATA D’UFFICIO, la quale era una raccomandazione obbligatoria del direttore. Egli doveva attuarla se riteneva che le lettere trovate nella buca fossero di notevole importanza o che contenessero particolari valori. La raccomandata d’ufficio si realizzava anche per lettere di personalità di alto rango che le avevano affidate alla staffetta o all’espresso e che l’ufficio di destinazione riceveva per lo smistamento o per l’inoltro al circondario” e più sotto proseguiva:
“ Per la raccomandazione d’ufficio non fu deliberato alcun bollo specifico; il direttore doveva mano scrivere al recto, eventualmente sottolineata l’indicazione Recommandée d’office”.

Questo dunque il pensiero dell’Ohnmeiss e conoscendo la sua scrupolosità senz’altro suffragata dalle opportune ricerche sulla legislazione postale francese di indubbio valore.

Ad accreditare quanto sopra aggiungo quanto scrive sull’argomento a pag. 132 Michèle Chauvet de la prestigiosa “Accadémie de Philatelie” francese nel suo libro “Introduction a l’histoire postale, des origines a 1849” edito da Brun & fils nel 2000.
“….quando una lettera sembra contenere denaro o cose preziose il suo inoltro è un po’ perturbato da una particolare procedura: il direttore deve, per prevenire ogni eventuale causa verso le Poste, (applicare) la raccomandazione d’ufficio “.

Vediamo ora cosa dicevano le leggi che regolavano la posta delle lettere. La norma già in vigore dal 1757 e ribadita nel 1792 dall’ Instruction générale sur le service des postes all’articolo 6 recitava:
“Tutte le lettere che si suppone contengano denaro, o gioielli o degli oggetti preziosi saranno raccomandate su foglio di avviso destinato all’ufficio al quale la lettera è indirizzata o per la quale dovrà essere spedita en passe; ma essendo questo tipo di raccomandazione fatto d’ufficio la lettera sarà tassata per il semplice porto; sarà annotato in testa alla lettera: Raccomandata d’ufficio”.

L’istruzione generale sul servizio postale del 1808 riprenderà pari pari la stessa disposizione aggiungendo alcune precisazioni che non modificano il senso della norma.

Quindi alla luce di quanto enunciato dalle leggi e da quanto già esaurientemente scritto da due eminenti studiosi di filatelia andiamo ad analizzare la lettera in questione.

La lettera è scritta il 18 maggio 1806 da Chiavari dall’ufficio del Procuratore Generale Imperiale del Dipartimento in Chiavari al giudice di pace del Cantone di Bardi.

Tale lettera ha le caratteristiche necessarie per essere trattata dal Direttore della Posta di Chiavari, Nicola Bertarelli uomo navigato essendo già direttore al tempo della Repubblica Genovese come raccomandata di ufficio?
Pare proprio di no per alcune semplici considerazioni qui sotto elencate.

  1. La lettera essendo corrispondenza ufficiale tra due pubblici funzionari senz’altro non è stata messa nella buca postale ma consegnata da qualche impiegato del Procuratore al Direttore della Posta per l’instradamento. Appare quindi altamente improbabile che l’ufficio del Procuratore Imperiale abbia voluto in qualche modo frodare l’amministrazione delle poste.
  2. Proprio per essere i due, mittente e ricevente, esponenti dell’ordine giudiziario e per quanto sopra detto pare impossibile che il Procuratore Generale abbia inserito denaro o tanto meno gioielli, come indicavano le disposizioni che dovevano provocare la raccomandata d’ufficio. La logica, ma sarebbe anche interessante vedere il testo a eventuale conferma, sembra presumere che si trattasse di una normale corrispondenza di carattere amministrativo.
  3. Il Direttore della Posta può avere effettuato dunque una operazione che non gli competeva per quanto prescritto dalla legge? Anche in questo caso, pur non escludendo in assoluto la cosa, pare altamente improbabile vista l’esperienza del funzionario e tenendo conto delle severe disposizioni che regolavano le funzioni degli uffici e le pene previste in caso di inadempienze, che di lì a poco tempo, per esempio, avrebbero provocato nello stesso ufficio l’allontanamento del verificatore postale per “infedeltà nel servizio”.
  4. Sebbene ufficio di capoluogo dipartimentale, Chiavari era una direzione postale semplice, due impiegati direttore e verificatore, non certo quindi ufficio di grande traffico ed importanza. Ad oggi non si conosce neppure l’uso del timbro CHARGÉ, e pur non escludendo che ne possa essere stato dotato, ma potrebbe essere anche il contrario, è difficilmente verosimile che possa essere stato dotato di un timbro per i CHARGÉ D’OFFICE.
    C’è da valutare quindi quante volte potesse essere usato in Chiavari un timbro del genere anche perché i regolamenti postali non prevedendo affatto una procedura che implicasse l’uso di un timbro dedicato ne escludevano di fatto la sua possibile fattura. Genova e Torino uffici di gran lunga più importanti non disponevano di tale timbro.
  5. In ultimo è possibile che il Direttore di Chiavari per sua iniziativa personale abbia fatto costruire un tale timbro?. Anche tale ipotesi mi sembra possa essere ragionevolmente scartata.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte pur non essendo un perito filatelico, a proposito vista l’ipotizzata rarità personalmente avrei chiesto ad un perito di verificare l’autenticità del bollo, con una alta probabilità si può ragionevolmente asserire che il bollo apposto sulla lettera quasi sicuramente un falso.

In ultimo ancora una constatazione. La caratteristica e le forme delle singole lettere appaiono molto simili al timbro del deboursé di Chiavari sembrano ……quasi imitate, e ciò non fa che avvalorare i sospetti.

Tuttavia non avendo la verità in tasca sottopongo in questa rubrica la mia opinione.

La discussione è aperta, altre interpretazioni i sarebbero ben gradite; spero quindi che gli amici collezionisti del settore possano con i loro apporti e le loro conoscenze, inviare informazioni utili a districare questo enigma o no? Della posta napoleonica francese in Italia.

 
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