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Intorno alla Legge 04.10.2004 n° 254 sulla tutela del commercio filatelico 
 Avv. Eugenio Cavallucci
La recente normativa che punisce la produzione, detenzione o la vendita di francobolli falsi, purché siano stati in corso nello stato o in altri stati, in realtà, pur rispondendo all’obiettivo, indubbiamente condivisibile, di limitare lo spaccio di francobolli falsi per originali, pone forse più problemi di quanti non ne risolva.
Sarebbe infatti stata necessaria una legge ad hoc che tenesse conto della complessità della situazione che la filatelia propone e non la semplice estensione dell’applicazione di una norma che concerne i francobolli e gli altri valori in corso nello stato e per la cui falsificazione sono giustamente, a difesa delle pubbliche finanze, poste norme di notevole rigidità.
Che significa innanzitutto l’applicazione alla falsificazione di francobolli che hanno avuto corso nello stato o in altri stati?
Si intende stati tuttora esistenti o anche stati che erano esistiti in passato, quali gli antichi stati italiani e tedeschi ed i principati indiani?
E nel primo caso i francobolli dell’impero austriaco sono assimilati a quelli della repubblica austriaca o emessi da uno stato non più esistente?
Ed i francobolli dell’Impero Ottomano possono attribuirsi ad una Repubblica di Turchia in realtà nata dal governo kemalista di Ankara che con l’Impero Ottomano ebbe per lo meno un confronto con aspetti anche militari?
Sembra che dalla applicazione delle normative debbano escludersi i francobolli non emessi e quelli delle poste locali; ma i francobolli delle emissioni locali, dovute a funzionari locali di singoli uffici talvolta puniti per le loro iniziative, sono o non sono francobolli dello stato?
L’estensione alla generalità dei francobolli della normativa sui falsi dei valori bollati in corso implica quale soluzione la distruzione generalizzata dei falsi, la cui detenzione costituisce crimine; peraltro esistono falsi che , per la filatelia e per la storia, non possono e non devono essere distrutti.
Innanzitutto si tratta dei falsi per posta, che in qualche luogo (Regno delle Due Sicilie, Samo) sembra siano stati addirittura utilizzati in numero superiore rispetto ai francobolli imitati.
Distruggere in massa i falsi per posta significherebbe distruggere un settore consistente della storia postale e presumibilmente mutilare molti documenti (di rilievo archivistico ed in qualche caso anche storico) custoditi negli Archivi di Stato.
Vi sono inoltre i falsi dello spionaggio, falsi francobolli di Germania, Baviera ed Austria emessi dallo spionaggio britannico durante la prima guerra mondiale: non si tratta forse di interessanti documenti storici?
Ed i falsi di stati con i quali è in corso una contestazione (non necessariamente una guerra, la cosa avvenne anche in occasione del plebiscito nell’Alta Slesia) e quindi muniti di sovrastampa di propaganda (ve ne furono soprattutto durante la seconda guerra mondiale) non costituiscono forse rilevanti documenti storici?
Ancora, il materiale usato per la stampa degli ultimi francobolli dello Stato Pontificio fu venduto dallo Stato Italiano a privati che lo utilizzarono per creare delle ristampe.
Si tratta di falsi o no? E nel primo caso,può costituire reato detenere per legittimo acquisto ristampe fatte con materiale venduto ad hoc dallo Stato?
Ovviamente deve costituire reato vendere truffaldinamente tali ristampe per originali, ma perché deve costituire reato detenerle o venderle quali ristampe a modico prezzo?
Il grande rogo dei francobolli falsi che non tenga conto di tali particolarità fa pensare più ad una repressione che non ad una tutela dei cittadini.
Va anche detto che in filatelia la distinzione fra l’originale ed il falso, spesso facile anche per il collezionista, presenta talvolta difficoltà insormontabili.
Dell’emissione locale di Erseka del 1914 esistono ad esempio due tipi nettamente distinti: uno studioso olandese ritiene originale un tipo ed uno studioso greco ritiene l’altro tipo. Può forse un giudice italiano, sia pure con l’ausilio di un perito, risolvere tale problema (sempre che la normativa si applichi, il che non sembra così evidente, anche alle emissioni locali)?
Va aggiunto che la normativa da un lato attribuisce indirettamente ai periti filatelici il gravoso compito di stabilire se l’innocuo possessore di un francobollo di irrisorio valore sia un criminale detentore di un francobollo falso, dall’altro ne riduce pesantemente la possibilità di svolgere seriamente il lavoro.
Infatti il lavoro del perito filatelico si fonda in buona parte sul raffronto fra l’originale ed un francobollo falso ed in qualche caso l’utilizzazione di falsi quali termini di raffronto è assolutamente necessario per determinare se il francobollo da periziare sia o meno originale (basta pensare a certi tipi diversi di sovrastampe false).
Ed il perito che, esaminato un francobollo, lo ritiene falso cosa deve fare?
La normativa introdotta non gli pone l’obbligo di denunciare il cliente (nel qual caso nessuno più richiederebbe la perizia su un francobollo), né gli consente di provvedere alla distruzione del falso (ciò sarebbe causa di infiniti contenziosi); ma detenere il falso in attesa di restituirlo al cliente sembra già costituire un reato.
In definitiva, si conferma ancora una volta come affrontare problemi anche reali (come è indubbiamente quello dei falsi per frodare i collezionisti) in termini di applicazione di norme introdotte per altre situazioni anziché con normative organiche e che tengano conto della reale complessità del problema, finisce per porre più problemi di quanti non ne risolva.
L’auspicio è che non ne derivi il rogo dei francobolli, originali o falsi che siano, e neppure la conclusione dell’impraticabilità della filatelia in Italia.
 
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