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la guerra di CORSA nel Mediterraneo

di Giuseppe MARCHESE


Scopo della guerra di corsa


Lo scopo dei corsari era quello di predare in mare e per terra fare schiave tutte le persone che riuscivano a catturare. Raramente i corsari del nord africa utilizzavano i compiti del loro status cioè colpire il "nemico" a scopo bellico. La loro azione era quella del predatore, e certamente anche dall'altra parte, dalla nostra, era la stessa musica. Abbiano notizia di due sole attività militari: Tutte due a danno dei corsari "barbareschi". La prima si tradusse con la cattura del legno e di 60 mori; la seconda con la cattura della barca e del suo equipaggio, previa sparatoria e 5 morti. Nel primo caso si sconosce la nazionalità dell'attaccante; nel secondo caso si tratta di azione dei pirati maltesi.

Le regole della guerra di corsa stabilivano che all'arrivo nel porto di armamento vi fosse un'autorità che stabilisse se la preda era lecita. La nave quindi doveva battere bandiera nemica oppure essere persona o persone il cui Stato era in guerra con i predatori. Alcuni infortuni potevano succedere. Come quando una nave con la bandiera dell'imperatore Carlo VI venne predata dai corsari algerini. L'impero ottomano, di cui gli algerini facevano parte, non era in guerra con l'impero; tuttavia la preda venne dichiarata valida.

Poiché a bordo di era un personaggio di altro lignaggio intervennero gli ambasciatori. La sacra porta ordinò al Bey il rilascio della nave con tutto l'equipaggio e i corsari furono costretti a rilasciarla.

La cattura

La tratta degli schiavi cui erano soggetti i siciliani era la più evidente "debolezza" del Governo spagnolo, ma forse è meglio parlare del re spagnolo, incapace di proteggere le coste della Sicilia con una flotta, difese a terra e un cordone efficiente.

Per quanto riguarda la flotta diverse fonti storiche affermano che le galee siciliane erano adibite ad altri compiti e che il re li usava a sua discrezione per compiti di guerra; la fortificazione delle principali città erano fonte di preoccupazione da parte dei vari viceré, ma quando si trattava di spendere dei soldi per la loro efficienza non si era di manica larga; la guerra era sempre un pozzo in cui venivano buttate le risorse della Sicilia.

Era evidente una dicotomia tra le aspettative dei siciliani a una efficiente difesa e la aspirazioni del monarca che intendeva ampliare e preservare i suoi domini in Italia e in Europa, essendo questo problema di priorità assoluta per i governanti dell'epoca.

Questo problema non troverà mai una vera soluzione. La tratta di schiavi dalla Sicilia alla Barberia era un mercato fiorente tollerato dai re, ma anche del gruppo che comandava allora in Sicilia – vicerè e baroni – una sola voce si levava, a scadenza prefissata ed era il Parlamento siciliano che chiedeva, e non otteneva, una flotta e la tutela della costa.

La difesa del litorale

La difesa del litorale da questi micro attacchi non poteva avvenire con le grosse navi da combattimento, con i vascelli da 32 e più cannoni: ce ne sarebbero voluti molti, troppi. Cosa che non era nelle intenzioni del re di Spagna sempre affamato di soldi e di navi per fare la guerra a questo e a quello in Europa, nelle Americhe, al nord, al centro e al sud.

La flotta siciliana era formata da 5 navi, portate a 6 nel 1680. Poche per tenere i mari liberi dai corsari. In più queste, quando occorreva, andavano ad ingrossare la flotta spagnola e in Sicilia si doveva correre ai ripari.

Ripari che avvennero gradualmente, al solito molto gradualmente, prima con la sorveglianza del litorale, adattando alla meglio le guardie di sanità che sorvegliavano per altri scopi la costa e irrobustendo nei mesi d'estate la guardia con l'inserimento di guardie a piede e a cavallo.

Nello stesso tempo si costruirono baluardi, forti e torri di guardia, armate o meno, per l'avvistamento e la difesa del piccolo cabotaggio. Le città marittime vennero meglio difese da muraglie, con l'aggiunta di cannoni.

Tutto questo nel corso di oltre due secoli dalla metà del XVI secolo alla fine del XVIII. Agli inizi del 1800 l'opera era completa mentre la pirateria era ormai agli sgoccioli. Dal 1830 la nostra storia si può considerare conclusa.

Dal 1778 al 1810 su 175 attacchi corsari documentati nella "costa di mezzogiorno" (13) n. 25 sono stati gli sbarchi a terra con la preda di 78 persone. Di tre di queste incursioni non si conosce l'esito; 147 sono stati compiuti in mare con la schiavitù di 79 persone. In totale 157 persone presero la via della schiavitù.

 

La sorveglianza armata


Le guardie alla marina o le guardie del litorale erano state formate per impedire il contagio in periodi di pestilenza fuori regno.

Venne adoperata questa struttura anche per l'avvistamento e la difesa dai corsari barbareschi.

La sorveglianza del litorale da parte di guardie armate fu il primo espediente per tutelarsi dai corsari barbareschi. All'inizio erano solo vedette che avvisavano quando avvistavano legni corsari o sospette. In seguito questa difesa venne potenziata fino a essere una forza pronta ad intervenire con armi e ad impedire lo sbarco di corsari. Le lettere che ordinano mettere le guardie alle marine dicono costantemente che l'avviso deve essere dato "la notte col fuoco il giorno col fumo".

Vi erano guardie "di piede e di cavallo".

Il tipo di guardia e le distanze sono riportate in una lettera dell'8 luglio 1656 del viceré Giovanni Tellez Giròn, duca d'Ossuna di cui si riporta il passo che ci interessa: "...si ordina che per tutto il comprensorio della marina dobbiate mettere guardie così a piedi come a cavallo in quelli posti che vi appariranno più appropriati, nonchè dette guardie non siano distante una dall'altra più di tre miglia con l'ordinare à quelli a cavallo di continuamente mandano scorrendo et battendo il camino sino chè si incontrino con l'altro guardiano a cavallo dell'altro posto dandosi la mano l'un con l'altro e notizia di quanto passa acciò si stia con la vigilanza che tal materia ricerca."

Poichè il pericolo maggiore avveniva nel periodo estivo (da aprile a ottobre) in questo periodo veniva rafforzata la guardia che in un primo tempo venne chiamata straordinaria e poi "guardia d'està".

L'intervento di altre forze, come le guardie urbane e i reparti dell'esercito non erano ammesse, salvo in casi eccezionali e per brevi periodi.

Nel 1724 una ispezione del capitan d'armi e guerra della città di Mazzara "non trovò nel distretto di 14 miglia della marina di Castelvetrano, nessuna delle guardie". La mancata sorveglianza portava a più facili approdi dei corsari, ma anche se le guardie stavano al loro posto, l'unica mossa che disponevano era di accendere il fuoco e scappare.

Dal 1733 le guardie della marina erano dislocate a distanza di un miglio una dall'altra e alle spese contribuivano tutte le università (Comuni) e i Feudi litoranei. Erano soggetti alla spesa, ma in misura minore, anche i Comuni che non avevano sbocco sul mare. (14)

Nel periodo invernale le coste erano guardate dalle sole guardie di sanità che svolgevano un'altro compito: la difesa del litorale da navi che provenivano da luoghi sospetti infetti. (15)

Nei casi di urgenza e necessità si mobilitavano le guardie urbane di cavalleria e fanteria anche in posti distanti, come si apprende da una lettera del Presidente del Regno del 24.5.1798.

"In veduta di quanto fece presente V.S. in foglio del 15 del corrente del dubbio promosso dal Comandante del Forte di Girgenti se dovea, o no spedire alli Mazzarelli quella milizia urbana richiesta dalli Giurati di S. Croce, per respingere l'invasione dè barbareschi seguita sul litorale delli Mazzarelli.....che avendo dati gli ordini opportuni alle Università convicine alli Mazzarelli, non convenga che la milizia urbana di Girgenti si distacchi dal suo destino, che è quello di custodire il suo litorale."

Lo stato di necessità che spingeva ad utilizzare forze esterne dalle guardie alla marina, veniva ordinato dal viceré direttamente, In una lettera del 10.9.1785 il marchese Domenico Caracciolo ordinò di "tenersi pronta la milizia urbana per il sospetto di qualche invasione dei barbareschi".

Nel 1806 la guerra di corsa si estese alle navi napoletane e francesi. Il pericolo incombeva sulle coste. La guardia alla marina fu affidata a guardie della marina, miliziotti e truppa di linea. La sorveglianza venne rafforzata portandola a tre guardie per miglio. Nel 1809 alle tre guardia a miglio vennero aggiunti un graduato e un ufficiale.

La difesa del litorale era affidata ai forti e alle torri armate di cannoni, sotto la cui copertura si potevano rifugiare le barche da pesca e quelle di cabotaggio che erano nei paraggi.

Inoltre sorvegliavano il litorale le torri di osservazione, poste il luogo visibile, che avevano il compito si segnalare l'arrivo di navi sospette.

Le disposizioni del tempo, sia per le guardia sia per le Torri, avvertivano che la vigilanza doveva essere continua e, in caso di pericolo avvisare la costa "il giorno col fumo la notte col fuoco" (lettera da Palermo 19.10.1678).

Le Isole minori


Un ulteriore problema rappresentavano le isole minori. Ricettacolo e rifugio per i corsari, in quanto disabitate, le isole erano una croce per i nostri governanti.

Egadi. La prima ad essere colonizzata e difesa da una guarnigione, fu Favignana. Nell'isola era posto un castello, di epoca angioina, sulla cima di un colle su cui venne eretto il forte di S. Giacomo. (Figura) e il forte di S. Leonardo, "eretto sulla costa a difesa del porto e della tonnara".
Nel 1640 il Pallavicino ottenne la licentia populandi. Una popolazione di circa 200 anime viveva entro il forte S. Giacomo al riparo delle incursioni barbaresche. Anche a Favignana vi era un distaccamento di soldati spagnoli che vivevano entro il forte.


Il forte di S. Caterina in Favignana.

Marettimo. Sul finire del 1500 nell'isola venne eretta una fortezza, asilo di una piccola guarnigione
Verso il 1640 l'isola era abitata da una piccola guarnigione di militari, costretti nel forte dell'isola, mentre il resto era considerato "un nido di corsali".(Ferdinando Maurici Le Egadi dalla tarda antichità agli inizi dell'età moderna) La Fardelliana 1999.

Ustica. I nostri mari non restavano sicuri fin quando i corsari barbareschi avevano rifugio nell'isola di Ustica che serviva per loro da rifugio nelle tempeste e dove si nascondevano talvolta insidiando le nostre barche che si avvicinavano. Da molto tempo si era fatto il progetto di renderla abitata e di fortificarla.
Il 14.3.1761 venne emesso da Fogliani un bando in cui si invitava la popolazione a popolare l'isola assicurando il governo la necessaria protezione e fortificazioni.
Promesse al vento. Il 6 settembre 1762 corsari algerini sbarcarono nell'isola e presero 42 persone che caddero in schiavitù.
Un documento del 1789 ci rende noto che l'isola è abitata e vi sono truppe colà dislocate. 6 settembre 1762.

Eolie. La storia delle Eolie è quella di Lipari e dei commerci e commistioni con la pirateria e la guerra di corsa. Nel XVII secolo vi venne costruito un forte.

Lampedusa. Completamente isolate e prive di risorse, fino al XVIII secolo l'isola era disabitata.

Linosa. Deserta fino al 1845, quando venne colonizzata. Era certamente un approdo per i corsari barbareschi.





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13 - Si tratta della documentazione inerente la zona che va da Marsala a Scicli. La segnalazione di queste incursioni erano dirette alle città costiere per avvertire e prevenire le incursioni nel litorale mettendo all'erta i paesi del litorale.
14 - "...siamo a dirvi. Che a tenor della pianta del 1733 devesi la marina di codesta custodire con una guardia a miglio, siccome Noi ultimamente l'abbiamo disposto..."
Lettera da Palermo 31 Agosto 1745 a firma del viceré Bartolomeo Corsini.
15 - ...emanate sotto li 24 agosto incaricate alle Deputazioni di Sanità del Regno di far continuare le guardie d'està per la custodia tanto nè casi di Corsari, che di Sanità facendole servire di notte, e di giorno coll'aumento della metà del salario, che solevasi corrispondere alle dette guardie di Sanità, che d'allora in poi doveasi levare, col di più, che venendo il tempo solito di retirarsi le solite guardie d'està, e continuare quelle di sanità..." Circolare a stampa da Palermo 7 dicembre 1730 a firma del viceré Cristoforo Fernandez de Còrdova conte di Sastago.

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