STORIA POSTALE


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La bollatura preventiva di giornali e stampe

di Franco FILANCI

In risposta a Luca Piatti, che merita una risposta più precisa e approfondita sul bollo STAMPATI FRANCHI che non è un annullo ma un’impronta di valore a stampa, anche se impressa localmente (come i primi e tanto decantati francobolli di Bermuda).

Nel regno di Sardegna esisteva una tariffa molto ridotta per giornali e stampati circolanti all’interno, e fino a tutto il 1860 non si giudicò neppure opportuno emettere appositi francobolli, i cui costi di produzione sarebbero risultati eccessivi: per i piccoli invii dei privati dopotutto bastava il bollo P.P. mentre per gli editori e chi spediva molti stampati si utilizzava un’impronta di affrancatura a timbro, applicata a bilanciere a cura delle varie Direzioni postali sui fogli ancora in bianco destinati alla stampa di giornali, circolari ecc. Benché dal gennaio 1861 esistessero in tutta Italia francobolli da 1 e 2 cent. o equivalenti, il sistema di questo bollo preventivo – già esteso da oltre un anno a Lombardia e Provincie emiliane – venne mantenuto, dal momento che consentiva di risparmiare francobolli e relativo annullamento, almeno in “quelle Direzioni ove ciò sia creduto indispensabile” e vi fosse un apposito ufficio a occuparsene. Questo bollo-franco (chiamarlo annullo è assurdo, e soltanto bollo riduttivo) doveva essere “apposto preventivamente sui fogli in bianco” da utilizzare per stamparvi il quotidiano o la circolare; i fogli, che erano forniti già in misura dal richiedente, ricevevano un bollo per foglio e andavano poi piegati “in modo che rimanga sempre visibile il bollo che tien luogo del francobollo”. E se il foglio si rovinava durante la stampa, si poteva chiedere il rimborso dell’affrancatura, che veniva concesso “previo annullamento del bollo impressovi”.

Questi bolli-franchi, normalmente impressi in rosso, recavano il nome delle varie città italiane in cui si pubblicavano non solo quotidiani con una discreta diffusione ma pure libri, circolari, listini e altri stampati commerciali, ovvero quelle in cui esisteva almeno una tipografia in attività, il che escludeva anche vari capoluoghi di provincia. In periodo italiano il loro impiego riguardò i giornali e i periodici soltanto sino alla fine del 1862, in attesa che fossero pronti i nuovi bolli-franchi dedicati. In seguito i bolli Stampati franchi furono impiegati solo – e sempre meno – per la bollatura di circolari, listini e altre pubblicazioni più o meno occasionali, di solito con l’impronta da 2 centesimi. Curiosamente questi bolli-franchi con valore in centesimi furono inviati per l’uso anche nelle Provincie napoletane ancor prima che vi fosse introdotta la lira, per risparmiare sugli equivalenti francobolli da ½ tornese e ½ grano.

Con l’emissione dei francobolli di piccolo taglio, che erano distribuiti anche nelle località minori, si decise però di usare questo sistema soprattutto per quotidiani e periodici, riservando loro un apposito bollo preventivo Periodici franchi, da realizzarsi al più presto. E il “più presto” fu l’ottobre 1862, con aggiunta l’idea del risparmio. Infatti in quell’anno qualcuno in alto loco decise che si poteva fare a meno del francobollo da 2 cent., il cui costo relativo risultava elevato visto che quasi 2 millesimi se ne andavano in spese di stampa e distribuzione, e che tra l’altro era il meno venduto e usato dei due piccoli valori: nel corso del 1862 risultavano venduti 16.235.446 pezzi dell’1 cent. contro 1.599.715 del 2 cent. nero o giallo, in pratica un decimo. Al suo posto gli editori potevano benissimo usare due pezzi da 1 cent. o ancora meglio approfittare del bollo preventivo, e già nel Regolamento alla nuova legge postale approvato a settembre si parlava di una nuova serie in cui il 2 cent. non figura.

A risparmiare ci pensava il bollo preventivo, che non richiedeva neppure l’annullamento, ora riservato ai “giornali stampati sopra un solo foglio” (e bastava 1 cent. se non superava i 20 grammi), e addirittura “obbligatorio per i giornali che gli editori spediscono sotto una sol fascia ai loro corrispondenti perché ne curino la rivendita e la distribuzione”: di qui il cambio da STAMPATI, generico, al più preciso PERIODICI FRANCHI. Ovviamente era disponibile soltanto “nelle Direzioni postali delle città principali del Regno” e presso uno speciale “Uffizio per la bollatura preventiva della carta destinata alla stampa dei giornali”, e richiedeva qualche cautela, sia perché la bollatura avveniva in varie località (ce ne manca l’elenco) e il controllo poteva non essere costante, sia perché un bollo si falsificava più facilmente di un francobollo. Per questo solo un anno dopo, il 10 ottobre 1863, la Direzione generale inviò ai Direttori compartimentali una seconda serie di bolli PERIODICI FRANCHI recanti dei “segni segreti” – delle tacche sul filo esterno – da mettere in uso “senza che gli impiegati e tanto meno gli inservienti incaricati di tale lavoro ne siano informati”. Ma era un timore infondato: nei suoi quasi 30 anni di vita – il sistema restò in vigore fino al 20 luglio 1890, sostituito dal nuovo metodo dell’abbonamento postale – pare non risultino problemi di falsificazione.

Fondata è invece la conclusione che i filatelisti abbiano preso una solenne cantonata trascurando questi valori – sì, proprio “valori postali” visto che presentano l’indicazione della cifra che si doveva spendere per averli, come qualunque francobollo – o limitandosi a valutare quelli scoperti nel loro orticello.

Bibliografia

GiovanBattista Cresto, I bolli ad umido, su Il Francobollo n. 69, Milano 1898 (riproposto su L’Arte del Francobollo n. 8 pag. 59)

Daniele Zanaria e Gabriele Serra, Trattato storico-postale d’Italia, Regno di Vittorio Emanuele II cap. II, 1986

Franco Filanci, Il Novellario vol. 1, Le Regie Poste Italiane, 2013