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Ottocento: carta fabbricata a mano e a macchina.
Uso della penna d'oca e del pennino metallico
di Marino BIGNAMI

 

 

Noi che ci occupiamo di storia postale privilegiamo come oggetti da acquisire le lettere, e su queste concentreremo l'interesse della presente nota, rilevando che per l'epoca presa in esame sono praticamente gli unici oggetti postali conosciuti. Le lettere del periodo sono usualmente formate da uno o più fogli di carta che hanno viaggiato dal mittente al destinatario trasportate dalla posta e successivamente sono giunte fino a noi.
Nelle missive lo scritto è riportato su uno o più fogli, che sono stati piegati su se stessi per la sigillatura, oppure una volta piegati su se stessi avvolti in un ulteriore mezzo foglio che è stato usato per l'indirizzo e la consueta sigillatura. La busta preincollata di forma moderna si è diffusa dopo l'inizio della seconda metà dell'Ottocento.
I collezionisti, il più delle volte, rivolgono la loro attenzione all'esterno di questi involucri, concentrandosi sui segni grafici che vi sono stati tracciati dal servizio postale e naturalmente anche sui primissimi variopinti francobolli emessi.
Qualche cultore é interessato anche al testo scritto, pochi però pongono attenzione e osservano da un punto di vista tecnico anche i supporti cartacei e gli strumenti che ne hanno lasciato traccia con la scrittura.
Ricordiamo che il mittente stendendo il segno grafico ha materializzato il suo pensiero, e la scrittura ne ha indelebilmente fissato sulla carta tracce che riguardano la sua cultura, il carattere e gli interessi; lo stesso modo di vergare l'indirizzo può essere spia delle sue idee. In questo periodo lo strumento usato per il segno grafico è stata la penna d'oca, oppure una cannuccia con pennino metallico: strumenti di scrittura che nel periodo convissero fino alla vittoria della nuova invenzione metallica.
Con il suo scrivere il mittente ha fatto una operazione molto importante sia per il destinatario che per noi: ha trasformato un semplice foglio di carta in un prezioso messaggio.

Penso perciò che valga la pena fissare, seppur brevemente, la nostra attenzione anche sui supporti delle corrispondenze e sugli strumenti per scrivere. Il periodo preso in osservazione è la prima meta dell'Ottocento, periodo che coincide col passaggio dalla carta fabbricata a mano a quella prodotta a macchina in rullo continuo a prezzi veramente molto ridotti. L'innovazione ha messo in crisi i produttori della nostra penisola, per anni leaders della fabbricazione della carta in Europa; nello stesso periodo si ebbe il passaggio dalla penna d'oca al pennino metallico fabbricato in massa, a prezzo ridottissimo, dalle manifatture inglesi.
Nel primo Ottocento la carta per scrivere, da inviare per posta, perciò "da lettere", articolo pregiato, era fornita dall'industria specializzata nella fabbricazione di fogli di minor spessore rispetto alla produzione normale, per intenderci quella usata nelle scritturazioni da archiviare e per la stampa.
La motivazione della preferenza per la carta sottile era ovviamente legata al peso delle missive che determinava la tariffa dovuta per il porto di spedizione postale, ed anche, penso, alla facilità di piegatura su se stessa necessaria alla sigillatura e all'invio.

 

 

 1806 - Parte di lettera di periodo napoleonico scritto probabilmente con pennino metallico su carta a mano sottilissima e leggera che mostra le caratteristiche righe della vergellatura.

 

 

1832 - Scritta con penna d'oca su carta a macchina BATH azzurrina con marchio impresso a secco su carta ancora umida che ha provocato l'assottigliamento della carta.(vedi foto sotto)

 

Agli inizi del periodo di nostro interesse, su documenti in mio possesso, inviati o circolanti su suolo italiano, si rilevano quasi esclusivamente lettere di carta fabbricata manualmente; successivamente, dagli anni Venti si diffuse e prese piede, fino a sostituire completamente quella manuale, la carta fabbricata a macchina. Si riconosce la carta a mano perchè é rugosa in superficie e con segni di linee lasciate dalla vergellatura e spesso ha anche una filigrana che i produttori inserivano come marchio di fabbrica; le filigrane erano immagini o lettere visibili in controluce come linee luminose rilevabili per uno spessore ridotto della carta. Le carte fabbricate con la macchina continua inizialmente non avevano filigrana.

Nel processo manuale ciascun foglio da lettera era fabbricato singolarmente e aveva le dimensioni utili per avere un foglio rettangolare piegato a metà dal lato minore su cui scrivere, per poi piegare ulteriormente in modo di poterlo sigillare con ceralacca o con le cosiddette ostie di farina colorate da inumidire e pressare per salvaguardare il segreto epistolare da sguardi indiscreti.

La carta a macchina delle lettere prese in esame é prevalentemente di produzione estera; é liscia e leggera, e per una metà dei campioni che ho esaminato colorata in azzurro. Per personalizzare la produzione, nei primissimi tempi, veniva commercializzata con impresso un marchio a secco.
La carta di produzione italiana a macchina é arrivata sul mercato dopo alcuni anni ed inizialmente era incolore a volte grigiastra per cariche minerali ed era piuttosto pesante. Ho notato anche alcune carte sicuramente formate a mano che sono rugose ma non recano tracce della vergellatura, mostrano però la stessa filigrana di altri fogli con evidenti tracce di vergellatura; probabilmente, per imitare la produzione estera a macchina, sono stati modificati i telai che recano tracce di una rete finissima e in un caso la data del 1855 (forse sovrapposta al telaio solito con vergellatura, essenziale questa per impedire la bombatura del filtro quando era caricato con la sospensione e permettere di ottenere un foglio di carta di spessore uniforme).

Le dimensioni dei fogli (logicamente rifilati con la taglierina) variavano da cartiera a cartiera; da misurazioni fatte da me, su una trentina di lettere dell'epoca, ho rilevato come dimensione totale:
per la carta a mano (periodo 1802 - 1855) da un minimo di mm 225 X 350 ad un massimo di mm 300 X 400.
Per la carta a macchina (periodo 1823 - 1865) da un minimo di mm 250 X 410 a un massimo di mm 330 X 440.
Ho trasformato il peso dei fogli in gr. rapportati alla superficie in mm. in una misura moderna: in gr.al metro quadro.
Il peso della carta a mano va da gr. 42/m2 a 81/m2. mentre per la carta a macchina ottengo da gr. 41/m2 a 68/m2

Da rilevare che gli oggetti con il minore peso della carta a mano (riconoscibile come detto sopra, per i segni della vergellatura e per le filigrane impresse come marchio di qualità) sono quelli del periodo napoleonico agli inizi dell'Ottocento 1802 - 1803 (periodo in cui le tariffe prevedevano pesi del primo porto di gr. 6).
Ho notato che una missiva realizzata con carta a mano del 1827 in partenza da Milano per Bergamo era stata alleggerita a gr. 6,8 (forse per non superare il porto di mezzo lotto pari a gr. 8,75) asportando la parte inferiore del foglio col classico sistema della piegatura e asportazione con tagliacarte che ha lasciato il foglio leggermente sfrangiato.
I fogli più antichi della carta a macchina (per una buona metà colorati) sono di produzione estera e quasi tutti hanno un marchio di fabbrica impresso a secco (probabilmente impresso con carta ancora umida perchè si nota un assottigliamento della carta visibile per trasparenza).


 

 

Esempi di filigrane di carta a mano della prima metà dell'ottocento

 

 

 

 

Carta a macchina di produzione inglese con bollo a secco, in trasparenza mostra l'assottigliamento.

 

Esempio di preparazione della punta della penna

Filigrana di carta a mano con tracce di rete fine

 

 

 

Strumenti per scrivere: penna d'oca e pennini metallici
 

All'inizio del periodo in esame si usavano in prevalenza le penne d'oca, anche se si hanno notizie che dal Medio Evo in poi sono stati fabbricati pennini metallici di alto costo, appannaggio di personaggi importanti o in uso nelle segreterie dei commercianti e degli uffici pubblici con molta corrispondenza. I pennini erano realizzati singolarmente usando come materiale rame, argento e oro, i fabbricanti erano gli orafi o gli argentieri, i soli capaci di avere la finezza delle lavorazioni di oggetti così minuscoli. A questi preziosi manufatti mancava però la flessibilità del pennino moderno e molti usavano la penna d'oca che era molto più flessibile e poco costosa.
La materia prima era diffusa e senza altra utilizzazione perciò di basso prezzo, veniva prelevata dalle oche vive a cui rispuntavano le penne. Era poi lavorata da esperti artigiani per dare ad essa flessibilità e resistenza che le penne allo stato naturale non hanno. Rimaneva il problema del consumo per abrasione della punta che richiedeva continui laboriosi rifacimenti come succede per i lapis.

 

 

Cannuccia e selezione di pennini in uso fino agli anni Cinquanta. I più usati erano il Michell(?) per esercizi di calligrafia in corsivo inglese (quarto da sinistra con tre fori). Il quarto da destra a lancia per scrittura normale per fare i compiti. Entrambi fabbricati dalla marca Presbitero di Milano. Chi era giovane Sessant'anni fa se li ricorda senz'altro.

 


Contrariamente a quanto si può pensare la tecnologia per produrre il pennino in quantità richiedeva conoscenze metallurgiche raffinate delle leghe ferrose e delle tempere necessarie per ottenere flessibilità e durata. Il momento propizio per il combinarsi di tecniche di: laminazione degli acciai, lavorazione con le trance, metallurgia delle leghe ferrose e forza motrice a buon mercato ottenuta dal vapore, sono gli anni Trenta dell'Ottocento, quando un ex fabbricante di coltelli, Joseph Gillott, a conoscenza delle tecniche necessarie, brevetta il modo di fabbricare pennini metallici a basso prezzo. L'officina di Gillot con le sue tecniche monopolizzò per anni la fabbricazione esportando pennini in tutto il mondo.
 

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