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La posta in Toscana durante il periodo Murat:

La Posta di Murat
di Fabrizio Finetti e Paolo Saletti (N.U. Toscana 2014 - A.S.Po.T.)

La fuga improvvisa di fine gennaio dei (pochi) funzionari transalpini impiegati alle Poste (1) nei dipartimenti dell’Arno, del Mediterraneo e dell’Ombrone, certamente non gettò nello sconforto i loro colleghi italiani più di quanto non lo facesse da tempo la situazione di cassa, divenuta insostenibile dopo i continui prelievi a cui era sottoposta per finanziare le estenuanti campagne militari di Napoleone (fig. 1).

Fig. 1) Il rientro degli uomini di Napoleone. E’ il 16 gennaio 1814 e il capitano Marteille di stanza a Siena nella Compagnia di riserva dell’Ombrone, scrive al collega Deborque, nel piccolo villaggio di Espéraza, situato nel dipartimento dell’Aude, vicino al confine con la Spagna. La lettera, tassata per 10 decimes, venne corretta nella parte finale del suo instradamento, in quanto la riscossione del dovuto era a carico dell’Ufficio di Limoux e non di quello di Carcassone.


Senza contare che l’arrivo delle truppe napoletane rappresentò un ulteriore aggravio per i miseri bilanci di tutte quelle comunità che dovettero ospitarle e sfamarle durante il loro passaggio (figg. 2 e 3).

Fig. 2) Quattrocento napoletani da sfamare (a Poggibonsi). In tempo di guerra la paura non è sempre causata dalle armi. Ce lo dice questa lettera spedita “per espresso” in data 9 febbraio 1814 dal maire di Poggibonsi, il quale è seriamente preoccupato di dover trovare viveri e alloggio a 400 militari napoletani che arriveranno nella sua Comune il giorno seguente. A tale proposito scrive al Sotto Prefetto di Siena implorandolo di aiutarlo: “Se Ella mi abbandona in questa impensata circostanza, mi troverò sicuramente a dei disordini irrimediabili (...).
Fig. 3) ... e settemila da alloggiare a San Quirico. Se a Poggibonsi si teme per l’ordine pubblico, dovendo sfamare quattrocento militari napoletani, in Val d’Orcia sono letteralmente terrorizzati all’idea di doverne alloggiare ben settemila tra il 18 e il 20 febbraio del 1814. Per questo il maire di San Quirico scrive a Pienza il 16 notte minacciando di requisire dalle Comuni limitrofe (in quanto autorizzato) paglia e biada, due articoli dei quali la sua comune è “totalmente sprovveduta.” Ne servono, rispettivamente, 40.000 libbre e 30 carri, in poco più di ventiquattr’ore! Il povero espresso viaggiò di notte per portare questa infausta notizia e alla fine fu ricompensato con 2 lire e 10 soldi.


Pertanto i “cavallini” di Murat (veri simboli caratterizzanti la posta del Re di Napoli) non seminarono il panico nel senso militare del termine. La priorità, per tutti i dipendenti dell’Amministrazione (corrieri, mastri di posta, etc.), era il pagamento dei loro stessi stipendi, in un sistema ormai sull’orlo del collasso, ma dal quale non si poteva certo uscire con un’affrettata decisione unilaterale. Per questo, procedure, servizi e appalti, in assenza di precise istruzioni (che nessuno poteva emanare in quei frangenti) rimasero invariati, in attesa che la situazione internazionale giungesse a un chiarimento.
Porti e tariffe delle lettere (espresse in franchi e decimes), rimasero quelli stabiliti per tutti i territori italiani dell’Impero con il decreto del 19 maggio 1811 (in vigore dal 1° luglio successivo), così come i contratti di lavoro proseguirono senza modifiche (2).

Fig. 4) Da Roma alla conquista dell’Italia. Premessa: gennaio 1814, Murat decide di occupare Roma e affida l’incarico al generale Pignatelli Cerchiara. Il giorno 19 lo stesso generale occupa Monte Citorio, prende possesso del Tesoro, della Polizia e di tutti i posti dei francesi. Rimase (solo) il generale Miollis chiuso con la sua guarnigione di 1500 uomini nel castello di Sant’Angelo. Lo stesso Re Gioacchino corse a Roma il 24 di gennaio e vi stabilì per il Governo Provvisorio della nuova conquista un Consiglio Generale di amministrazione. Quindi prese la volta della Lombardia ...
Questa lettera, scritta a Roma il 29 gennaio 1814, fu testimone oculare di quei fatti (e di tutte le incertezze legate alla percorribilità delle strade) avendo dovuto seguire, suo malgrado, lo stesso cammino delle truppe napoletane della Terza Divisione, che stavano marciando a tappe forzate verso nord per occupare il Granducato. “Consegnata a Ernesto che la mette alla Posta a Firenze”, vi giunse probabilmente il 31 dello stesso mese, per poi essere inoltrata a Nervi e quindi alla sua destinazione finale, come da annotazioni manoscritte al recto e al verso.

 

Se la Posta nel suo rapporto con gli utenti continuò a funzionare come prima, compatibilmente con le condizioni di sicurezza e percorribilità delle strade (fig. 4), la contabilità interna (per quanto possibile), segnò un ritorno al passato, che in alcuni casi è documentabile anche attraverso la corrispondenza. Lo si deduce da come vennero riutilizzati a Siena i celeberrimi bolli ebdomadari a forma di cuore, che dalla metà di marzo, fi no a tutto maggio del 1814, vennero apposti sulle lettere in transito e in arrivo, ma con significato mensile (cioè i soli numeri 3, 4 e 5). Dato che queste impronte avevano carattere esclusivamente amministrativo, dobbiamo dedurre che la loro ricomparsa (se pur adattata alle necessità del momento) sia indice di un ritorno alle vecchie prassi leopoldine (3). Non essendo noi a conoscenza di direttive specifiche, è lecito supporre che anche le modalità di bollatura della corrispondenza in partenza fossero frutto di decisioni locali, presumibilmente dettate da timori e convenienze di circostanza.
Infatti, nonostante la Direzione fiorentina avesse accolto a braccia aperte i liberatori napoletani, ripristinando lo stesso primo febbraio 1814 il vecchio bollo in cartella del 1808, l’esempio non ebbe seguito immediato nelle altre località. La reazione generale fu improntata alla massima prudenza e, almeno durante tutto il primo mese, in Toscana non si registrarono variazioni di rilievo nella bollatura delle lettere. Ciò è comprensibile soprattutto in quegli Uffici che avevano i bolli incisi con la grafi a italiana, mentre per quelli che portavano il nome in francese, si poneva ogni giorno di più l’esigenza di manifestare un segno di discontinuità. Durante il mese di marzo iniziarono a diffondersi gli adeguamenti alla nuova realtà delle cose, che escludeva un ritorno (almeno nel breve) degli invasori transalpini. Così, dopo Firenze, anche le altre Direzioni principali fecero la loro scelta in materia di bolli postali: mentre Siena pensò bene di riesumare per intero il corredo fornitogli dall’Amministrazione Dauchy, Livorno e Pisa optarono per dotarsi di matrici completamente nuove. Via via, seguirono i provvedimenti presi dagli Uffici che si trovavano alle loro dipendenze, provvedimenti che vennero perfezionati nei mesi successivi, quando il destino del Granducato era di nuovo chiaro a tutti (4).
Ricapitolando quelle che furono le modalità di bollatura della corrispondenza durante il periodo dell’Amministrazione Murat, distinguiamo sostanzialmente quattro forme di comportamento:
- Il mantenimento integrale del corredo di bolli dipartimentali francesi, come avvenne, ad esempio, a Grosseto, Modigliana e Pescia.
- La trasformazione delle matrici napoleoniche attraverso l’eliminazione del numero dipartimentale; in Toscana la prima Direzione postale che adottò questo provvedimento fu Arezzo (nel mese di aprile), seguita tra maggio e giugno (e quindi già in epoca di Restaurazione) da molti altri Uffici, tra i quali ricordiamo Lucignano, Montepulciano, Pontedera e San Quirico.
- La sostituzione, parziale o totale, del corredo di bolli napoleonici con le matrici del periodo Dauchy, come nel caso di Firenze, Radicofani, Siena e Volterra.
- La fabbricazione di nuovi bolli postali in sostituzione di quelli con il numero dipartimentale e la grafia francese (vedi Livorno e Pisa, come accennato prima).
Non troppo diversa, almeno da un punto di vista postale, fu la sorte dello Stato Lucchese (all’epoca denominato Principato di Lucca e Piombino), che includeva nel suo territorio anche le città di Massa e Carrara. Passato in mano al Murat il 14 marzo del 1814, il piccolo Principato visse un periodo di transizione più breve rispetto a quello della Toscana, durante il quale fu costituito un “Governo Provvisorio degli Stati di Lucca.” Il suo destino internazionale era segnato e il nome di Sua Maestà (il Re delle due Sicilie) il 6 di maggio seguente era già stato sostituito nelle intestazioni ufficiali dalla dicitura “In nome di Dio e delle Alte Potenze Alleate.” Nella stessa giornata il conte di Starhenberg aggiunse ai suoi titoli anche quello di “Governatore Generale della Città e Territorio di Lucca.” Considerate le premesse, durante la vita effimera dell’Amministrazione Napoletana, non si registrano delibere relative all’organizzazione del sistema postale, né, tantomeno, modificazioni significative sul modo di bollare la corrispondenza (fig. 5).

Fig. 5) Gli ordini del Generale. Lettera autografa del Conte di Starhemberg, comandante militare oltre che “Governatore generale della Città e Stato di Lucca.” La missiva, scritta il 24 maggio 1814 a Firenze e diretta a Lucca, fu rispedita a Massa, sempre nei territori dello Stato Lucchese, retti ufficialmente da un Governo provvisorio costituito sotto l’egida austriaca subito dopo la partenza delle truppe di Murat. Come si può notare, oltre alla cartella fiorentina, l’importante documento venne bollato con il consueto stampatello lucchese in uso dal 1808.

 

Un altro capitolo, poi, spetta a tutti quei bolli amministrativi (come gli “aquilotti”, le griffes, i contrassegni delle prefetture, dei tribunali, etc.) che in Toscana proliferarono sotto il governo francese e che in genere furono sostituiti piuttosto rapidamente (spesso, se non quasi sempre, prima dei bolli postali in uso nelle rispettive località) o, comunque, subirono la tempestiva asportazione dei loro aspetti simbolici più evidenti.
Traendo le conclusioni di questo breve excursus postale sul “periodo” Murat della Toscana, possiamo affermare che si trattò di un breve intervallo tra le tempeste napoleoniche e la lunga stagione di quiete imposta dalla Restaurazione. Per il piccolo Granducato, in definitiva, ebbe gli effetti di un moto d’orgoglio “involontario” soffocato sul nascere dagli eventi internazionali (fig. 6 e 7), ma dal quale, non dimentichiamolo, nacquero alcuni tratti importanti della sua futura identità postale.


Fig. 6) L’annuncio della pace. In data 20 aprile si diffonde il messaggio relativo all’armistizio firmato tra il Re di Napoli, gli austriaci e il rappresentante dei Lorena. I francesi rientreranno a casa loro e la Toscana tornerà al granduca Ferdinando III. Ai “cavallini” di Murat non resterà che ripiegare in buon ordine per attendere tempi migliori (coll. Monaci).

Fig. 7) 30 aprile 1814, il giorno dei saluti. Circolare di ringraziamento del Commissario Generale di Polizia alla Magistratura toscana (coll. Amorini).

Bollo del Commissario di Guerra Panigadi.


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1) In questo contesto si colloca la “simpatica” eccezione del controllore francese di Livorno (M Tabarìan), che a detta del Direttore della stessa Posta, Dario Mercati, sarebbe “qui rimasto non si sa come”, mentre tutti gli altri impiegati erano toscani. Il Direttore fornisce tali notizie al Prefetto (provvisorio) del Dipartimento del Mediterraneo in data 23 febbraio 1814 e nel post scriptum credo anche di poter ravvisare il motivo di tale scelta da parte del funzionario francese: “la paga di questo controllore è di Franchi Due Mila Quattrocento.”

2) In un prospetto inviato il 7 di aprile 1814 dal Direttore della Posta di Siena al Prefetto (provvisorio) del Dipartimento dell’Ombrone, si legge, tra le tante, che “il dettaglio degli obblighi dei Postieri è descritto minutamente nelle due leggi del 19 Frimaio an. VII, e P. mo Pratile anno detto”, e che “per il servizio venivano riconosciuti con una fi ssa indennità annuale di f. 450 = per ciascuno (...).” Passaggi che lasciano intendere come i contratti e le retribuzioni di tutto il personale delle Poste fossero ancora quelli stabiliti dalle leggi francesi.

3) Sull’argomento si veda Finetti Fabrizio “Il mito dei cuori toscani, falsi datari del Neoromanticismo”, Vaccari Magazine, n° 41, pp. 52-62.

4) Con l’accordo siglato a Parma il 20 aprile 1814 tra il principe Rospigliosi, plenipotenziario dei Lorena per la Toscana, un rappresentante dell’Austria e quello del Re di Napoli, venne deciso il formale ritorno di Ferdinando III sul legittimo trono a partire dal 1° maggio successivo; in attesa del rientro “fisico” sarebbe stato il Rospigliosi stesso, appunto, a governare in sua vece.

    
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