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un quaderno di appunti

di

Franco Moscadelli


 

 

la carta e l'inchiostro non sempre vanno d'accordo (settima parte)

 

Usciamo per un attimo dai francobolli e parliamo due secondi della carta e dell’inchiostro. Non da quando esistono o chi li inventò… ma per sapere cosa c’è e cosa c’era nell’inchiostro, perché alcune scritte su lettera sono “forate”? Cosa c’è e cosa c’era nell’impasto della carta? Quella di oggi contiene una parte riciclata, un po’ di cellulosa “transgenica”, sfridi (ritagli) di carte e giornali, coloranti, sbiancanti, addensanti ecc. che non sarà in grado di conservarsi a lungo come hanno fatto le lettere del settecento e dell’ottocento, che invece erano fatte di una bella carta, anche se non bianca, ma resistente, come se fosse pergamena, una carta che “scrocchiava” tra le dita, formata da una parte di



 

foto 1

 

stracci, da pura cellulosa ecologica estratta da vari legnami ( foto 1), da parti di nobili fibre di

 

foto 2

foto 3


cotone (foto 2) e parti di fibre di canapa coltivata (foto 3). Questa era la vera carta, con le sue impurità nell’impasto ma che si è poi rivelata durevole nel tempo.


L’inchiostro di oggi che tutti conoscete è formato da molti prodotti chimici di varia natura, olii ed addensanti, anche vegetali, che non stò ad elencarvi. Invece parlerò di quello più antico, e perchè talvolta è più nero e talvolta più bruno. Già nel XII secolo il monaco Teofilo , fa riferimento ad un inchiostro a base di ferro. Encaustum in latino, che significa bruciato, cotto come il nerofumo, principale fonte antica di pigmento nero. Il monaco prescriveva per la preparazione dell’inchiostro un tannino ottenuto con la polverizzazione di alcune piante in decotti di noci di galla in acqua, o di aceto e una miscela di ferro e gomma arabica. Per il rosso si ricorreva al minio (ossido di piombo) o al carminio (cinabro, solfuro di mercurio), per il bianco alla biacca (carbonato di piombo) ecc. Tali formule cambiarono un po’ durante il passare degli anni, ma il composto “ferrogallico” resse per molto tempo fino quasi ai giorni nostri. All’inizio del XX secolo con l’introduzione dei pennini metallici si preferì gli inchiostri di china al posto del complesso ferrogallico, (in quanto composto acido), perché gli stessi pennini venivano corrosi. E perché molte lettere antiche in circolazione, una buona percentuale, sono forate nel punto di scrittura, come fustellate? Il composto acido ha corroso il supporto di carta o pergamena. Per ottenere la completa ossidazione del ferro nel liquido ed il relativo annerimento, occorreva qualche tempo di esposizione all’aria; pertanto per abbreviare i tempi di utilizzo si tendeva ad aumentare l’apporto del solfato di ferro nella soluzione. Questo però, se da una parte rendeva immediato l’annerimento dell’inchiostro, dall’altra rendeva instabile il composto che, a causa delle aumentate proprietà ossidanti, virava molte volte al marrone più o meno rossiccio per effetto della “ruggine” che si formava appunto con l’ossidazione dell’eccesso di sale di ferro.

 

 

 

foto 4

 

 Nel lungo periodo l’aumentata acidità dell’inchiostro innescava un processo di deterioramento del supporto fino alla rottura, (foto 4). Non sempre l’inchiostro va d’accordo con la carta… Anche in questo caso la chimica ci ha messo lo zampino.

 

 

(continua)


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