S. P. del Regno delle due Sicilie

 

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Sui bolli manoscritti "Napoli"

di Giuseppe MARCHESE

Di Napoli si conoscono due tipi di bolli manoscritti con la scritta "Napoli" e "Naples" adoperati dal 7.1803 al 6.1805.

In quel periodo i bolli con la scritta "Napoli" disponibili nella Luogotenenza erano non meno di quattro.

Recentemente ho esaminato un carteggio di lettere provenienti dalla Sicilia e da Napoli, per il periodo dal 1747 al 1763.

Il carteggio è diretto alla medesima persona e proviene da un giovane cadetto dimorante a Palermo, Messina e Napoli il quale scrive al padre residente a Roma.

In questo carteggio vi sono quattro lettere del 1755 provenienti da Napoli che riportano in diverse fogge la scritta "Napoli", sia abbreviata che estesa. Si deve tenere presente che nel Giugno o nel Luglio 1755 per la prima volta Napoli acquisisce propri bolli per timbrare la corrispondenza in partenza e fors'anche i bolli di provenienza "Palermo", "Regno", "Roma", "Romagna" e altri ancora.

Le lettere in questione sono state scritte tutte nel periodo che va dal 26.4.1755 al 17.5.1755 quando ancora non era stato introdotto il bollo "Napoli", scritto con inchiostro e grafia differente del mittente.

Vi sono in prosieguo al carteggio altre tre lettere da Napoli del 31.5,14.6 e 30.6.1755 senza alcun bollo.

Le lettere hanno un'altra particolarità, che le altre non hanno: riportano con inchiostro rosso la cifra di tassa "3" e "2".

Tre lettere partono di sabato con il Procaccio e due di martedì con la Staffetta quindi è escluso che vi sia un percorso diverso all'origine della inusuale tassa.

Le lettere, sia quelle spedite il martedì che quelle spedite il sabato, arrivano a Roma esattamente tre giorni dopo.

Per tentare di decifrare le ragioni di questa diversità esaminiamo quale era la norma per le lettere dirette a Roma:

1) le lettere da Napoli per Roma dovevano obbligatoriamente affrancarsi per la tassa in vigore;

2) sulle lettere tassate con inchiostro rosso non vi è nessun segno apparente di tassa.

Su questo piccolo mistero si possono fare alcune ipotesi:

1a) Il porto non viene pagato a Napoli. Le lettere arrivano a Roma dove vengono assoggettate a tassa di due e tre grani quale lettera di foglio e foglio e mezzo.

Si presume che tale incombenza venne effettuata nell'Ufficio del Corrier Maggiore di Napoli in Roma. Nella camera delle tasse venne apposto il grafico "Nap.i" per indicare la provenienza e quindi la tariffa da pagare.

2a) La lettera paga il normale porto a Napoli e arriva a Roma dove non viene consegnata dalle poste napoletane, ma da quelle pontificie.

In questo caso la scritta "Nap.i" e "Nap.li" venne apposta dalle Poste Pontificie e ciò spiegherebbe la tassa di due o tre bayocchi imposta all'arrivo.

3a) La scritta indicante la città viene apposta a Napoli in partenza. Non vi era un motivo plausibile per tale annotazione, ma si era in un periodo di transizione - il mese prima dell'introduzione dei bolli - e per un certo periodo la Luogotenenza delle Poste adottò questo sistema poi divenuto di normale prassi con la consegna dei bolli alcuna contribuzione, nel mentre che non sono trasportate dai corrieri Romani; quindi non sarebbe priva di ragione la domanda anche di una porzione di tassa».

La risposta, sotto forma di nota interna, è del seguente tenore:

«Alla Domanda del Sig.Direttore delle Poste della Serenissima Repubblica di Genova fatta per il pagamento dell'ammontare delle lettere procedenti dalla Francia e Spagna, e dirette per lo Stato Pontificio, Napoli, Sicilia, Malta,... rispose il provvisorio Soprintendente Generale delle Poste, che all'enunciato debito doveva contrapporsi la spedizione di questo Generale Officio che faceva, ed attualmente fa, della corrispondenza di Napoli, Sicilia, Malta, per Francia e Spagna, fino a Firenze...

Se il Direttore della Posta di Genova affaccia in suo favore il debito, che le dà la Direzione delle Poste di Francia, il medesimo ha il diritto di contrapporre a tal debito il porto della corrispondenza di Napoli, Sicilia, Malta, Roma, fino a Genova, diritto che diminuirà sensibilmente il suo debito con la posta di Francia.

Questo medesimo diritto gli da motivo di rappresentare a quella Direzione di Francia che non è giusto che la medesima tassi le lettere per lo Stato Pontificio, Napoli, Sicilia, Malta, al saggio medesimo come le tassava allora quando faceva il trasporto di tali lettere a sue spese per intiero fino a Roma, non trasportandole ora che fino a Genova».

«Molto meno sussiste... che il compenso dell'Officio Pontificio non possa aver luogo, facendosi il trasporto da Firenze fino a Roma, ed il ritorno da Roma a Firenze, delle anzidette corrispondenze di Napoli, Sicilia, Malta, Roma da Corrieri che non gli appartengono, giacché questo trasporto, e ritorno, si fa da questo generale Officio per metà con quello di Firenze, per ciò che spetta al Porto... e per intero per ciò che spetta al ricevimento e rinvio delle corrispondenze ...».

Questa corrispondenza porta ad alcune conclusioni.

1) La soppressione delle Poste estere a Roma porta la conseguenza che Francia e Spagna fanno giungere le loro lettere a Genova e chiedono un pagamento a peso a queste poste. Le poste di Genova consegnano alle poste pontificie, a Firenze, chiedendo una tariffa a peso che compensi la precedente richiesta francese. Le poste pontificie consegnano alle poste napoletane di Roma il pacco delle lettere di Napoli, Sicilia, Malta chiedendo un compenso a peso. Allo stesso modo vengono trasportate le lettere nascenti da Napoli, Sicilia, Malta e dirette in Francia.

2) Le lettere venivano pagate dalle rispettive direzioni generale delle Poste a scadenze fisse.

3) Erano ammesse le rese delle lettere indistribuite, da riportare a credito delle amministrazioni interessate;

4) Dopo la soppressione delle Poste estere a Roma quelle Pontificie hanno la possibilità di sviluppare il proprio servizio di Corrieri per collegare il Pontificio e il Napoletano con le altre città d'Italia. Le Poste pontificie proposero che le lettere provenienti da Milano, e di tutta la Germania fossero trasportate a cura dei Corrieri di Milano a Firenze, cosi come a Firenze arrivavano le lettere di Francia e Spagna trasportate dai Corrieri di Genova; per quelle di Venezia il trasbordo avveniva a Pesaro. Da queste destinazioni venivano trasportate da Corrieri delle Poste Pontificie.

E siamo all'epilogo.

Dopo lunghe e complesse trattative gli Stati si arresero chiudendo a Roma gli uffici postali. Ma non sempre furono nobili i motivi addotti per tale chiusura. Ecco la motivazione principale secondo una nota del 4.11.1815 dell'ambasciatore francese a Roma:

«Ma quando ho visto il sovrano di Roma, un Pontefice venerabile per le sue virtù, per le lunghe sofferenze subite, limitarsi a chiedere che egli potesse, nella sua capitale, far sorvegliare da persone sicure i nemici che sono alle porte del suo palazzo, ho creduto che avendo l'onore di rappresentare il Re, dovevo cedere ai sentimenti nobili e generosi di cui Sua Maestà è stata sempre animata.

L'attenzione del Re non poteva essere che i cattivi approfittassero della maggiore attività del suo servizio postale per far conoscere più rapidamente le loro calunnie, far eseguire con maggior sicurezza i loro complotti, far affrettare l'esecuzione delle loro perfidie.

Nella relazione che inviai dissi quel che poco dopo accadde, che il Papa si trovava seduto sopra un vulcano; che era circondato da nemici; che ne aveva alle porte di Roma; e avrei potuto aggiungere che ne aveva nel suo palazzo, nel sacro collegio.»

Dunque si chiedeva la chiusura delle poste estere solo per controllare meglio le mosse, o gli scritti, di quelli che erano considerati nemici personali del Papa, insomma per questioni di potere, solamente di potere.

Non vi poteva essere maggiore contrasto tra ingiusta motivazione per un giusto provvedimento.

 
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