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Gli italiani che fecero il West

di Alberto Caminiti

PREMESSA
Qualcuno ha scritto tempo addietro che non vi è famiglia italiana che non abbia avuto – fra gli ascendenti – un emigrante nelle Meriche. Non so da dove avesse tratto tale informazione, ma per me è vera e possibile. E non solo gli emigranti partivano dalla Sicilia e dalla Campania, ma anche dal più ricco Nord, in quanto fra le regioni settentrionali che diedero il maggior gettito di emigranti, vi furono Veneto e Piemonte. Già nella mia famiglia (ramo paterno) corrisponde a verità, nel senso che mio nonno partì per New York, ed essendo maestro di musica, aprì una scuola di mandolino per signorine (sic!). In pochi anni fece un bel gruzzolo e rientrò nel paesello calabro, dove si comprò una casa e visse rispettato ed agiato. Stante però il ben preciso tema del presente articolo, chi furono gli italiani che affrontarono le sterminate praterie del West?
La risposta è più semplice del previsto: furono soprattutto missionari, soldati di professione (Garibaldi in primis, e ti pareva !), avventurieri, cacciatori di taglie, cow-boy, briganti e cercatori d’oro. Ritengo che il sistema migliore sia di tratteggiare alcuni di tali personaggi, anche se non in ordine cronologico, al fine d’avere un quadro più preciso della realtà degli avvenimenti. Mi appoggerò ad un recente testo di un giornalista de La Stampa: Luigi Grassia che ha scritto “ Gli italiani alla conquista del West (sottotitolo: Tex Willer in tricolore )“ – Edizioni Mimesis, novembre 2018.
Vi si trovano figure note ma anche tipi strani di cui non avevamo mai sentito parlare.

1) CHARLES ANGELO SIRINGO.
Era figlio di un siciliano e di una irlandese. Fece il ranger appunto come Tex Willer e poi il detective per la famosa Agenzia Pinkerton. Rimasto orfano in tenera età, la madre si risposò subito con un poco di buono che giocava d’azzardo; appena poté, emigrò in America. Infine si mise a scrivere un’intera collana di libri, dando notorietà al termine “cowboy” che invece - inizialmente - designava solo i mandriani di buoi. Scopriamo che Hollywood mise una ferrea censura sulla mescolanza di razze dei cowboy che usavano cappellacci messicani logori e non i bei Stenton che si vedono nelle pellicole. Non è vero neppure che i nativi assaltassero diligenze e carovane; anzi erano di natura mite ed usavano il baratto per avere merci in cambio.

2) GIACOMO BELTRAMI.
Massone e bergamasco, esplorò i territori al di là del Mississippi e visse coi Chippewa ed i Sioux. Egli era emigrato per necessità, essendo stato militare con Napoleone, ma condannato all’esilio all’atto della Restaurazione, in quanto “ nemico dell’Austria”. Alto, prestante, poliglotta, scrisse un dizionario Sioux e risalì il Grande Fiume scoprendone le sorgenti. Viaggiò in Canada e nel Messico. Nella guerra di Secessione si batté a favore della libertà degli schiavi neri. Tralascio la parte più piccante, ossia le sue numerose relazioni d’amore con bellissime donne d’ogni razza.

3) IL CORSARO GENOVESE BAVASTRO.
Questi è un personaggio già ben noto per via del romanzo “Capitan Bavastro Fra Diavolo “ di Francesco Perri (ristampa più recente: Feltrinelli 2006) e la sua pirateria caraibica fu del tipo alla Robin Hood, nel senso che depredava le navi dei ricchi armatori, ma tralasciava i velieri dei poveri mercanti. Arrivò al grado di Capitano di Fregata ed alla carica di Comandante della flotta del Libertador Simon Bolivar.

4) LE DONNE BANDITO.
Non tutti sanno che fra i più ricercati banditi del West vi fossero due donne come Laura Bullion del Mucchio Selvaggio ed Etta Place, tiratrici infallibili che non avevano nulla di meno di Butch Cassidy e di Kid Sundance. Quindi non leggende e personaggi inventati, ma persone reali passate alla storia del West.


Figg. 1-3

Con le sopra esposte immagini d’epoca, vediamo nelle prime due, le donne- bandito ed i più ricercati – con taglia – del West; ci è poi sembrato naturale esporre la locandina del film che a suo tempo (1968) fece epoca con Doris Day nella parte dell’infallibile tiratrice Jane Calamity.

5) FELICE PEDRONI E LA CORSA ALL’ORO IN ALASKA.
Nel 1894 Felice si trasferì coi due fratelli Giovanni e Francesco Dalla Costa, trevigiani, nello Yukon (Canada) per intraprendere ricerche di vene aurifere. I due fratelli poi si allontanarono e Pedroni dovette apprendere da solo le tecniche di ricerca, per la verità semplici in quanto si trattava di passare le acque dei torrenti attraverso un grosso crivello dai fori sottili o di assaggiare, a colpi di piccone, qui e là le eventuali vene aurifere di montagna. Nel 1898 prese la cittadinanza USA col nome di Felix Pedro; era nato nel Modenese a Trignano di Fanano nel 1858 e non sapeva leggere e scrivere, ma solo fare a stento la sua firma. La sua è una tipica storia d’emigrante che con la propria tenacia riesce ad arricchirsi. Infatti egli trovò un ricco giacimento aurifero attorno al quale nacque la città di Fairbanks, oggi seconda città d’Alaska. Fece soldi a palate e poi sposò un’irlandese, ma il 22.7.1910 morì in circostanze mai chiarite. Ritengo che la sua vita abbia avuto come fine la ricerca totale di un riscatto sociale che, altrimenti, la sua mancanza di istruzione non avrebbe potuto assicurargli. (dall’art. di Massimo Turchi: ”Felice Pedroni, la corsa italiana all’oro in Alaska” ).
Qui appresso alcune immagini relative al citato Pedroni ( Figg. 4-6 )

 


Figg. 4-6


Il paragrafo successivo è dedicato interamente alla Guerra di Secessione americana in relazione alla presenza di nativi italiani in entrambi gli schieramenti; ci siamo rifatti all’articolo omonimo scritto da Emanuele Cassani.


Fig. 7

 

LA GUERRA CIVILE AMERICANA: PERSONAGGI VARI.

6) GLI ITALIANI DA ENTRAMBE LE PARTI.
Nella Guerra di Secessione gli italiani fecero parte di entrambi gli schieramenti. Ricordiamo anzitutto che Lincoln aveva offerto il grado di Generale d’Armata a Garibaldi, ma questi rispose che aveva ancora molto da fare in Europa per l’Unità d’Italia (vi era in corso la 3ª Guerra d’indipendenza); ma proprio Garibaldi aveva influito sulle decisioni di tanti personaggi avventurosi che parteciparono alla citata Guerra civile. Da accurate ricerche d’archivio, pare che gli italiani arruolati in entrambi gli schieramenti siano stati ben 11 mila, che avevano dichiarato di essere nati in Italia ed emigrati negli USA. Per lo più erano sbarcati a N.Y e si erano riuniti, coi loro compatrioti, nella già numerosa comunità di Little Italy, coi loro giornali, con le loro scuole e coi negozi che esponevano in vetrina i prodotti italiani. Lo scaglione che si schierò coi Confederati era composto quasi interamente da soldati del disciolto esercito delle Due Sicilie, per via della relazione d’amicizia corrente tra Garibaldi e Chatam Roberdeau, un ex Capitano dell’US Army, avventuriero e mercenario che aveva conosciuto Garibaldi a N.Y. nel 1850. Lo seguì poi in Italia e si batté al Volturno, a Capua ed al Garigliano col grado di Generale. Venuto a conoscenza dell’imminente conflitto di Secessione, si imbarcò per la madrepatria sul bastimento “Emperor” assieme a 650 militi della Legione Britannica, con cui – appunto - partecipò alla Guerra civile. Aveva quale Aiutante di Campo il capitano Bradford Hoskiss, veterano inglese. Approfondiamo.
I primi due reparti del Nord si formarono il 28.5.1861 ed avevano di caratteristico, il cappello piumato dei Bersaglieri: erano la Italian Legion che sulla propria bandiera USA aveva un fiocco tricolore e la scritta “Vincere o morire”; ed il secondo reparto era il 39° New York Infantry Regiment che aveva per vessillo il tricolore usato da Garibaldi nel 1848 e ’49. Questo reggimento era comandato dal Col. Frederick George D’Utassy e militava sotto la 1^ Brigata della 5^ Divisione dell’Army of Northeastern Virginia. Fu presente in tutti i principali fatti d’armi del conflitto dal 21-7 in poi. Perse molti uomini: 9 ufficiali e 269 soldati oltre a quelli caduti prigionieri e deceduti in campi di concentramento sudisti. Logicamente dobbiamo ricordare anche l’altra fazione. Gli italiani che aderirono ai Confederati si concentrarono nel 6° Reggimento European Brigade (1862) e parteciparono a molti scontri, come pure la Garibaldi Legion, la Italian Guards ed in varie compagnie di reggimenti regolari sino alla resa del Generale Lee. Come abbiamo visto, lo spirito di Garibaldi aleggiava su entrambi gli schieramenti, ed impregnava le varie fazioni contrapposte che ne utilizzavano contemporaneamente il nome. Potenza del suo carisma!
(dall’art. di Emanuele Cassani: “ Gli italiani nella Guerra civile americana” ).

7) I SEI ITALIANI DI CUSTER.
Erano sei i militari d’origine italiana che servirono sotto Custer nel 7° Cavalleria. Si chiamavano: Martini (il noto trombettiere), Di Rudio, Vinatieri, Lombardi, Casella ed il ligure Devoto. Quando il reggimento lasciò Fort Lincoln per fermare Cavallo Pazzo e la sua tribù insorta, sembra che Custer abbia pronunziato la famosa frase: ”Dove va il Reggimento? Verso la gloria o verso l’inferno! Dipende dai punti di vista”. Ed un’altra frase famosa fu riportata dai superstiti che confermarono l’avesse pronunziata prima dello scontro a Little Big Horn all’alba del 25-6-1876: ”Oggi è un buon giorno per morire“. Ancor oggi su Custer è vivo il dibattito: era un arrogante sprovveduto, era solo un esaltato od era un vero soldato senza paura? A proposito, quel giorno i sei nostri cavalleggeri italiani scamparono al massacro e furono tra quelli che testimoniarono sull’eroismo di Custer! Spesso nei lettori nasce la voglia di sapere poi come i protagonisti siano finiti. Andiamo quindi ad approfondire le vicende dei sopravvissuti italiani dopo Long Big Horn.
Giovanni Martini: il trombettiere nato a Sala Consilina (Salerno), ex garibaldino, emigrato nel West; come ricorderete fu inviato con un biglietto incontro alla colonna di soccorso Benteen, ma questi – testardo – non volle credere allo scritto di Custer e guidò la colonna alla disfatta. A Giovanni non restò che chiamare George ed Armstrong i suoi due figli maschi in onore del leggendario Custer!
Carlo di Rudio: conte bellunese, garibaldino a Velletri, attentatore di Napoleone III. Fu condannato a morte, ma poi graziato e riparò in America. Si salvò anche dalla disfatta della colonna Reno di cui faceva parte come cavalleggero. Altri due italiani quel giorno scamparono in quanto erano stati comandati a guardia delle salmerie in retrovia: Giovanni Casella ed Augusto Devoto. Di un quinto, Lombardi, si persero le tracce nell’immensa prateria. Il sesto, l’ultimo, Felix Vinatieri risulta titolare di un posto di sosta lungo la strada dei pony- express.


Figg. 8-9

Con le sopra esposte figure, presentiamo i due più noti soldati italiani con Custer: i garibaldini Di Rudio e Martini. Appresso (Figg. 10-12) esponiamo la immagine coeva di Vinatieri e due foto d’epoca sulla Guerra di Secessione:


Figg. 10-12

La n.11 è una rara Post Card d’epoca, viaggiata, come da timbri sul retro.

Le foto presentate qui di seguito sono relative ad immagini d’epoca sulla Cavalleria dei due schieramenti, che ebbe sempre una funzione di sfondamento e di manovra tattica; le prime due riguardano i cavalieri confederati, mentre la terza espone il 34° Reggimento di Cavalleria dell’Unione, denominato “ 34° Massachusetts “ (Figg. 13-15):


Figg. 13-15

 

È questa l’occasione per ricordare una suora ligure che di mistico non aveva proprio nulla: suor Blandina da Cicagna; giunta nel West fece la domatrice di cavalli e poi su unì alla banda di Billy The Kid. Rammentiamo anche che nel 1879 un gruppo di operai italiani furono trucidati in massa dai proprietari delle miniere in cui lavoravano, solo per aver chiesto 3 centesimi al giorno di paga in più per il pesante lavoro svolto! Poveri italiano in balia della miseria e della ignoranza.
(dall’art. “ Sei soldati italiani sui sentieri di Custer” di Cesare Fiumi.

8) ENRICO TONTI.
È un personaggio quasi sconosciuto, eppure fu un vero pioniere del Nord America a cavallo dei secoli XVII e XVIII. Nacque il 1649 a Gaeta dove il padre era banchiere e governatore della città. Altre fonti lo danno nato in Francia nel 1650. Il padre Lorenzo, coinvolto nella mancata rivolta popolare di Masaniello, è costretto alla fuga ed all’esilio in Francia, dove il cardinale Mazzarino, per ricompensa, lo elevò al rango nobiliare conferendogli altresì un prestigioso incarico d’alta finanza. Progettò un piano precursore delle assicurazioni sulla vita e per via del fallimento del piano, fu rinchiuso alla Bastiglia dal 1669 per otto anni. Uscì e morì in miseria a Parigi. Il figlio Enrico, invece, emigrò nel Nord America. Nell’assedio di Messina aveva perso la mano sinistra per lo scoppio di una granata. Catturato poi dagli spagnoli, fu detenuto e poi scambiato col figlio del governatore di Messina. A fine campagna, si fece costruire una protesi metallica rivestita da un guanto. Rientrato in Francia ricevette dal Re un premio straordinario per il suo valore. Il principe di Condè lo volle inviare in America al seguito del cavaliere De La Salle di Rouen. Partirono nel luglio del 1678 ed il 20 agosto avvistarono l’isola di Terranova. La spedizione era composta da 30 soldati mercenari e da un sacerdote, padre Hennepin. Dopo Québec, toccarono Montreal e poi un gruppo di 12 uomini su battelli raggiunse il fiume Niagara, alla cui foce Tonti costruì un fortino. Egli superò anche un attacco di peste. Poi, varato un piccolo battello a vela, solcò le acque dei Grandi Laghi ed esplorò la costa della Luigiana (futura Louisiana), discese i fiumi Ohio ed Illinois e nell’anno 1682 giunse alla foce del grande Mississippi. Trasferiamoci mentalmente a quell’epoca, in cui non esistevano mappe geografiche di intere regioni. È inutile fare il dettaglio delle successive esplorazioni: viaggiò lungo le coste del Messico e si batté contro le tribù degli Irochesi. Tonti aveva sposato all’inizio del 1700 una donna Illinois. Quando scoppiò la febbre gialla, egli ne fu colpito e morì a Fort Louis (Old Mobile) dopo 30 anni di fedele servizio al Re di Francia I suoi discendenti proseguirono nelle esplorazioni e spedizioni in tutto il Nord America, coprendosi di gloria e continuando l’opera del loro progenitore.
(dall’art. omonimo di Pietro Costantini).


Figg. 16-18

Figg. 16–18, mostrano l’immagine di Tonti, degli Irochesi ed una scena della spedizione di De la Salle nel Nuovo Mondo .

9) LA GUERRA CIVILE DI LUIGI PALMA DI CESNOLA.
Luigi era nato a Rivarolo Canavese (TO) nel 1832, figlio del conte Maurizio, patriota carbonaro. Era capitano dell’esercito sardo e buon archeologo. Avendo scarse risorse economiche, decise di emigrare nel Nord America in cerca di fortuna ed a New York dava lezioni di francese ed italiano per sopravvivere. Sposò una sua giovane allieva, Mery Reid e poi aprì una Scuola militare selettiva mettendo a frutto le sue conoscenze di tattica e strategia; da essa uscivano ufficiali qualificati. Scoppiata la Guerra di Secessione, si offrì volontario all’Unione, ricevendo il comando del 4° Cavalleria di New York. Ferito in combattimento, cadde prigioniero dei Sudisti che lo misero in un campo di concentramento. Gli appoggi politici che aveva a N.Y gli consentirono nel 1864 di venir rilasciato con l’impegno di non prendere più le armi contro il Sud. Malgrado ciò, ritornò subito in combattimento e partecipò alla battaglia di Trevilian Station. Venne però poi allontanato dall’esercito e Lincoln lo volle conoscere di persona, concedendogli la cittadinanza statunitense. A fine guerra si dedicò a mostre con le sue collezioni private di oggetti antichi, soprattutto greci. Divenne infine il primo Direttore del Metropolitan Museum di New York. Morì nel 1904.
(dall’articolo omonimo di Sergio Mura).


Fig. 19, rara immagine di Cesnola



Fig. 20, La copertina del libro preso a base del presente articolo; vedi sotto in Bibliografia



Figg. 21-25: riguardano varie emissioni filateliche delle Poste USA con l’effigie del 16° Presidente degli S.U., Abramo Lincoln.

 

PROPRIETA’ DATI.

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Alberto Caminiti

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