il tramonto di un regno









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il tramonto di un regno


di Giancarlo MAGNONI


5° Periodo: dal 26 novembre 1943 al 22 gennaio 1944.
Territorio a nord della linea del fuoco: Repubblica Sociale Italiana

Quarta parte (dal 5 gennaio al 10 gennaio 1944)

 

Mercoledì 5 gennaio 1944

Nasce la “Banda” di Pietro Caruso - Viene nominato questore di Verona, Pietro Caruso. E’ un fascista della prima ora. Di carattere tracotante e imperioso, senza alcuna voglia di lavorare, si era sentito irrimediabilmente attrarre dai somministratori di olio di ricino e dai manganellatori. Si era iscritto al fascio di Napoli sin dal 1° febbraio del 1921. Aveva partecipato alla marcia su Roma. Era passato alla “milizia” come capomanipolo il 3 marzo 1923 per farsi poi trasferire nella “portuaria”. Il 1943 lo ha trovato a Trieste, come comandante della legione, con il grado di seniore.
 

Dall’abbazia Di Montecassino – Lo sgombero dei civili da Montecassino
Al mattino un ufficiale tedesco si presenta all’abate Diamare e gli comunica che il Comando Supremo del Sud ha deciso di annullare la validità della fascia neutrale di trecento metri e che tutti i civili che si trovano nel monastero saranno prelevati in giornata da camion tedeschi per il loro sgombero e che i monaci e l’abate stesso sono invitati a lasciare
 

 

STORIA POSTALE del 5 gennaio
 

 


Lettera semplice da Parma a Firenze affrancata con valori della serie Galilei, fuori corso dal 1° luglio 1943, e Rossini, fuori corso dal 1° gennaio.
 

 

 

 

 

Montecassino per essere trasferiti a Roma.
Già prima delle 13 giungono i camion e prelevano quasi tutti i civili. Rimangono solo alcuni malati ricoverati nell’infermeria.

 

 

 

 

 


 

Raccomandata per la Germania (1,00 lettera + 1,50 di raccomandazione) affrancata con cinque valori da 0,50 Miti usati come ordinari.

In data odierna, con relazione n° 57 della Repubblica di Salò, vengono messi fuori corso tutti i francobolli del regno aventi lo stemma sabaudo o l’effigie di Vittorio Emanuele III° (che furono tacitamente tollerati sino il 15 marzo 1944).
In realtà i valori con stemma sabaudo come tutti i “Lupa” della Imperiale e cioè i £.0,05, 2,55, 3,70 e 5,00 non subirono sovrastampe e continuarono ad essere regolarmente usati con l’unica limitazione di impiego dovuta all’alto valore degli stessi che li hanno resi abbastanza rari (escluso naturalmente lo 0,05), come impiego in RSI.



Giovedì 6 gennaio 1944

La vendetta per il tradimento del 25 luglio - Dopo gli accordi presi con Hildergard Baez il 27 dicembre, Edda si è data da fare per recuperare i diari di Galeazzo rimasti a Roma. In questo la ha aiutata il suo grande amico: il marchese Emilio Pucci, coraggioso aviatore. Egli stesso, nei giorni scorsi, si è recato a Roma con Hildergard Beez e due agenti della SD, a ritirare tutti i documenti da un nascondiglio sotto il pavimento nell’abitazione di un dipendente dei Ciano. Il marchese ha avuto anche l’accortezza di nascondere una parte dei diari sotto il cappotto, nel caso in cui Hottl tentasse un tiro mancino, e di consegnargli soltanto i sei volumi contenenti i verbali dei colloqui. Giunto a Verona, non ha incontrato obiezioni da parte del generale Harster. Il tedesco ha dato ordine di fotografarli e di tradurre alcuni brani, da inviare a Berlino per l’approvazione di Kaltenbrunner. Oggi, il capo delle SD ha telegrafato la sua risposta positiva, il consenso all’avvio dell’”operazione conte”.
Il colpo di mano viene stabilito per le 20,30 di domani 7 gennaio. Con il pretesto di un ventilato complotto italiano per liberare Ciano, Harster invierà suoi uomini a occupare le carceri. Nella squadra vi saranno due agenti speciali, fatti venire dall’Olanda – sinistramente esperti nell’arte della morte silenziosa – per il caso in cui le guardie fasciste opponessero resistenza. Nessuno, d’altronde, dovrà rimanere vivo, perché nessun testimone possa poi confutare la versione che Kaltenbrunner darà a Hitler, imputando la fuga di Ciano all’opera di forze italiane. Alle 21 il Ciano, gli agenti e Hildergard Beetz si troveranno alla pietra miliare del chilometro 10 della strada statale Verona – Milano, all’incontro con Edda che dovrà giungere con denaro e gioielli, per provvedere alla salvezza del marito. Poi Ciano dovrà affrontare un volo rischioso: dal più vicino aeroporto tedesco – probabilmente Innsbruck – fino a Budapest, e di lì alla tenuta del conte Festetic, conoscente di Kaltenbrunner, in Transilvania. Quando giungerà la conferma che Galeazzo sarà giunto in Turchia, lungo una via di fuga sicura e collaudata dalle SS, Edda consegnerà a Frau Beetz gli altri diari in suo possesso.

Stanno per nascere le Brigate Nere - Pavolini ordina che ogni federazione fascista costituisca un “Centro arruolamento volontari” che dal 1° febbraio dovrà prendere in forza tutti i fascisti fra i 17 e i 37 anni che non sono ancora sotto le armi. Il partito, nelle intenzioni di Pavolini, spera di dare vita ad una organizzazione militare autonoma per offrire un contributo alla lotta interna che sia ben distinto da quello della GNR. I “Centri arruolamento volontari”, spiega il comunicato, non si limiteranno a schedare gli uomini che si presenteranno, ma dovranno addestrarli e, se possibile, equipaggiarli.

Dall’Abbazia di Montecassino - Il comando della V Armata di Mark Clark invia oggi un cablo al Dipartimento della Guerra di Washington con il quale risponde alle richieste di notizie sulla situazione riguardante l’Abbazia a seguito dei solleciti da parte della Santa Sede. Nel messaggio si dice:

“Questo comando è stato informato della auspicabilità di preservare l’Abbazia di Montecassino dal messaggio A347 datato 27 ottobre del Mediterranean Air Command e istruzioni in merito sono state diramate ai vari comandi interessati. Ci sono molte installazioni e postazioni di artiglieria tedesche nelle vicinanze di Cassino. Queste sono state prese sotto il nostro fuoco ed è possibile che colpi dispersi abbiano toccato l’abbazia. In tal caso si tratta di danni non intenzionali e inevitabili. Verranno continuati tutti gli sforzi per evitare di danneggiare l’abbazia, anche se questa occupa un terreno dominante che potrebbe benissimo servire al nemico come osservatorio.

Intanto nell’abbazia l’abate Diamare, dopo lunghe consultazioni con gli altri monaci rimasti sul posto, comunica all’ufficiale tedesco che ieri li ha invitati ad accettare di essere trasferiti a Roma ed ha pernottato nell’abbazia, che egli e gli altri monaci rimarranno a costudire il venerato sepolcro di San Benedetto. Non si muoveranno da Montecassino se non con la violenza.
La fretta di voler evacuare l’abbazia dimostra chiaramente ai monaci che il fronte si sta avvicinando e che i tedeschi hanno dovuto o temono di dover cedere terreno. I soldati tedeschi prima di andarsene tolgono i cartelli di delimitazione della zona neutrale.



Storia Postale del 6 gennaio
 


 

Su “La Nazione” di Firenze si può leggere il seguente articolo:

 

 

Biglietto postale 0,25 da Fiume a Parona (VR). Non frequente la posta da Fiume nel 1944 – 45.

 

 


 


 

 

Venerdì 7 gennaio 1944

La vendetta per il tradimento del 25 Luglio - Emilio Pucci, quando era andato a Roma, con la Beetz e i due agenti delle SD, per la consegna dei diari, ne aveva nascosti otto sotto il cappotto e li aveva affidati alla sicura custodia della famiglia Pessina, a Varese. Edda, nel tardo pomeriggio, dopo averli prelevati dalla casa amica, è partita in macchina con Pucci per Verona. Ma in prossimità di Brescia scoppia uno dei pneumatici posteriori. Lasciato il marchese a guardia di altri documenti, dopo essersi legati intorno al corpo gli otto diari ai quali ha tolto le copertine, si mette faticosamente in cammino da sola. Sta nevicando e sulla Milano – Verona non circola anima viva. Ora correndo, ora arrancando in questo deserto bianco, Edda, guarda dietro di sé, scrutando ansiosa nel buio, nella speranza di vedere la luce dei fari di un’automobile. Brescia è ancora lontana quando il passaggio offertole da un solitario camionista le dà un passaggio prezioso, ma non va oltre la città. Le rimangono da percorrere ancora sessanta chilometri e sembra le resti soltanto mezz’ora. Sforzando gli occhi, Edda vede improvvisamente un ciclista che sta pedalando a fatica attraverso la cortina di neve. Il ciclista aderisce volonterosamente alla preghiera di Edda di darle un passaggio sulla canna. A questo punto sembra che siano le 22 (un’ora oltre quella dell’appuntamento). Quando Edda giunge al chilometro 10 e scende dalla
bicicletta non si capisce che ore siano (1). Sul posto non c’è nessuno. Dopo avere lungamente e invano atteso, ode ronzare in direzione di Verona il motore di un camion che le dà un passaggio. Alla periferia della città gli orologi segnano le cinque del mattino. Mancano quattro ore e quindici minuti all’inizio del processo che dovrà decidere della vita di suo marito, Galeazzo Ciano.
Edda non ha potuto leggere la lettera che Galeazzo le ha scritto ieri (6 gennaio):
 

“Edda mia, mentre tu vivi ancora nella beata illusione che fra poche ore sarò libero e saremo nuovamente tutti insieme, per me è cominciata l’agonia”.

Egli sa: ventiquattro prima dell’attesa angosciosa e ignara di Edda al chilometro 10, Hildegard Beetz gli ha portato la desolante notizia che “l’operazione conte” e stata annullata. Hitler, avvertito del complotto da von Ribbentrop e da Goebbels, ha convocato Himmler e Kaltenbrunner (nella foto), li ha costretti ad ammissioni, e li ha rimproverati violentemente. Chiamato al telefono il generale Harster a Verona, il Fuhrer gli ha urlato: “Se Ciano fugge, pagherete con la vostra testa!”

(1) Non si riesce comunque a capire come (qualunque sia il tempo impiegato) potesse percorrere sessanta chilometri in canna della bicicletta di quel volonteroso ciclista!

 

 

Storia Postale del 7 gennaio

 

 



Lettera raccomandata da Voghera (PV) a Fucecchio (FI).
 

 

 

 

 

Sabato 8 gennaio 1944

La vendetta per il tradimento del 25 Luglio
Comincia a Verona il processo ai membri del Gran Consiglio che votarono l’ordine del Giorno Grandi il 24 luglio 1943.


Nella foto l’ingresso di Castelvecchio dove si svolge il processo.
 

 

 

 

 


 

 


Dei 19 imputati sono presenti solamente sei: Ciano, Gottardi, Pareschi, De Bono, Marinelli e Cianetti. I tredici assenti (che saranno condannati a morte in contumacia) sono: Bottai, Bastianini, Albini; Rossoni, De Stefani, Bignardi, Balella, Federzoni, Acerbo, Grandi, Alfieri, De Vecchi e De Marsico. Tutti sono imputati di “avere tradito l’Idea rivoluzionaria e, con quel voto, offerto al re il pretesto per effettuare il colpo di stato”.

 

 

Ecco il capo d’imputazione: “Delitto di tradimento ed aiuto al nemico per avere, in occasione del voto emesso dal Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 in Roma in concorso fra loro, attentato all’indipendenza dello Stato ed aver nuociuto tanto alla resistenza del paese, quanto alle operazioni delle forze armate”.


 

Nella foto gli avvocati difensori
Il ministro Pisenti, dopo avere esaminato gli atti del processo, aveva dichiarato a Mussolini che in essi mancavano del tutto le prove del tradimento o di una collusione dei membri del Gran Consiglio con la Corona e con Badoglio, e che il voto del 25 luglio era stato la conclusione di una seduta svoltasi in piena legalità. Al che Mussolini gli aveva risposto che gli si mostrava il solo lato giuridico del processo, mentre egli voleva vederlo sotto l’aspetto politico, nel quale la ragione di stato sopprime ogni altra considerazione.
Alle nove e quindici ha inizio la macabra mascherata. Tutti quelli che vi sono coinvolti sanno che si tratta di un processo formale. Nella tribuna dei giudici siedono uomini che hanno fatto tutto il possibile per evitare questo compito. Per il giudice Renzo Montagna, un generale della Milizia di quarantadue anni, questa è “una vendetta, piuttosto che un atto di giustizia”. Il giudice Franz Pagliani, un chirurgo, ha obiettato con vigore a Pavolini: “Il compito di un medico è salvare vite umane, non condannare a morte!”. Quasi nessuno degli imputati nutre qualche speranza sull’esito del processo. La paura che soverchia ogni sentimento ha reso molto difficile trovare avvocati disposti alla difesa. Per Ciano, impossibile (salvo quello d’ufficio, ne rimarrà privo fino alla fine).
Il maresciallo De Bono è l’unico sostenuto dall’intima certezza di essere presto liberato, anzi ha mandato a sua cugina un messaggio:
“Sta tranquilla, sarà solo questione di giorni….Ricordati però, al mio ritorno, di prepararmi un buon pranzetto”.
Fin dal 14 novembre, durante il Congresso di Verona, due fascisti della vecchia guardia avevano già condannato i sei prigionieri: sono Pietro Cosmin (nella foto), ex ufficiale di Marina, e il maggiore Nicola Furlotti, capo della polizia federale a Verona.
 

Dal giorno in cui Cosmin si era autonominato prefetto di Verona, in base alla legge della sua pistola, e Furlotti era divenuto il suo devoto seguace, erano entrambi ben determinati allo scopo: se mai Ciano fosse rimesso in libertà, a dispetto di Mussolini morirebbe per mano di Furlotti stesso, nel veicolo carcerario che riporterebbe i detenuti da Castelvecchio alle prigioni. Così, Furlotti, prima che il Pubblico Accusatore, Andrea Fortunato (un fanatico siciliano mutilato da un braccio) si alzi per l’atto di incriminazione, lo prende in disparte e gli sibila: “Ce la farai, eh? Non ti lascerai impressionare da questa gente che è stata tanto importante?”. Fortunato scuote il capo con veemenza. Furlotti e Cosmin, attraverso la sala, si scambiano un tacito cenno significativo.
 

 “Voi avete detto che ove vi foste incontrato col Duce gli avreste detto che non vedevate bene la convocazione, in quel momento, del Gran Consiglio…Come mai non vi curaste di parlarne? Non vi era difficile farlo”, dice a Ciano il Pubblico Accusatore.

“Non essendo più ministro degli Esteri, non avevo facoltà di avvicinare facilmente il capo del governo”, è la magra scusa dell’imputato.

“Perché andaste alla seduta sapendo che vi si tramava contro il Capo?”,viene chiesto a De Bono.

“Avrei voluto non andare al Gran Consiglio perché prevedevo che la seduta sarebbe stata lunga e io soffro il sonno”, risponde sinceramente il Maresciallo.

Poi tocca a Pareschi: “Era difficile per me capirci qualche cosa”, si giustifica.

E Cianetti: “Cominciai a capire che non era chiaro e che vi si nascondeva un tranello…dissi a Scorza che avrei subito scritto a Mussolini per ritirare il mio voto…”.

A sua volta Gottardi: “Credetti che l’iniziativa di Grandi mirasse a rafforzare la nostra capacità combattiva…”.
Alla fine Marinelli: “Ero lontano dieci metri e, data la mia sordità, non potevo afferrare che una piccola parte della discussione”.
 

Storia Postale dell’8 gennaio

 

Avviso di ricevimento da Treviso a Bologna non timbrato in partenza e vistato dalla censura di Bologna con il particolare bollo A. Arriva a Bologna l’8 gennaio.
 


 

 

Domenica 9 gennaio 1944

All’inizio delle arringhe di difesa, Cosmin diventa sempre più irrequieto nell’udire l’avvocato Riccardo Marrosu parlare con molta persuasività delle benemerenze militari del suo assistito De Bono; non potendone più, avanza di scatto verso il banco del difensore, a sinistra della Corte. Un incauto lo apostrofa al passaggio: “E’ stata un’arringa indovinata, non è vero?”. Cosmin, gli occhi carichi di minaccia fissi su Marrosu, gli risponde: “I difensori farebbero bene a camminare a testa bassa. Già, perché, nel caso, ci sarà piombo anche per loro”.

Edda Ciano, dopo le vicissitudini passate il 7 gennaio, fugge in Svizzera e si rifugia nel convento di Neggio, portandosi dietro gli otto diari del marito Galeazzo.
 

 


Storia Postale del 9 gennaio
 




Avviso di ricevimento con modulo cartaceo modello 23A da Monselice (PD). Affrancatura inconsueta con 0,35 – 0,15 Imperiale.
 


 

 

 

 

 


La vendetta per il tradimento del 25 Luglio
Continua il processo di Verona. Nelle foto gli imputati e il collegio dei giudici che stanno ascoltando gli interventi degli avvocati difensori.

Nella foto: In primo piano De Bono, con la testa fra le mani, e Ciano, dietro, da sinistra, Marinelli, Pareschi, Gottardi e Cianetti.
 

 


Nella foto dei giudici, da destra: Otello Gaddo, Enrico Vezzalini, Vito Casalinuovo, Giovanni Battista Raggio, il presidente del tribunale straordinario Aldo Vecchini, Celso Riva, Renzo Montagna, Franz Pagliani e Domenico Mittiga (non visibile nella foto). Tutti fascisti della vecchia guardia. Giudice istruttore Vincenzo Cersosimo (nella terza foto), pubblico accusatore Andrea Fortunato.

 

 

 

 


Lunedì 10 gennaio 1944

La vendetta per il tradimento del 25 Luglio - Al processo di Verona, alle 10 del mattino, dopo l’arringa di Tommaso Fortini, che ha parlato per novanta minuti in difesa di Cianetti, una segretaria terrorizzata si avvicina al difensore di Gottardi, l’avvocato Perani. “Avvertite subito gli altri – mormora. – Quando il presidente leggerà la sentenza, attenzione…tenete giù le teste, e molto giù, per carità, perché se dovessero assolverli, da dietro, là in fondo, quelli sparano…”. L’avvocato Perani e il suo collega Bonsembiante arretrano sgomenti. Le panche del pubblico, fino a quel momento quasi vuote, si sono per incanto stipate di sconosciuti in camicia nera. Le scale e tutti gli ingressi sono presidiati da fascisti, il fucile mitragliatore imbracciato.
I giudici si ritirano in una gelida stanzetta sul retro per emanare le sentenze. Il giudice Renzo Montagna, veterano della marcia su Roma, è intimamente convinto che i veri responsabili del Gran Consiglio sono tutti uccel di bosco e che questi imputati sono solo capri espiatori. Si è sempre più persuaso che l’intero processo è pregiudizialmente manovrato fin dall’inizio. Molto prima dell’inizio delle votazioni si batte coraggiosamente e infaticabilmente, soprattutto per il maresciallo De Bono, facendo appello alla tarda età., citando i suoi meriti, che risalgono alla prima guerra mondiale, chiedendo una distinzione di categoria fra gli accusati. “L’unica distinzione possibile è quella di fucilare gli uni nella schiena e gli altri al petto!”. E’ la sola risposta, ringhiata fra i denti dal giudice Enrico Vezzalini che ha, da poco, conferito con Cosmin.

Franz Pagliani, come medico, prova a difendere Marinelli: un uomo così sordo non poteva capire il senso delle cose. Ma la sua obiezione viene respinta a maggioranza. Provare la sordità richiederebbe una perizia medica: neppure da considerarsi, si deve concludere alla svelta. E Gottardi e Pareschi, molto probabilmente confusi in quel loro esordio solenne al Gran Consiglio? Il giudice Otello Gaddi, un intransigente capo della Milizia, sostiene con la sua voce profonda: “Se io, un semplice tenente colonnello, ho capito, potevano certo capire anche loro”.

Esaurite le discussioni, viene deciso di passare al voto. Lentamente, la piccola urna di legno passa dall’uno all’altro lungo il tavolo coperto da uno spesso panno. Palline bianche par l’assoluzione, nere per la condanna.
Nonostante l’accorato appello di Montagna per De Bono, il responso delle palline – quattro bianche e cinque nere – è per la condanna del vecchio quadrunviro. Anche per Gottardi e Pareschi è sentenza di morte. Tullio Cianetti è salvo di stretta misura: cinque voti a suo favore, quattro contro. Per Marinelli, solo il chirurgo Pagliani ha tenuto duro: il suo solo voto a favore, otto contro. Per Ciano: nove palline nere!

Si conclude così il processo di Verona con tutte condanne a morte escluso Cianetti che viene condannato a trenta anni di reclusione. E’ l’unico che la mattina del 25 luglio aveva fatto pervenire a Mussolini una lettera di “pentimento” alla sua decisione di aver votato si all’ordine del giorno Grandi.
 

L’avvocato Fortunato (nella foto), pubblico accusatore, dopo aver chiesto la sentenza alla pena capitale, grida rivolto agli imputati: “Così ho gettato le vostre teste alla storia d’Italia. Forse anche la mia, purché l’Italia viva”.

Il generale Wolff, poco prima delle 24, nella notte sull'11, viene chiamato al telefono da Verona da comandante della Polizia di sicurezza in Italia, dottor Wilhelm Harster, suo sottoposto. Harster gli comunica che gli è stata recapitata in busta aperta, da parte di Edda Ciano, una domanda di grazia da consegnare a suo padre Benito. L'esecuzione è fissata per le sei del mattino. Wolff si fa portare subito il plico da un ufficiale a Fasano, dove si trova a colloquio con l'ambasciatore Rahn. La lettera arriva dopo circa un'ora e Wolff, considerando che l'argomento è delicato e di alta importanza politica, la fa consegnare in tutta fretta, per mezzo del capitano Wenner, a Rachele Mussolini a Gargnano (che dista solo dodici chilometri da Fasano), affinché la facesse leggere al Duce. Ecco il testo:

“Duce ho atteso fino ad oggi che mi dimostrassi un minimo sentimento di umanità e di giustizia. Ora basta. Se Galeazzo fra tre giorni non sarà in Svizzera secondo le modalità che ho fatto conoscere ai tedeschi, tutto ciò che so con prove alla mano sarà usato in forma spietata. In caso contrario e qualora tutti noi Ciano saremo lasciati tranquilli e sicuri…non sentirete più parlare di noi”.

La lettera era stata consegnata da Felicitas Beetz (nella riproduzione del pittore Molino) al generale Harster, capo delle S.D., insieme ad un’altra lettera di Edda indirizzata a Hitler. Harster ha passato la lettera diretta a Mussolini al generale Wollf che a sua volta doveva consegnarla a Mussolini. La Beetz aveva ricevuto dai tedeschi l’incarico di carpire a Ciano tutte le possibili informazioni e per questo aveva libero accesso alla sua cella nel carcere di Verona. Si sono poi fatte molte congetture sul comportamento della “spia” ed ha preso corpo quella che la vede innamorarsi di Ciano, trascurare l’incarico ricevuto e prendere contatto con Edda per unirsi a lei per cercare di salvargli la vita.
 

Il tormentato iter della domanda di grazia - In tarda serata, i condannati di Verona (nella foto l’ingresso del carcere degli Scalzi) firmano la domanda di grazia. Ciano è amaro quasi fino alla fine. “non darò mai a Hitler e Mussolini questa soddisfazione! No! Mai!”, aveva protestato quando ciascuno era stato invitato a firmare. Ma quando Tullio Cianetti gli fa osservare che il suo rifiuto può pregiudicare le possibilità di salvezza dei suoi compagni, Ciano si piega a firmare come gli altri. Cosmin si preoccupa subito di trovare il modo che queste istanze non giungano mai nelle mani di Mussolini. Fascisti decisi a tutto, che la pensano come lui, lo sostengono nel suo proposito: Pavolini e Tamburini, lo squadrista acceso e fanatico, ora capo della Polizia, sono con lui.
Per l’inoltro delle domande, in un primo tempo, viene

chiamato a Verona un generale che rappresenta la più alta autorità militare della zona, con sede a Padova, e che pertanto, applicandosi le norme di procedura in vigore per il tribunale speciale per la difesa dello stato, si ritiene essere competente a riceverle.
Senonché il generale è di parere contrario: sostiene che si è fuori del caso previsto dal tribunale speciale, egli non è competente, trattandosi di tribunale straordinario. Allora, per risolvere il caso estremamente delicato, si pensa di rivolgersi al ministro della Giustizia: una commissione formata dal segretario del partito, Pavolini, dal pubblico ministero, dal giudice istruttore e dal capo della polizia viene così ricevuta, previo preavviso telefonico, alle 23, dal ministro Pisenti nel suo ufficio alla Corte di Appello di Brescia.

Pavolini dice subito a Pisenti che sono venuti per parlare della domanda di grazia per i condannati di Verona in seguito al rifiuto opposto dall’autorità militare: per chiedere insomma cosa debbono fare. La risposta di Pisenti è: “Veramente, poiché il processo di Verona è stato istituito e celebrato fuori dell’ambito del ministero della giustizia e, invece, esclusivamente in quello del partito, cioè come processo di straordinario e eccezionale, le domande di grazia dovrebbero essere ricevute dal segretario del partito. Però” aggiunge subito “io non faccio questioni di competenza e come ministro della giustizia vi dichiaro che sono pronto a ricevere le domande di grazia e presentarle immediatamente a Mussolini”. Al che Pavolini replica vivacemente che Mussolini deve essere tenuto estraneo a tale vicenda, per ragioni evidenti e di ordine superiore: “E’ necessario non provocare crisi nel Duce. Non si può far ritornare Mussolini su quest’argomento per lui tanto grave e doloroso”. Pisenti rimane comunque fermo sulla sua presa di posizione, secondo lui giuridicamente ineccepibile, essendo escluso che egli possa personalmente respingere le domande di grazia o rifiutare di inoltrarle al loro supremo destinatario. Così, dopo altre brevi e concitate battute, la commissione lascia la Corte d’Appello.

 

Storia Postale del 10 gennaio


 



Piego in affrancatura di emergenza con segnatasse usati come ordinari da Pescia a Massa e Cozzile (entrambi in prov. di Pistoia).
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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