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la guerra di CORSA nel Mediterraneo

di Giuseppe MARCHESE

 

Rapporti con i corsari e pirati di Stati amici o non nemici


I rapporti di assistenza coi corsari sono resi noti con un manifesto del 1 agosto 1693 a firma del viceré Giovanni Francesco Paceco Gomez de Sandoval, Mendoza, duca d'Uzeda il quale ordina:
"v'ordinamo, che capitando nella marina di cotesta Città, o Terra, e Bergantino della Religione Hierosolimana, & altre imbarcattioni di Corsari amici, e Vassalli di Sua Maestà, debitamente alli Capitani delle medesime primo loco dargli le notizie dell'andamenti dell'imbarcattioni nemiche e di tutto questo stimate degno d'avviso per loro difesa, e cautela, con farli similmente assistere subito a loro spese di tutti quelli soccorsi & aggiuti necessarij di vitto, rinfreschi, & altri che richiederanno, a fine di restar gustosi & animarli al Corso in questi mari per cudodia (custodia) di questo Fidelissimo Regno, deportandovi però con ogni attenzione e zelo nella conservazione della salute pubblica con guardie & assistenza di persone qualificate à finche non faccino conservare, e praticare à detti Corsari con persona veruna di questo Regno per non sortir alcun inconveniente". (7)

Lo stesso viceré il 28.9.1693 ritorna sull'argomento ordinando:
"...che capitando in codesta marina galeotta, bergantino ò altra imbarcazione maltese di corso con patente limpia che havesse venuto direttamente da detta isola (Malta) in questo Regno, senza aver toccato luogo sospetto ne avuto commercio con imbarcazioni sospette, ne fatto preda dobbiate a queste libera pratica con tutte le notizie e rinfreschi et altri che richiederanno conforme s'ha praticato per il passato senza dargli impedimento alcuno facilitandogli al maggior segno...."

Nel 1801 arrivò nel porto del Molo di Girgenti (odierna Porto Empedocle) uno sciabeccotto inglese predato da una barca di corso francese.
La preda venne ritenuta legittima e quindi..."Avendo ordinato S. M. di restituirsi il sciabeccotto inglese predato dal sciabeccotto francese che da questo porto fu fugato da Francesco Valente con il marinaro siciliano Andrea Caglio, sia dato al capitano francese la preda e che si mettesse in libertà, ma il marinaro siciliano che lo reputò (aiutò) restasse carcerato, perciò lo mando in codesto castello affinché lo soccorrano con il pane della corte....".

In questo modo si legittimava la guerra di corsa e le sue regole, ma senza l'adesione della Sicilia all'atto, e per tale motivo il marinaio siciliano venne incarcerato.

La regola della libertà nella guerra di corsa è ancora una volta affermata in questa missiva che proviene da Sciacca in data 24 agosto 1797: "Questa mattina circa l'ore 13 a vista della città, e vicino il capo di San Marco vi fu un combattimento tra una galeotta tunisina, ed un'altra maltese, comandata da Padron Giuseppe Zaf, e dopo un conflitto a vivo fuoco, che durò quasi un'ora e mezza, finalmente, glorie al Signore, vinse il maltese, che attraccò la turca, di cui fece preda con tutto l'equipaggio, sebene maltrattato e ferito, consistente in numero 60 turchi, giacché cinque di essi perirono nel conflitto, nel quale li maltesi in numero 32 perderono un'uomo, ed ebbero molti feriti; quindi li vittoriosi maltesi, presero la via del levante, seco conducendo la preda retta d'alcuni maltesi. Certe particolarità si rilevarono d'alcune barche di questa, che accorsero con uomini armati, in giusta distanza, e dopo il conflitto intesero dai maltesi le descritte notizie, e che questi si dirigevano per Malta per la divuta contumacia."
La procedura di riconoscimento delle patenti di corsa di nazioni non amiche, come allora era la Francia, vengono evidenziate in questa comunicazione del 21 marzo 1793: "Avendo il ministro della Repubblica di Francia presentato un esemplare delle patenti di corso, di cui ora vengono muniti gli armatori di quella Nazione, che trovasi in guerra con diverse potenze in Europa: Mi ha comandato il Re di rimetterne, come fo, a V.E. una Copia, ad effetto, che possa Ella far pervenire quelle, che bisognano a tutti i porti di cotesto Regno, onde venghino confrontate con l'originale, che dovrà presentare qualunque legno Corsale di detta Nazione, che fosse per approdare né medesimi."


Di lì a poco la Francia divenne una nazione nemica. L'occupazione di Malta e la Repubblica partenopea furono l'occasione per la guerra tra il Regno di Napoli e Sicilia e Repubblica francese.

Il corso poteva ora avvenire lungo le coste siciliane: "Il Governatore di Siracusa brigadiere della Torre ha rassegnato a S.M., che richiamate le forze marittime dal blocco della Valletta, profittando i Francesi dell'occasione, hanno armato quattro speronare, e due galeotte in corso per quei mari; minacciando di voler scendere a terra nelle adiacenze di quel Littorale di Avola e Noto. Palazzo 9 giugno 1799."

Ma i nemici, o gli inimici come si diceva allora, non si annidavano soltanto in sotto le bandiere di un'altra patria o un'altra religione.

Poteva benissimo accadere che una città si mettesse contro un'altra e subito in un amen si ordinava la guerra di corso contro quell'improvvisato nemico. Alle volte non era necessario neanche nessun ordine. La guerra di corsa era una prassi talmente scontata....

Nel 1734 la Sicilia era contesta tra gli imperiali, o austriaci, e la Spagna i quali ultimi la rivolevano assolutamente indietro. Il macello, o la guerra guerreggiata, era in quel di Messina. A poco a poco gli spagnoli avanzavano e gli austriaci indietreggiavano finché agli imperiali non rimase altro spazio che le fortezze di Siracusa e di Trapani.

Adirati per la resistenza di quelle piazzeforti Don Giuseppe Carrillo Albornoz, capitano generale della spedizione in Italia, bontà sua, bandisce la guerra di corsa contro le barche trapanesi e siracusane, ed altre di bandiera imperiale come si legge nel Bando e Comandamento:


Ma se almeno l'Albornoz era un conquistatore, che dire "delli Trapanisi" che nel 1820 si trovarono ad essere in lite con i palermitani per via che i palermitani volevano l'indipendenza e la costituzione di Spagna mentre "li Trapanisi" volevano......

A prescindere di cosa volevano niente di meglio che menar le mani. Guerra a oltranza per terra e per mare. Per mare avvenne che capitò sotto le grinfie dei trapanesi ...."Una delle nostre barche cannoniere incrociando né mari di mezzogiorno ebbero la sorte di predare un brigantino napoletano proveniente da Malta col carico di grani di salme 280. Questo legno apparteneva al principe della Trabia e al negoziante Giovanni Riso (palermitani) e fu dichiarata buona preda" (8)


Le scorrerie nei mari siciliani


Il 12 agosto 1588 la piazzaforte di Augusta era stata attaccata e i corsari avevano fatto prede di "innumerevoli cristiani".

Al calar del sole dell'11 giugno 1624 attacco contro la torre di Bonagia (nei pressi di Trapani) condotto da tredici galere provenienti da Tunisi e Biserta. Dopo un cannoneggiamento durato tutta la notte gli assalitori irruppero all'interno e trucidarono 40 uomini mentre altri 40 furono predati all'interno del baglio. Seguì il saccheggio e l'incendio della tonnara. Era intenzione, si seppe poi, di prendere anche Monte San Giuliano, ma la erta cima e le robuste mura dissuasero i barbareschi. (9)

La presenza barbaresca nei mari di Sicilia era un fatto consueto anche contro le città munite di mura e di forti. Il Villabianca ricorda il caso di sei galee corsare che razziarono l'isola di Ustica prelevando un notevole numero di schiavi, malgrado la presenza di due galere "pronte alla bisogna nel porto di Palermo". (10)

Anche a Trapani, ben munita di mura e di forti, si registra un attacco dei turchi l'1.8.1779 "dopo pranzo". (11)

Ma oltre a queste apparizioni di grosse formazioni di pirati vi erano le incursioni di barche isolate. La tecnica era questa. La nave pirata incrociava al largo e quando avvistava una nave metteva a mare una lancia che tentava di raggiungere la preda. Dalla galeotta corsara intanto si sparavano colpi di cannone contro la preda per intimorirla ed invitarla alla resa. In questo caso, quasi sempre, la barca aggredita metteva in mare una propria lancia e cercava di salvare il salvabile, cioè la cattura delle persone imbarcate, abbandonando la nave e il carico. Qualche volta i predoni prendevano il carico, altre anche la nave prendeva il largo diretta a Tunisi o Algeri.

Un'altra diversione, se si era vicini alla riva, consisteva nel dirigere la barca verso la costa ad incagliarsi, e scappare poi sulla terraferma. Alcune volte lo scopo del salvamento della vita o delle barche era raggiunto.

Nel caso di attacco a terra, la barca pirata si manteneva al largo, fuori del tiro dei cannoni, e mandava a terra una lancia con la ciurma che cercava la razzia preferendo le prede umane.

Il controcanto ci viene raccontato dal Pugnatore: "Per lo che i marinari di Trapani si inanimarono tanto che l'anno seguente (1583) avendo armato insino a tredici tra bergantini (brigantini) et altri cotal legni somiglianti, ebbero l'ardire di assaltar in Africa la terra di Monastero (Monastir) e di prenderla appresso e saccheggiarla" (12)




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07 - Biblioteca Fardelliana, atti del senato di Trapani del 1741).
08 - Nicolò Burgio e Clavina, annali di Trapani, manoscritto, 1832. Biblioteca Fardelliana Trapani.
09 - Vincenzo Adragna, Le incursioni dei corsari marbareschi nelle coste della Sicilia nord occidentale, in Trapani rassegna della Provincia, anno XXIV n.229.
10 - Francesco Maria Emanuele e Gaetani, Torri di guardia dei litorali della Sicilia, Edizioni Giada, Palermo 1985.
11 - Nicolò Burgio e Clavina, manoscritto, cronistoria di Trapani, Biblioteca Fardelliana Trapani.
12 - Pugnatore, Istoria di Trapani, Corrao, Trapani 1984.

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