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            La "rivoluzione" del 27 aprile 
          A seguito della seconda Guerra d'Indipendenza, scoppiata il 26 aprile 1859, il Granduca
            di Toscana, dopo una pacifica "rivoluzione finita a desinare" (secondo la sarcastica
            definizione del Salvagnoli), abbandonava per sempre il suo Stato (27 aprile). Veniva
            immediatamente costituito un Governo Provvisorio che offriva a Vittorio Emanuele
            la dittatura della Toscana, ma costui prudentemente preferì non accettare limitandosi
            ad assumerne il protettorato e nominando Carlo Boncompagni quale Regio Commissario
            sardo. La prudenza era d'obbligo, dal momento che non era ancora naufragato,
            attraverso il susseguirsi delle spontanee annessioni dei diversi ducati al Regno sardo,
            il progetto di Napoleone III, appoggiato proprio da Vittorio Emanuele, di sostituire
            alla egemonia austriaca in Italia il controllo francese. Richiamato a Torino il 1° agosto
            successivo, il Boncompagni attribuì i propri poteri al Consiglio dei Ministri toscano
            che elesse presidente il Barone Bettino Ricasoli, già Ministro dell'Interno. L'11 e il 12
            marzo 1860 il Ricasoli indisse il plebiscito per l'annessione della Toscana al Regno di
            Sardegna, a seguito del quale il 22 marzo Vittorio Emanuele decretò l'annessione nominando
            Luogotenente Eugenio di Savoia Carignano. 
            Le ripercussioni della partenza di Leopoldo II e della fi ne del Granducato sul sistema
            postale non furono immediate. Non si pensò minimamente di invalidare o sostituire i
            francobolli emessi sotto il passato regime i quali - sia per il soggetto adottato, il leone
            d'Etruria coronato, sia per le diciture Francobollo postale toscano - sembravano fatti apposta
            per continuare a rimanere in corso a prescindere dalla direzione dei pur turbolenti
            venti rivoluzionari e politici del momento. Non si avvertì in Toscana, pertanto,
            quell'esigenza di cancellare in vario modo dalle carte valori postali gli emblemi della
            casata regnante ormai decaduta, esigenza che ha regalato ai cultori di storia postale del
            '59 delle chicche talvolta pittoresche (come scritte di vituperio o di dileggio o cancellature
            o corna sulle effigi sovrane e gli stemmi araldici degli Asburgo, degli Estensi e dello
            Stato Pontificio). Né parve opportuno introdurre, come si fece prontamente nell'ex
            Ducato di Modena, appositi timbri che riproducendo lo stemma dei Savoia rendevano
            esplicito il nuovo corso storico imboccato; questi timbri servirono per "sovrastampare"
            e rendere per quanto possibile meno visibili i riferimenti alla spodestata dinastia regnante
            che continuavano a campeggiare sui francobolli dei nostri Antichi Stati. L'assenza
            di una visibile frattura da un punto di vista postale tra il governo lorenese e quello
            provvisorio è in sé stessa un significativo messaggio storico che riprova la continuità
            delle istituzioni toscane nel passaggio dal vecchio al nuovo regime. Resta il fatto che le
            lettere viaggiate in quel ristretto periodo recano valori che comunque non possono più
            essere considerati espressione del potere granducale, bensì del nuovo libero governo. Se
            in altri Stati, come Parma e Modena, l'introduzione temporanea dei valori di Sardegna,
            avvenuta ancor prima dell'adozione dei francobolli dei rispettivi governi provvisori, ha
            marcato nettamente il passaggio dal dominio delle antiche dinastie all'avvento del Regno
            d'Italia, in Toscana non si avvertì questa esigenza. Pertanto l'impiego di transizione
            dei Marzocchi dal 27 aprile al 31 dicembre 1859, mentre si preparava la nuova emissione
  "patriottica" in centesimi e con lo stemma di Savoia, che vide la luce il 1° gennaio
            1860, presenta un notevole significato in termini storici e collezionistici. 
          
            
          Il 9 crazie viola bruno lillaceo II emissione, emesso in 
            periodo di Governo Provvisorio (ex coll. Fulpius). 
              
          Non soltanto i francobolli rimasero gli stessi, ma nel luglio 1859 - quando ormai i Lorena
            se ne erano andati da un pezzo - la Soprintendenza delle Poste provvide a stampare
            e diffondere il nuovo francobollo da 9 crazie bruno lillaceo chiaro, l'ultimo valore
            della serie su carta bianca a linee ondulate. Questo prezioso esemplare è dai più considerato
            il primo francobollo del Governo Provvisorio toscano, sebbene appartenente
            a pieno titolo ad una serie concepita, realizzata ed emessa in periodo granducale. Il 9
            crazie, rimasto per soli pochi mesi negli uffici postali, rappresenta una delle maggiori
            rarità dei francobolli di Toscana, specialmente allo stato di nuovo o su lettera, ed è
            chiara testimonianza di un momento storico del tutto ibrido per la Toscana, sospesa tra
            un Granduca ormai cacciato ed un Re che ancora si faceva attendere. 
            Alcuni segnali del mutare dei tempi provennero dalla modifica, solitamente al ribasso,
            di alcune tariffe e dalla loro commisurazione, per la prima volta, in centesimi di lira. 
            In particolare, venne ridotta la tariffa per la spedizione di giornali e stampe, col chiaro
            intento di favorire la circolazione delle idee liberali tra i cittadini. Si predispose poi, a
            seguito dell'entrata in guerra contro l'Austria della Toscana a fianco del Piemonte e della
            Francia (decisa dal Governo Provvisorio il 25 maggio), un servizio di posta militare
            a servizio della Divisione Toscana, munito del raro timbro di franchigia "Posta Militare
            Toscana". 
            Col 1° novembre 1859 la Toscana adottò formalmente la lira italiana suddivisa in cento
            centesimi in sostituzione dell'antica monetazione non decimale, che comunque mantenne
            valore legale fi no al 15 luglio 1860; il cambio venne stabilito in 7 centesimi per
            crazia. Ormai i tempi erano maturi per sostituire i francobolli ex granducali con altri
            più rispondenti alla mutata situazione politica. Il Decreto del 28 novembre 1859 a firma
            di Ricasoli – che mirava ad assimilare le norme postali toscane a quelle degli altri
            ex ducati del centro Italia, dove stavano man mano diffondendosi le tariffe sarde - prevedeva
            per il 1° gennaio dell'anno successivo la nuova emissione di francobolli recanti
            lo stemma dei Savoia, voltando così decisamente pagina nella storia filatelica della Toscana. 
          
             
             
            L'emissione "patriottica" del 1° gennaio 1860 
          «Il francobollo postale toscano è un rettangolo alto 23 millimetri e largo 19, rappresentante
            lo stemma di Savoia: nella base ha l'indicazione del prezzo, e negli altri lati
            la leggenda francobollo postale toscano» (art. 29, Decreto del 28 novembre 1859). La
            volontà del Governo Toscano di unirsi al Regno di Sardegna era tanto determinata che
            per emettere i nuovi francobolli con lo stemma dei Savoia non si attese neppure l'esito,
            peraltro scontato, del plebiscito dell'11 e 12 marzo. Più cauta la scelta di altri governi
            provvisori reggenti gli altri ex ducati: i territori parmensi e quelli della Romagna ex
            pontificia, ad esempio, prescelsero dei soggetti incentrati sul valore facciale del francobollo,
            evitando ogni riferimento politico o dinastico. 
          
            
              | 
               
                
              Striscia di tre del centesimo con bordo di foglio in basso e linea della composizione.  | 
             
            
              |   
                
              Circolare a stampa spedita da Livorno a Prato, affrancata con un esemplare da 1 
            cent., tassata per 19 cent. in quanto contenente scrittura aggiunta alla stampa. 
               | 
             
            
              | 
                 
              
                
              Lettera con coppia del 5 cent. da Prato per Antignano. 
               | 
             
            
              
                
              5 cent. verde giallastro con 
            cerchio semplice tipo sardo di 
            Castiglion Fiorentino. 
              | 
              
                
              Coppia del 10 cent. angolo di foglio (posizione 225-6) 
            con annullo azzurro di Firenze. 
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              | 
               
                
              20 cent. con annullo a 
            sbarre di Siena. 
              
                
              20 cent. su lettera da Livorno per Napoli, tassata in arrivo. 
               | 
             
         
           
            Vi erano del resto ottime ragioni per procedere in Toscana ad una nuova emissione di
            francobolli e per mandare fuori corso, con lo spirare dell'anno 1859, i vecchi e gloriosi
            Marzocchi. Anzitutto, la scarsità di scorte di francobolli granducali, che non sarebbero
            bastate a lungo; in secondo luogo il cambio di monetazione, che rendeva obsoleti
            i valori in quattrini, soldi e crazie mentre faceva emergere la necessità di approntare
            nuove carte valori in centesimi e lire; infi ne, il mutato scenario politico, che rendeva il
            Marzocco una simbologia inattuale se non persino offensiva verso la sempre più chiara
            autorità sabauda nei confronti del popolo toscano. Così, col 31 dicembre 1859, i bolli
            granducali andarono inesorabilmente fuori corso. E' del tutto eccezionale il loro uso
            nei primissimi giorni dell'anno successivo, mentre non sono note affrancature miste
            con esemplari dell'emissione "patriottica". 
          
            
              | 
               
                 | 
              40 cent. con bordo di foglio a destra 
            e linea della composizione. | 
              
               L'80 cent. carnicino (ex coll. 
            Caspary, Seta, Luxus).  | 
              
                | 
             
            
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              Lettera da Firenze per Lione affrancata con 40 cent. (ex coll. Pedemonte) . 
               | 
             
         
          La cornice e le diciture dei francobolli granducali, privi di qualsivoglia riferimento alla
            deposta casata dei Lorena, furono ritenute idonee anche per la nuova emissione. Del
            resto i tempi per la realizzazione della serie erano piuttosto stretti e qualsiasi risparmio
            - di tempo, di manodopera, di materiale – giungeva certamente gradito alla Soprintendenza
            delle Poste. Si volle però adottare un emblema più politicamente significativo
            rispetto al Marzocco. La scelta cadde sullo stemma dei Savoia, e fu probabilmente il
            Niderost, lo stesso incisore dei conii del 1851, ad eliminare da una matrice il leone
            d'Etruria, scolpendo in sua vece lo scudo sabaudo. L'incisore ripulì il conio limandone
            leggermente la parte in rilievo, quindi provvide a diversi passaggi per la fusione degli
            stereotipi; ne derivò un risultato estetico di qualità nettamente inferiore rispetto
            all'emissione del 1851: anche un occhio poco esperto può notare la scarsa messa a fuoco
            del soggetto e la maggiore dimensione dei caratteri della dicitura Francobollo postale
            toscano. Lo stesso stemma sabaudo fu tratteggiato con approssimazione, ma ne vennero
            comunque posti in risalto gli elementi salienti: la croce centrale e la corona reale,
            quest'ultima un poco sbilanciata verso sinistra. 
            Sempre per comprensibili esigenze di risparmio i nuovi valori vennero stampati sulla
            carta filigranata a linee ondulate propria della seconda emissione apparsa nel 1857, carta
            di cui con tutta probabilità la Soprintendenza delle Poste possedeva ancora un certo
            quantitativo. La presenza della scritta diagonale II e RR Poste Toscane - seppure incongruente
            rispetto al soggetto patriottico dell'emissione, con quell'asburgico "Imperiali e
            Reali"– non venne evidentemente considerata di troppa importanza; del resto tale dicitura
            era visibile solo in trasparenza e non sarebbe stata mai intelligibile su francobolli
            sciolti. 
            Sette i valori emessi: 1, 5, 10, 20, 40, 80 centesimi, ed il raro 3 lire. Nessuno dei valori
            in centesimi è particolarmente raro usato; al contrario, il 5, il 10, il 20 e il 40 centesimi
            sono decisamente comuni. A dire il vero, il loro pregio collezionistico varia considerevolmente
            in base allo stato qualitativo, che in media è assai scarso specialmente
            con riguardo ai margini, quasi sempre intaccati. Esemplari di qualsiasi valore splendidi
            per marginatura, freschezza del colore, integrità della carta e pulizia dell'annullo (leggero,
            mai deturpante e possibilmente in angolo, così da lasciar libero il disegno) sono,
            come per i Marzocchi, assai pregiati e diffi cili da inserire in collezione. Un discorso a
            parte merita il leggendario "Tre lire di Toscana", francobollo simbolo della filatelia italiana
            e sogno proibito per molti collezionisti. Sono note soltanto due lettere affrancate
            col 3 lire; una proviene dalla collezione Rothschild e l'altra da quella del re egiziano
            Faruk, e vanno collocate tra le massime gemme del collezionismo mondiale. Molto rari
            anche gli esemplari usati sciolti, difficilissimi a reperirsi in stato di conservazione accettabile,
            ed ancor più quelli nuovi. La rarità del 3 lire si spiega tenendo conto del
            suo elevatissimo valore facciale, che ne limitava assai l'impiego. Non va poi dimenticata
            la carica suggestiva di un simile francobollo, che costituisce la prima carta-valore sulla
            quale compare, abbreviata nel cartiglio, la IT. dell'aggettivo "italiano". 
            All'emissione dei nuovi bolli "patriottici" corrispose l'entrata in 
          vigore delle nuove tariffe postali, che per l'interno del territorio toscano risultavano agevolate rispetto a quelle
            sarde; la tipologia di lettera più frequente è senza dubbio quella recante l'esemplare
            singolo da 10 centesimi per coprire il porto di una lettera del primo scaglione di peso
            diretta all'interno della Toscana. 
            La scadenza della validità di questi valori venne formalmente fissata al 31 dicembre
            1861; in realtà gli esemplari "Savoia", il cui utilizzo si fece sempre più scarso a partire
            dal marzo 1861, furono utilizzati e tollerati per tutto il 1862 e fino ai primi mesi del
            1863. Si conoscono pertanto affascinanti affrancature miste sia coi valori della quarta
            emissione di Sardegna che coi corrispondenti valori dentellati distribuiti a partire dal
            marzo 1862. 
          
             
             
            Eccezionali utilizzi della serie "patriottica" 
           
          al di fuori della Toscana  
          La scelta dello stemma sabaudo quale emblema dei nuovi bolli consentì alla serie "patriottica"
            del governo toscano di circolare regolarmente anche al di fuori dei confini
            dell'ex granducato. E' quasi scontato ricordare che l'emissione di francobolli rappresenta,
            al pari di battere moneta o emanare leggi, una manifestazione di sovranità da parte
            dello stato emittente, e che i francobolli possono essere utilizzati per rendere franca la
            corrispondenza soltanto all'interno dei confini della nazione che li ha stampati. 
            Questa regola non valse – o non valse sempre – per l'emissione "patriottica" di Toscana,
            di cui si conoscono interessanti "incursioni" nei territori di altri stati preunitari. 
            Nei primi giorni del settembre 1860 un reparto di volontari toscani, detti "Cacciatori
            del Tevere", al comando del colonnello Luigi Masi, tentò l'invasione dello Stato
            Pontificio con l'intenzione di insidiare Roma. Partiti da Chiusi per Città della Pieve, i
            Cacciatori raggiunsero rapidamente Orvieto, Celleno, Montefiascone, Viterbo, Civitacastellana,
            Corneto, Rignano Flaminio, Castelnuovo di Porto, Fiano Romano e Poggio
            Mirteto. Si era trattato di facili vittorie, in quanto la resistenza dei gendarmi pontifici
            era stata minima. Tuttavia, a fronte delle rimostranze del governo francese, che si atteggiava
            a custode del potere temporale dei Papi, l'8 ottobre il reparto dei Cacciatori
            del Tevere fu costretto a ripiegare ed il 21 successivo l'intero territorio pontificio era
            stato evacuato dalle truppe toscane. All'invasione dei domini della Chiesa da parte dei
            volontari toscani si accompagnò nei territori man mano occupati l'utilizzo dei nuovi
            francobolli toscani, la cui forte "italianità" traspariva dall'emblema sabaudo. 
          
            
              
                | 
              
               40 cent. carminio vivo annullato
            nel Lazio con griglia dei
            Cacciatori del Tevere (migliore
            esemplare noto).  | 
              
               5 cent. verde oliva giallastro 
            usato in Piemonte a Carmagnola, 
            completava l'affrancatura insieme 
            alla striscia di tre nell'unica lettera 
            conosciuta.  | 
              
                | 
             
         
          Conviene precisare che i valori "patriottici" non furono portati nel Lazio dai Cacciatori
            in persona (i quali, come militari in servizio, godevano della franchigia postale), ma
            vennero inviati alle Direzioni postali del Lazio direttamente dalla stessa Soprintendenza
            delle Poste toscane, intenzionata evidentemente a dare corso ad una sorta di piccola
            invasione filatelica dei territori occupati dalle truppe toscane, diffondendo il proprio
            messaggio politico attraverso i francobolli ed anticipando così un utilizzo strumentale
            dei valori postali come efficace mezzo di propaganda che sarebbe stato assai sfruttato
            nel secolo successivo. 
            Oggi non resterebbe infatti eccessiva memoria dei Cacciatori del Tevere se mancasse
            questa per certi versi curiosa testimonianza filatelica attestante la effimera sovranità toscana
            - o meglio sarda - su un lembo di territorio presto restituito al suo legittimo
            sovrano. E non di rado, nelle vicende del nostro Risorgimento, l'utilizzo di francobolli
            di un governo straniero ha contrassegnato la breve occupazione di territori contesi:
            esemplare è il caso dell'Oltrepò Mantovano, ove nel 1859 per uno spazio di pochi
            mesi vennero utilizzati bolli sardi anziché lombardo-veneti. Le lettere giunte sino a noi
            e comprovanti queste eccezionali contingenze - lettere già notevolmente rare, come si
            può intuire - accrescono il loro valore in considerazione dello straordinario messaggio
            storico di cui rimangono uniche e preziose testimoni. I francobolli toscani in centesimi
            sono stati, inoltre, utilizzati in via eccezionale dalle truppe toscane variamente dislocate
            sul suolo italiano tra il 1860 e il '61; si conoscono esemplari ritenuti validi ed annullati
            in uffici postali militari in Emilia, Romagna, Stato Pontificio, Umbria ed ex Regno di
            Napoli. Sono tutti usi rarissimi, come lo sono quelli degli stessi francobolli utilizzati da
            privati cittadini al di fuori della Toscana su lettere non tassate (cosiddetti "usi civili"). 
            Evidentemente in questi casi il richiamo patriottico ed unitario ispirato dall'emblema
            sabaudo venne ritenuto prevalente rispetto alla formale mancanza di valore di un francobollo
            toscano utilizzato al di fuori dello stato in cui era stato emesso. Simili usi sono
            noti in Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Romagna e Umbria. Questo fenomeno,
            pur eccezionale, non rimase isolato: anche alcuni esemplari con l'effige di Vittorio
            Emanuele emessi nel febbraio 1861 per i territori delle ex province napoletane vennero
            sporadicamente utilizzati in altri ex stati italiani proprio in grazia, per così dire, di questo
            patriottico lasciapassare. 
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