per gentile concessione del CIF/Unificato.
In Storie di Posta n. 5 (nuova serie)
maggio 2012

 

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Riprendiamoci la Filatelia

di F ranco F ilanci

L'altra sera in televisione ho visto intervistare un esperto di Storia della Televisione e il giorno dopo in un talk show veniva esibito un famoso critico, autore di volumi su Canzoni e Musica leggera. Nulla di strano, ogni attività umana merita di essere studiata, approfondita e divulgata, magari superando i pregiudizi che sovente la circondano se non fa parte di settori giudicati "alti" o propagandati some tali. Così mi è venuto in mente il nostro collezionismo. E mi sono detto: ma perché qualche volta non compare anche un esperto di Filatelia o di Storia postale, magari in occasione di qualche sua autorevole pubblicazione?

La risposta è stata tranciante e immediata: perché molti, troppi fra noi considerano ancora filatelia e storia postale argomenti di serie B, roba per pochi intimi, da non far sapere in giro che ce ne occupiamo. Ed è soprattutto per questo che nei giornali non si tratta ormai più di filatelia, se non nelle pagine locali per annunciare qualche convegno. E se in tv se n'è parlato un po', ma all'acqua di rose, guarda caso è stato in un programma per ragazzi. Mentre in libreria, persino quelle più fornite, trovi magari saggi sul sindacalismo sui Paesi Bassi o sulle vetrate ai piani alti di Manhattan, ma assolutamente niente sulla storia dei francobolli e dei servizi postali. O se per caso uno dei nostri volumi c'è finito, ci vuole un cane da tartufrancobolli per trovarlo!

Se vogliamo uscire da questa situazione, dobbiamo essere noi i primi a cambiare. Bisogna che la la smettiamo di sentirci inferiori, di considerarci fruitori di un semplice hobby, e per di più di un hobby che una volta era considerato da ragazzini e oggi da vecchietti.

Innanzitutto bisogna che la smettiamo divedere il materiale che collezioniamo sempre all'insegna del "Gola gola io ce l'ho e tu no", del "Vale 328 euro ma solo se di qualità urca", del "Ne esistono soltanto due, di cui uno così, uno cosò e tre cosà". L'indubbio piacere del possesso non deve essere un elemento dominante. E dobbiamo liberarci da tutta una serie di condizionamenti spesso inutili e assurdi che ci siamo costruiti in 150 anni di filatelia.

L'attuale crisi economica (e probabilmente anche di valori e di sistema) coinvolge più o meno direttamente anche il nostro piccolo mondo, sia in termini di mercato che di interesse per un settore "voluttuario" qual è quello del francobollo. Il che si innesta su un altro problema a lungo disatteso: quello dell'arrivo in campo di miriadi di alternative ben più attuali e allettanti del francobollo per passare il tempo. Ed è un mix che può rivelarsi micidiale se non si cambiano completamente le prospettive del nostro collezionismo, attualizzandolo e rendendolo attraente in base alla mentalità e alle attese del giorno d'oggi.

Tra l'altro è anacronistico, persino controproducente, concepire il francobollo e il suo mondo come si faceva un tempo, ovvero una figurina da sistemare nell'album, e il più bravo è chi ce le ha tutte - compreso "il feroce saladino" - anzi chi ce n'ha di più. Un tempo gli svaghi erano pochi, gli stimoli ancor meno, e la filatelia aveva dei testimonial altolocati come i Reali britannici e o il Presidente Franklin Delano Roosevelt: tanto bastava a renderla popolare e importante! In più la disponibilità della materia prima, i francobolli usati che si trovavano in abbondanza in ogni casa, in ogni ufficio, erano il migliore e più efficace invito a iniziare la raccolta. E se da ragazzini cominciavano in mille e da adulti continuavano solo in venti, si trattava comunque di cifre notevoli, con ampio spazio per ogni livello di passione, dal minimo sindacale di chi si accontentava di quel che trovava a chi invece poteva permettersi la completezza e magari qualche collezione esotica o alla moda, come quella classica di Gran Bretagna o delle sue colonie.

Oggi questa disponibilità di materia prima a costo zero non esiste più, anzi la maggior aperte dei giovani non sa nemmeno che cosa sia la posta non elettronica, figurarsi i francobolli! Per di più svaghi sempre nuovi e stimoli uno più allettante dell'altro sono all'ordine non più del giorno ma del minuto, altro che fare collezione di figurine sconosciute! E di testimonial famosi se ne è persa la razza; semmai esistono fanno di tutto perché non si sappia in giro. Certo, i Pokemon vanno a ruba, e forse anche le figurine; ma tra i bambini.

Il bello è che, a ben guardare, la filatelia ha tutto l'occorrente per incuriosire, attrarre e appassionare anche il mondo attuale. Basta guardarsi intorno - in libreria come su internet e persino agli ingressi dei musei - per scoprire che vi è un crescente interesse per la storia e la cultura. Dopo alcuni decenni di ubriacatura a base di telenovele, talk-sciò, grandifratelli, gossip, cinepatacconi, ultimemode e altre fatuità/imbecillità del genere, sempre più gente sta scoprendo che a questo mondo esistono cose ben più intelligenti e interessanti. Le quali spesso costano persino meno, il che con i tempi che corrono è persino un vantaggio. Tanto che l'aver visitato la Sacra di San Michele o la mostra di Don McCullin a Reggio Emilia può essere persino più trendy che avere l'ultimo Ipad o le mutande firmate Dolce & Gabbana.

Di storia, arte, cultura, usi e costumi, aneddotica i francobolli e la posta ne hanno da vendere, nelle vignette, nei bolli, nei servizi e in tutto ciò che sta dietro e intorno. I lettori di Storia di Posta lo sanno benissimo, e forse anche quelli de L'Arte del Francobollo cominciano a capirlo. Ma gli altri? soprattutto quelli che hanno tutti i requisiti nel mondo del nostro collezionismo, o vi si stanno affacciando, di che cosa sentono parlare? Di qualità, di stato di conservazione, di centratura che se non sono al 105 per cento è meglio girare alla larga. Di rarità e pezzi unici, che ti fanno sentire un nessuno integrale se non ce l'hai. E quando va bene di concetti paleolitici tipo che i francobolli insegnano la storia e la geografia, come se non esistesse web con le caterve di informazioni e filmati su ogni parte del mondo e del passato. Tutte cose che sembrano fatte apposta per far scappare a rotta di collo qualunque benintenzionato. L'esatto contrario di ciò che servirebbe.

Che il mercante incensi la qualità della sua merce, e provi a convincere i suoi clienti della "necessità" di mettere in collezione pezzi con valutazioni a cinque o sei zeri, è più che comprensibile. Ma non deve diventare una comunicazione diretta a tutti. sarebbe come se l'industria automobilistica pubblicizzasse solo le Ferrari e le Rolls Royce, facendo sentire un poveraccio anche che acquista un Mercedes o una Thema. Assurdo!

Dobbiamo reagire a questo modo di proporre la filatelia. Così come dobbiamo reagire all'andazzo di definire "foglietti" i mini fogli, spesso con prezzi da impennata per imprevista (o ben orchestrata) richiesta, e di arricchire quasi ogni anno la collezione d'Italia con qualche "non emesso", spesso noto ai più esperti come saggio o persino patacca d'antann, o con qualche più o meno vistosa varietà diventata da un giorno all'altro "naturale".

Se questo avviene è perché in filatelia ci si è sempre tenuti lontano dalle definizioni. per interesse, per sudditanza verso i soliti noti, per tranquillità: fino ad accettare certi "La tua è solo un'opinione" anche quando mostri documenti inconfutabili. Nessuno si è mai preso la briga di spiegare esattamente che cosa si debba intendere per francobollo (tipo e sottotipo), non emesso, foglietto, minifoglio, saggio e via elencando. E sa qualcuno l' ha fatto - il primo Unificato di Storia Postale, e InterItalia pr gli interi - nessuno ha pensato di seguire l'esempio. Molto meglio restare sul vago, così anche una marca da bollo può essere infilata tra i francobolli, ovviamente ribattezzandola"raro non emesso, in gran parte incenerito".

Anche questo allontana la gente: perché non fa piacere vedersi cambiare le carte in tavola quando si è già cominciato a giocare. Ci vuole chiarezza, trasparenza, e dovrebbe arrivare dai piani alti del collezionismo, così come gli stimoli a rinnovare l'immagine stessa della filatelia. Ma cosa ci si può attendere da chi pensa quasi esclusivamente a esposizioni e gare e palmarés da belle époche, con regolamenti ragionieristici che premiano tutto tranne che la passione e l'intelligenza? Da chi, tanto per fare un esempio, dice che la storia postale è una branca della filatelia, senza neppure rendersi conto che è come dire che la letteratura italiana del Trecento fa parte della Divina Commedia, o che la medicina è una branca dell'odontoiatria! O che ritiene che solo chi colleziona un certo settore possa saperne in modo attendibile, da esperto: mai sentito parlare di Clemente Fedele o Armando Serra? Il primo colleziona soltanto dati e immagini, e il secondo non può certamente mettere in un album semafori e stazioni ippopostali?

Certo, cambiare tante cose non è facile, ma bisogna farlo. Non si può attendere che si smuovano i piani alti, e neppure i soliti "altri". La nostra filatelia, le nostre collezioni ce le dobbiamo difendere da soli. Anche se siamo in pochi: ma le rivoluzioni non le hanno mai fatte le masse, checché ne dica a posteriori la propaganda.

Dobbiamo renderci conto che storia postale e filatelia sono di serie A, come si evince dal corpo di questo numero, sotto molti aspetti ben più interessanti di tanti altri argomenti. Anche perché possono dar vita a collezioni che (se fatte con intelligenza e non su modelli fip) sono veri saggi storici, oltre che una documentazione da lasciare ai posteri. E scusate se è poco!         

 

 

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