S. P. del Regno delle due Sicilie

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I bolli del servizio postale in Sicilia dal 1820 al 1858
Analisi di alcune alterazioni chimiche degli inchiostri

di Giorgio CHIANETTA
(Archivio per la Storia Postale - ISSP - n. 24/2006)

La riforma postale del 1820

Sicilia, aprile 1820. Il servizio postale, già da tempo passato dalle mani dei privati a quelle dell’amministrazione del regno delle Due Sicilie, viene completamente riorganizzato sulla base di un’ampia riforma definita qualche mese prima con i RR.DD. 1756 e 1757, emanati il 10 novembre 1819 da re Ferdinando I.

I punti principali di quella riforma, da attuare dal 1° aprile 1820, furono quattro: una organizzazione centrale, la Direzione Generale delle Regie Poste con sede a Palermo; una struttura periferica di 115 «Officine di posta» distribuite sul territorio; un nuovo metodo di tassazione delle corrispondenze basato non più solo sul peso delle lettere ma anche sulla distanza; la bollatura in partenza delle missive.

L’impatto organizzativo di questa riforma sarà stato indubbiamente significativo, soprattutto per la componente sul territorio. Si trattava di attrezzare 115 officine con tutto il corredo necessario al loro buon funzionamento, e questo venne fatto nella maggior parte dei casi nel mese di marzo 1820: furono spediti moduli, regolamenti, circolari a stampa con le norme sull’espletamento del servizio, ed in particolare i nuovi bolli postali. Ogni officina di posta venne dotata di un bollo con il nome della località, con cui marcare la corrispondenza in partenza, e di tre bolli accessori, con le diciture REAL SERVIZIO, FRANCA, ASSICURATA.

I nuovi bolli, salvo rare eccezioni, erano caratterizzati da una cornice ad un filetto di forma ovale, di varie dimensioni, in alcuni casi con fregi posti agli estremi delle diciture interne; vennero realizzati in legno duro (il bosso, come riportato in un articolo di Luigi Giannuzzi Savelli e poi in una monografia di Lorenzo Previteri 1) o in metallo, in particolare rame o ottone. Dalle impronte è in genere possibile distinguere quali bolli fossero in metallo e quali in legno. Il bollo in metallo ha i caratteri regolari e nitidi e la linea di base delle diciture è regolare; inoltre la sua impronta non evidenza segni importanti di deterioramento se non dopo decenni di utilizzo. Un bollo in legno ha invece i caratteri ed il filetto di contorno più grossolani, la linea di base delle diciture presenta delle scalettature, e già dopo pochi anni d’uso presenta i segni di una forte usura (si veda in proposito la prima parte del già citato articolo di Savelli che, pur datato, offre degli spunti ancora oggi interessanti).


Bolli postali e inchiostri.

L’eleganza della forma e del carattere sono certamente elementi distintivi della maggior parte dei bolli borbonici siciliani; a questo si aggiunge la varietà dei colori degli inchiostri utilizzati dalle varie officine di posta. Tutti questi elementi rendono le lettere siciliane del periodo, non solo interessanti da un punto di vista storico-postale, ma anche molto affascinanti. Come da regolamento postale del 1819, i bolli dovevano essere impressi sulle lettere con inchiostro «ad olio» di colore rosso; il bollo nominativo doveva essere apposto sull’angolo in alto a destra della lettera, mentre un eventuale bollo accessorio andava apposto in alto a sinistra.

Nonostante le precise disposizioni su tipo di inchiostro e posizione delle impronte, non tutti gli ufficiali di posta si attennero scrupolosamente alle norme, probabilmente perché non ricevettero o non si procurarono in tempo l’inchiostro regolamentare, oppure perché ancora inesperti sul nuovo sistema. Esistono impronte con differenti gradazioni del colore rosso ufficiale ed altre con colori completamente diversi: nero, verde, azzurro, violetto, tutti inchiostri di probabile provenienza commerciale, utilizzati verosimilmente in assenza dell’inchiostro rosso regolamentare.

Già Lorenzo Previteri 2) fornisce una prima catalogazione dei colori riscontrati, definendo cinque colori principali, alcuni dei quali con più tonalità particolari, per un totale di undici colori differenti: «bruno, bruno scuro, giallo, giallo sporco, nero, rosso, rosso arancio, rosso carminio, rosso oleoso, rosso ruggine, viola». Questo elenco, seppur limitato ai bolli delle officine di posta siciliane che vennero chiuse nel 1821, è interessante soprattutto per un primo tentativo di definizione dei colori “tipo”.

Paolo Vollmeier, nella sua opera del 1998 sulla storia postale siciliana 3) fornisce una catalogazione dei colori ancora più dettagliata, arrivando a definirne 24 tra colori base e sottotipi. Simile classificazione viene fatta successivamente da Vincenzo Fardella che, nel terzo volume della sua opera 4), elenca 25 colori e sfumature differenti.

Nell’ampia varietà di colori usati dalle officine di posta siciliane tra il 1820 ed il 1858 (vedi alcuni esempi nelle figg. 1-3), due sono comunque i colori più utilizzati: il rosso ed il nero, e le loro sfumature. Il rosso era il colore ufficiale da regolamento, mentre il nero (ferrogallico o da nerofumo) era indubbiamente a quei tempi il più diffuso nella scrittura per la semplicità di realizzazione.

Fig. 1. Lettera dall’officina di Posta di Siculiana, datata 31 marzo 1820, diretta a Palermo.
Bollo nominativo SICULIANA tipo T3 [è usata la catalogazione Vollmeier] e bollo REAL SERVIZIO tipo T31 entrambi in nero. L’ufficiale di posta di Siculiana non solo usò un inchiostro nero non regolamentare ma appose i bolli in posizione errata, con il nominativo a sinistra e rovesciato.
L’inchiostro rosso ufficiale venne poi utilizzato a Siculiana già dal 6-7 aprile e sino al novembre del 1820.
Fig. 2. Lettera dall’officina di posta di Bivona, datata 5 maggio 1820, diretta a Palermo.
L’ufficiale di posta di Bivona appose i bolli con l’inchiostro rosso regolamentare ma nella posizione sbagliata: il bollo nominativo BIVONA tipo T3 venne apposto inizialmente per errore nell’angolo superiore sinistro, corretto da un REAL SERVIZIO tipo T31, apposto però rovesciato e ripetuto per amor di precisione nell’angolo inferiore sinistro, insieme ad una impronta corretta del bollo nominativo, nell’angolo superiore destro.
Fig. 3. Lettera inviata da Sciacca a Girgenti, datata 7 luglio 1857. Oltre ai due bolli amministrativi in nero si notano il bollo nominativo SCIACCA tipo T3 ed il bollo REAL SERVIZIO tipo T33, entrambi in azzurro. Il bollo nominativo, probabilmente ancora quello fornito all’officina nel 1820, ha una impronta molto irregolare a causa dell’usura: l’ovale è quasi completamente sparito così come i due fregi laterali. L’ufficiale appose in sequenza due impronte del nominativo che risultarono però entrambe incomplete e spostate tra di loro tanto da far apparire una scritta complessiva SCIACC-CA.
 

Variazioni ed alterazioni cromatiche degli inchiostri.

Lo studio della storia postale dell’antica provincia di Girgenti nel periodo dal 1820 al 1858 mi ha permesso in questi anni di esaminare un significativo numero di documenti. Nel contesto complessivo siciliano, questo ambito potrebbe apparire limitativo ai fini di una ricerca, ma la realtà è un’altra: pur lavorando su sole 14 officine di posta del territorio di Girgenti è stato possibile riscontrare decine di tipi di bolli e soprattutto un’ampia varietà di inchiostri: rosso, nero, bruno, blu, azzurro, verde, violetto, solo per citare i tipi principali. Questo mi ha fornito una adeguata base di lavoro per poter analizzare nel dettaglio gli inchiostri e le loro variazioni cromatiche: diluizioni, passaggi di colore, alterazioni.

La diluizione - principalmente con oli, ad esempio di nocciola o di lino - veniva effettuata per allungare il contenuto della boccetta di inchiostro, oppure era una conseguenza dell’olio che veniva versato direttamente sul tampone con cui si inchiostravano i bolli, per evitarne l’essiccamento. La conseguenza sulle impronte dei bolli è un colore più tenue del normale, unito ad un alone attorno all’impronta che “passa” in maniera evidente sul retro della carta.

In altri casi - esaminando lettere spedite dalla stessa officina nell’arco di qualche giorno - si può osservare un graduale passaggio da un colore ad un altro, fatto spiegabile immaginando che all’esaurirsi di un inchiostro, non avendo nient’altro a disposizione nell’Officina, si facesse uso di un inchiostro di colore completamente diverso, creando così miscelazioni con tonalità intermedie tra due colori, che duravano i pochi giorni necessari al tampone ad assorbire completamente il nuovo inchiostro.

Veniamo infine alle alterazioni del colore. Quella che in modo generico ed a volte improprio viene chiamata “ossidazione” è un fatto che molti hanno potuto osservare su alcuni bolli postali siciliani, e non solo. L’effetto macroscopico di tale fenomeno è una sorta di inscurimento del colore, che trasforma ad esempio impronte originariamente in rosso vivo in un bruno ruggine, a volte molto intenso e tendente al nero.

Le alterazioni possono spiegare situazioni in cui differenti lettere della stessa officina, spedite lo stesso giorno o a distanza di qualche giorno, presentino impronte diverse nel colore, ad esempio la prima in rosso e la seconda in bruno ruggine (fig. 4): non si tratta in questo caso di due colori diversi ma di due stati dello stesso inchiostro.

Fig. 4. In alto, lettera del 31 dicembre 1848 con un bollo GIRGENTI tipo T16 che mostra forti segni di imbrunimento, il colore originale rosso arancio (analogo a quello della lettera in basso spedita qualche giorno prima) si è alterato trasformandosi quasi completamente in bruno.

A dimostrazione di ciò, molto spesso nelle lettere con colori alterati, si possono notare ancora parti dell’impronta con il colore originale (fig. 5).

Fig. 5. Lettera del 5 gennaio 1850 con bollo lineare CASTELTERMINI tipo T4 e bollo REAL SERVIZIO tipo T33. Entrambi mostrano segni parziali di alterazione del colore: l’originale rosso arancio (visibile ad esempio sulla parte iniziale del bollo lineare) si è modificato in alcune parti in bruno.

Le alterazioni cromatiche sono certamente avvenute in molti casi nel passato, nei luoghi dove per decenni le lettere sono state custodite. Raccolte dentro grossi faldoni, impilate e pressate, le lettere hanno subito gli effetti di una interazione tra i vari inchiostri, la carta e l’ambiente circostante, con l’intervento esterno di umidità, variazioni di temperatura, polvere, ecc., con reazioni chimiche complesse il cui modello è ancora oggi di difficile individuazione.

Questa però non è l’unica casistica, perché le alterazioni possono presentarsi anche oggi, sotto i nostri occhi: gli inchiostri possono infatti interagire con i materiali con cui si conservano i documenti, in particolare i film plastici. Questa particolare alterazione cromatica, sperimentata personalmente, meritava un approfondimento e nel seguito si troverà un resoconto sulle ipotesi avanzate, sulle analisi effettuate, sui risultati e le conclusioni cui si è pervenuti.



Primi tentativi di inquadramento del problema.

L’evento sotto indagine era il seguente. Le impronte dei bolli postali di alcune decine di lettere siciliane del periodo 1820-1849, conservate per circa due anni in tasche commerciali di materiale plastico dichiarato adatto alla conservazione, erano passate dall’originale colore rosso arancio ad un bruno ruggine, in alcuni casi in modo opaco ed uniforme, in altri con una alterazione granulare. Per contro, lettere con impronte di bolli di altre officine di posta dello stesso periodo, con colori visivamente analoghi e conservate negli stessi contenitori plastici, non presentavano segni di alterazione. Il colore più colpito da questo fenomeno era il rosso 5).

Le domande erano: c’è una dipendenza dal materiale plastico? E dall’inchiostro o dalla carta? Quale pigmento era stato utilizzato negli inchiostri? Qual è stato il meccanismo dell’alterazione?

È iniziato quindi un esame delle lettere con inchiostri alterati ed un confronto con analoghi documenti con bolli in condizioni normali. Le lettere sono state inizialmente esaminate sotto luce UV (lampada tipo A, 366 nm), riscontrando una diversa fluorescenza fuori dal tratto inchiostrato, sia nei bolli alterati sia in quelli non alterati.
Questo portava ad allargare il problema dallo studio dell’alterazione del pigmento 6) allo studio della struttura pigmento-legante-carta ed eventuali interazioni con le tasche in plastica.

Tra i vari istituti e laboratori di ricerca con cui avevo preso contatto, l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro (ICPL) di Roma ha risposto alla mia richiesta di collaborazione su questa ricerca, e mi ha indirizzato verso il dott. Paolo Calvini, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Genova, quale esperto nell’analisi FTIR (spettroscopia infrarossa) della componente organica legante-carta.

Il primo passo è stato l’analisi FTIR di un esemplare delle tasche di plastica, preso tra quelle dove le lettere siciliane erano state conservate per circa due anni. L’analisi ha dimostrato come il film plastico utilizzato nelle tasche fosse in realtà molto simile al polimero del cloruro di vinile (PVC) piuttosto che al metacrilato-butadiene-stirene (polimero dichiarato dal produttore). Il polimero del cloruro di vinile è noto per gli effetti dannosi nel tempo sul materiale cartaceo, causati dal rilascio progressivo di sostanze acide originate anche dagli additivi utilizzati nel processo di lavorazione.

Il passo successivo è stato l’analisi dei documenti. Dal mio archivio sono state selezionate tre lettere con inchiostri degradati, di cui si aveva a disposizione anche una immagine scannerizzata prima dell’alterazione. Per ogni lettera ne è stata individuata una analoga per tipo di bollo e periodo d’uso ma con inchiostro in condizioni normali, quale elemento di confronto nelle analisi. La scelta è caduta su tre coppie di lettere degli anni 1821, 1844 e 1848-1849, con bolli dell’officina di posta di Girgenti, quella con la maggiore disponibilità di campioni alterati.

I bolli delle tre lettere selezionate sono mostrati nelle figg. 6-8, nello stato originale con inchiostro non degradato, e nello stato attuale 7).

Fig. 6. Lettera da Girgenti del 28 aprile 1821. A sinistra particolare del bollo GIRGENTI tipo T3 in rosso, condizioni originali. A destra, stesso particolare nelle condizioni attuali: il colore originale si è inscurito in modo evidente.
Fig. 7. Lettera da Girgenti del 30 novembre 1844. A sinistra, particolare del bollo GIRGENTI tipo T15 in rosso arancio, condizioni originali. A destra, stesso particolare nelle condizioni attuali: il colore originale si è inscurito in modo evidente, soprattutto nei punti di maggiore densità dell’inchiostro.
Fig. 8. Lettera da Girgenti del 6 aprile 1848. A sinistra, particolare del bollo GIRGENTI tipo T16 in rosso arancio, condizioni originali. A destra, stesso particolare della lettera nelle condizioni attuali: il colore è passato al bruno in modo uniforme.


Per ognuna delle tre lettere con inchiostro degradato e per ognuna delle analoghe lettere con inchiostro in condizioni normali, si è quindi provveduto ad eseguire:

• verifica dell’eventuale acidità della carta
• analisi FTIR della carta
• analisi FTIR dell’inchiostro.

La verifica dell’acidità della carta è stata eseguita utilizzando uno strumento molto semplice, uno speciale pennarello denominato pH Testing Pen, della statunitense Lineco. La soluzione al clorofenolo contenuta nel pennarello, a contatto con carta non acida (con pH uguale o superiore a 6,8) diventa di colore rosso lillaceo, mentre si mantiene incolore o di un giallo molto tenue su carte acide (con pH inferiore a 6,8). Questo metodo non dà l’esatto valore del pH ma mette in evidenza comunque l’eventuale acidità della carta, fatto già sufficiente per i nostri scopi. Dalle rilevazioni effettuate non è stata rilevata però alcuna dipendenza tra inchiostro alterato ed acidità della carta: inchiostri alterati erano presenti su carte sia acide sia non acide, ed analoga situazione era rilevata per gli inchiostri non alterati.

Il passo successivo, l’analisi FTIR delle carte dei documenti, è servito per determinarne composizione e tipo di collatura e soprattutto per identificare e separare i segnali della carta da quelli degli inchiostri nella successiva analisi.

Al termine di queste prime analisi si potevano già fare alcune considerazioni:

  1. Gli inchiostri del 1821 appaiono sensibilmente diversi da quelli degli anni 1844 e 1848-49; nel contempo gli inchiostri dei campioni del 1844 e 1848-49, appaiono molto simili tra di loro.
  2. Non risultano evidenti differenze nei grafici FTIR tra l’inchiostro in condizioni normali e quello alterato, per nessuno dei tre gruppi esaminati.
  3. La variazione cromatica dell’inchiostro è stata verosimilmente una conseguenza della alterazione del pigmento, probabilmente inorganico, piuttosto che dell’alterazione del legante, comunque presente anch’essa.
  4. Pur non conoscendo l’esatta composizione dei pigmenti e dei leganti, tra di essi ci sono state indubbiamente interazioni chimiche, probabilmente accelerate dalla non corretta conservazione in epoche passate, e gli ultimi anni di conservazione all’interno di tasche in plastica hanno agito direttamente sul pigmento.

La relazione completa sulle analisi FTIR effettuate sui materiali plastici e sui documenti è riportata nell’Appendice A.

Si delineava pertanto una prima ipotesi di lavoro: la variazione cromatica dell’inchiostro dei bolli era da addebitare ai pigmenti utilizzati ed era legata in qualche modo alla interazione con il materiale plastico che aveva custodito le lettere. Seguendo questa ipotesi, si è deciso come prima cosa di procrastinare lo studio approfondito del tipo di legante e della sua degradazione, in quanto ciò avrebbe richiesto di abbinare all’ FTIR altre tecniche complesse e distruttive (gascromatografia abbinata aspettrometria di massa 8), e ci si è concentrati sull’analisi dei pigmenti utilizzati nei bolli in questione. Inoltre, la maggiore presenza in percentuale di alterazioni cromatiche su lettere del periodo dal 1844 al 1849 portava a spostare l’attenzione su queste tipologie di bolli, sospendendo temporaneamente ulteriori analisi sui tipi del 1820-21.

Quella prospettata era ovviamente una prima idea su cui lavorare; non esistendo nessuna banca dati di confronto pronta all’uso e facilmente accessibile per identificare con sicurezza pigmenti e leganti utilizzati nei bolli postali siciliani, si è proceduto con molta attenzione nelle valutazioni, considerando, tra le altre cose, le ricette tipiche degli inchiostri del periodo e gli spettri di riferimento disponibili per il confronto.


Prime ipotesi e primi riscontri.

Le analogie evidenziate dalle analisi tra l’inchiostro del 1844 e quello del 1848-49 portavano a considerare l’ipotesi che si trattasse di inchiostri con ricette simili, preparati o forniti in quel periodo all’officina di posta di Girgenti 9).

Ma quali pigmenti erano stati utilizzati?

Ad una prima valutazione, il più probabile era il minio, pigmento inorganico dal caratteristico colore rosso arancio, quindi analogo al colore dell’inchiostro rilevabile in condizioni normali. Il minio era usato anche in pittura ed in questo ambito è noto che non fosse molto gradito agli artisti per la sua tendenza ad imbrunire a contatto con l’aria. Per ulteriore analogia con la pittura è noto che spesso venissero miscelati insieme diversi pigmenti e questo poteva essere stato fatto anche nei nostri inchiostri, cosa che ovviamente portava a complicare le nostre analisi.

Nell’ipotesi che l’inchiostro rosso contenesse minio, perché si era verificato il viraggio al bruno? Una possibile spiegazione è venuta da una ulteriore analisi dei grafici FTIR delle tasche di plastica in esame, ritornando proprio sulla somiglianza del grafico del campione con quello di un polimero contenete cloruro/acetato di polivinile.
Infatti questo polimero può rilasciare nel tempo alcuni acidi, uno di questi è l’acido acetico, ed è noto che gli ossidi di piombo sono solubili in acido acetico concentrato. Il minio, un ossido misto di piombo la cui struttura particolare provoca il caratteristico colore rosso, può essere stato quindi intaccato dall’acido acetico ed a seguito di ciò passare dal rosso arancio al bruno 10). Un primo tentativo di spiegazione era stato finalmente costruito.

Erano necessari però alcuni riscontri. Il primo di questi era comprovare l’interazione tra acido acetico e minio, nell’ipotesi molto probabile che fosse questo il pigmento, e per far ciò si è optato per un approccio sperimentale.

Ho deciso allora di sacrificare una lettera del mio archivio, una con un bollo GIRGENTI in condizioni normali, del tutto simile per tipo e colore a quello del campione non alterato, esponendola ai vapori dell’acido acetico (comune aceto da cucina), all’interno di un contenitore sigillato. Questo era un modo pratico per simulare in breve tempo l’esposizione reale di 1-2 anni all’acido acetico rilasciato dal polimero.
Dopo circa un giorno e mezzo di esposizione, l’inchiostro del bollo aveva radicalmente cambiato colore, passando dal rosso arancio al bruno ruggine. Nelle due figure 9a e 9b è mostrata la lettera utilizzata, prima e dopo la prova.

Fig. 9a. La lettera utilizzata per il test presenta un bollo GIRGENTI tipo T16 rosso arancio, nel suo aspetto originale.
Fig. 9b. La stessa lettera dopo l’esposizione ad acido acetico. Il pigmento dell’inchiostro del bollo è degradato con un colore rosso bruno. Nessuno degli altri inchiostri presenti sul recto della lettera ha subito alterazioni: i due utilizzati per la scrittura del destinatario e per l’indicazione della tassa di 3 grani, verosimilmente di tipo ferro-gallico, quello rosso lillaceo del bollo DSAG (Duca di Saponara Amministratore Generale) apposto in arrivo a Palermo quale verifica della tassa (parzialmente sovrapposto al bollo nominativo).


C’era allora una prima conferma sul meccanismo ipotizzato per la degradazione dell’inchiostro 11). Per comprovare ulteriormente l’ipotesi di lavoro mancava la seconda conferma, quella della presenza del minio quale pigmento degli inchiostri.

Per far questo sono state utilizzate tecniche spettrografiche note come Raman e XRF, non distruttive per i documenti, e specifiche per l’analisi di elementi e composti inorganici, proprio quelli di cui si era alla ricerca nell’inchiostro dei bolli. L’Istituto Centrale per la Patologia del Libro di Roma si è reso disponibile e si è proceduto quindi all’analisi di tre lettere, due con inchiostro rosso degradato (campioni del 1844 e 1848) ed una con inchiostro in condizioni normali (campione del 1849). Questi esami, certamente più specifici della FTIR, hanno evidenziato una situazione molto articolata, confermando da una parte la presenza di minio, e dall’altra la presenza di minio miscelato sia ad altri ossidi di piombo che a cinabro. La relazione tecnica di tali esami è riportata nella Appendice B.


Conclusioni e nuovi progetti.

Le ultime analisi sono state il punto di arrivo della prima fase di una indagine, lunga per le difficoltà iniziali incontrate nella ricerca delle giuste collaborazioni e per la mancanza di precedenti specifici, affascinante - agli occhi dello studioso di storia postale - per le possibilità di studio e le tecnologie che possono essere messe in campo.

Ovviamente la ricerca è incompleta e suscettibile di approfondimenti. Ho deciso comunque di pubblicare questi risultati per porre in evidenza un fatto che ritengo importante: se si decide di utilizzare buste in materiale plastico per la conservazione dei nostri documenti, occorre prestare molta attenzione al tipo di materiale scelto ed al tipo di documento. Alcune tasche in plastica, anche se dichiarate dal produttore «adatte alla conservazione» in generale, possono non essere adatte in alcuni casi particolari, certamente non nel caso specifico di documenti che contengono inchiostri rossi a base di minio o cinabro. Questo non dipende da superficialità o malafede del produttore, ma dal fatto che materiali diversi richiedono contenitori con caratteristiche diverse, e quello che può valere per un documento moderno può non valere per un manoscritto o per un documento con inchiostro colorato. Quest’ultimo infatti può essere alterato persino da contenitori in carta con una riserva alcalina, contesto certamente ottimale per la conservazione del substrato cartaceo.

Queste prime conclusioni sono diventate comunque un punto di partenza per nuovi studi ed approfondimenti. Si sta delineando un nuovo progetto di screening che riguarderà inizialmente tutte le tipologie di inchiostri usati nelle 14 officine di posta della provincia di Girgenti, nel periodo 1820-1858, passando poi eventualmente ad una ricerca ancora più ampia.

È un progetto che richiede disponibilità di risorse e molta pazienza, ma che alla fine potrà rendere disponibile una base dati di riferimento per chi voglia conoscere in modo approfondito questo aspetto legato alla storia postale siciliana. Questi dati di riferimento possono essere utili anche per l’individuazione di eventuali falsificazioni totali o parziali di bolli siciliani (per fortuna ne sono note veramente poche). Tale aspetto, non preso in considerazione all’inizio di questo lavoro, si è evidenziato strada facendo, a seguito dell’esame di alcuni documenti che presentavano delle strane alterazioni parziali degli inchiostri. Le analisi strumentali in questi casi hanno evidenziato
una differente composizione degli inchiostri delle parti ritoccate rispetto alle originali (sull’argomento esistono studi precedenti 12). Questi ritocchi sono stati effettuati verosimilmente in epoche recenti per evidenziare o completare originali impronte parziali dei bollo, con lo scopo di rendere il documento più interessante ai fini collezionistici.

Ringraziamenti.

Desidero ringraziare il dott. Paolo Calvini della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggio della Liguria: la sua collaborazione, piena ed appassionata, nelle analisi FTIR ed in tutte le fasi della ricerca è stata davvero determinante.
Ringrazio inoltre la dott.ssa Marina Bicchieri e la dott.ssa Giovanna Piantanida, dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro di Roma per la disponibilità dimostrata nelle analisi RAMAN e XRF e per il delicato lavoro di acquisizione ed elaborazione dei dati.

 

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NOTE

1) Luigi GIANNUZZI SAVELLI, “Le lettere di Real Servizio di Sicilia”, in Filatelia n. 44, 1967, pp. 15-22, e Lorenzo PREVITERI, L’istituzione delle officine postali nel Regno di Sicilia e la rivoluzione siciliana del 1820-1821: valutazione dei bolli delle officine abolite nel 1821, AAEP, Padova, 1976.
2) Ibidem, pp. 121-122.
3) Paolo VOLLMEIER, The Postal History of Sicily from its beginnings to the introduction of the postage stamps, Giulio Bolaffi Publisher, 1998, pp. 688.
4) Vincenzo FARDELLA DE QUERNFORT, Storia postale del regno di Sicilia dalle origini all’introduzione del francobollo (1130-1858), 2 voll., Zefiro, Palermo, 1999, pp. XLVIII+413 e 421-847; ID., Storia postale del regno di Sicilia Catalogo Specializzato dei Bolli e degli Annullamenti Postali dal Regno di Ferdinando III alla Luogotenenza di Pettinengo dal 1786 al 1861, vol. III, Zefiro, Palermo, 2000 (2ª ed.), pp. XXV+355.
5) La possibilità di un cambio di colore degli inchiostri dei bolli postali siciliani è stata descritta da VOLLMEIER [cit., pag. 394], per inchiostri rossi a base di minio e cinabro, entrambi pigmenti rossi utilizzati nella metà del 1800: l’alterazione era probabilmente causata dalla permanenza delle lettere per decenni nei fondi degli archivi, quindi come conseguenza dell’invecchiamento e delle condizioni ambientali, considerando come molto remota la possibilità che quelle lettere fossero state a contatto prolungato con materie plastiche. Il caso qui descritto è diverso, le lettere presentavano inizialmente bolli con colori integri ed il cambiamento di colore si è manifestato dopo circa due anni di conservazione all’interno di materiali apparentemente appropriati.
6) Pigmento molto probabilmente inorganico, in base anche ad alcune informazioni presenti in precedenti lavori di PREVITERI, GIANNUZZI-SAVELLI e VOLLMEIER, citt.
7) Le immagini dei campioni nello stato originale e nello stato alterato sono state riprese a distanza di alcuni anni, utilizzando scanner e software di acquisizione differenti, ma parametri di scansione simili. Questo giustifica le leggere differenze di tonalità di colore della carta.
8) La spettrometria di massa è una tecnica di indagine già utilizzata in ambito storico-postale, vedi ad esempio il lavoro di Paolo VOLLMEIER “L’indagine chimico-tecnica supporto all’identificazione di timbrature e inchiostri contraffatti”, presentato al V seminario “Posta e Paleografia”, Prato, 7-13 settembre 1987, Istituto di Studi Storici Postali. Studio ampliato e presentato successivamente in VOLLMEIER, The Postal History of Sicily..., cit.
9) È noto che l’uso di tale colore nell’officina di Posta di Girgenti si estese sino al 1853; successivamente venne usato solo inchiostro nero.
10) Il minio è un ossido misto di Piombo (II) e Piombo (IV), con formula [PbO] 2 * PbO 2, dove il simbolo * indica un legame metastabile, responsabile tra l’altro del tipico colore rosso. L’acido acetico rompe il legame metastabile e libera il biossido di piombo PbO2 che è per sua natura di colore bruno.
11) Una seconda prova, con esposizione di una analoga lettera ad una miscela di acido cloridrico (al 10%) non ha evidenziato alcuna alterazione dell’inchiostro.
12) Ad esempio Paolo VOLLMEIER, “New methods to identify fakes”, in FFE Journal, 1, 1998, pp. 113- 120, o Robert NEUNTEUFEL, “Spectroscopic examinations of stamps’ colours for age assessment and authentication”, in FFE Journal, 6, 2003, pp. 147-159.

 
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