Torna alla Posta Transatlantica
pagina iniziale le rubriche storia postale filatelia siti filatelici indice per autori
La "Cloche de Shinagawa"
di Sergio Castrucci

Un originale "romanzo" di Sergio Castrucci, tratto dall'articolo di Luigi Impallomeni:
"Il giro del mondo in 90 giorni con soli 25 centesimi"

(il racconto, pubblicato in anteprima su "il postalista", ha vinto il FIORINO D' ARGENTO
nell'edizione 2003 del Premio Firenze - sezione "racconti")




Fu quella curiosa busta l’inizio di tutto: una busta affrancata con un “venticinque centesimi” azzurro del 1879 recante l’effigie, in ovale, di Umberto I° Re d’Italia. Questa busta banale, con un’affrancatura banalissima, partì da Venezia il primo di gennaio del 1889 diretta a Il Cairo, Hotel Stephanel, e giunse a Yokohama il 29 di marzo dopo aver perduto per strada tutta la sua banalità. Le circa venti tappe attraverso cui si snodò il suo viaggio furono le stesse del suo destinatario che ad ogni partenza, mentre regolava il conto con l’albergo, lasciava l’indirizzo dell’albergo di destinazione quale nuovo recapito per l’eventuale posta in arrivo. Ad ogni tappa l’addetto dell’albergo di turno cancellava con un frego il vecchio indirizzo (che restava comunque leggibile) e allo stesso tempo arricchiva la busta con l’indirizzo del nuovo albergo. Non basta: sul retro della busta, i vari uffici postali da cui transitava apponevano il loro timbro con tanto di luogo e di data; una ventina appunto. Il risultato finale è altamente spettacolare: una busta fisicamente provata ma con l’indicazione rigorosa dei luoghi e delle date di transito nonché, sul recto, il sontuoso elenco dei vari alberghi visitati, tutti, possiamo assicurare, di grande livello, a iniziare dallo Stephanel del Cairo fino al Grand Hotel Yokohama dove la sfortunata busta, dopo quasi tre mesi e una ventina di tentativi falliti, raggiunse finalmente il suo destinatario. Inevitabile che un oggetto di questa sorta facesse perdere la testa ai filatelici. E qui ci sia consentita una breve considerazione: Non potremo mai condividere la passione di codesti signori, i filatelici appunto, gente che ricevendo una missiva conservano la busta buttandone il contenuto come scimmie pervertite che di una banana mangino la buccia e gettino ai vermi la polpa. Detta in altri termini, che diavolo mai c’era scritto sul foglio di carta che quella busta conteneva e che con tanta burocratica ostinazione inseguì il suo destinatario per ottantotto giorni? La risposta più ragionevole che ci venne al momento fu questa: “non lo sapremo mai”. Eppure quella domanda continuò a tormentarci per diversi giorni durante i quali avanzammo varie ipotesi. La costante di tutte era che la lettera conteneva - doveva contenere - qualcosa che avrebbe certamente modificato o forse addirittura interrotto quel viaggio. Ci eravamo convinti che essa, per il fatto stesso di non riuscire a raggiungere il suo destinatario, un certo Gustave Revilliod, contenesse qualcosa di maledettamente importante e che ogni volta, per un giorno, per un’ora, per un soffio mancasse il suo bersaglio e questo per l’accanimento di un destino beffardo e crudele (in questi casi si dice così).Pensammo ad un giocatore d’azzardo, un professionista (un baro?) , uno di quelli che fanno viaggi lunghi e tappe brevi; per prudenza, per evitare colpi di testa e di mano, ripensamenti, minacce. Oppure ad un uomo innamorato che insegue una donna, una donna che fatalmente gli sfugge, forse perché anche lei costretta a fuggire, chissà da chi, chissà da cosa… Stavamo ancora pensando ad una soluzione plausibile quando improvvisamente il nostro incaricato che stava svolgendo ricerche su quel Gustave Revilliod destinatario della busta, si fece vivo da Ginevra con questo telegramma: 
“Gustave Revelliod grande collezionista et mecenate svizzero nato 8 aprile 1817 morto Cairo 21 dicembre 1890 - stop - tra 1877 et 1887 costruisce Ginevra Museo Ariana su parco 43 ettari per ospitare oggetti d’arte raccolti viaggi Europa Africa Asia - stop – morendo lascia tutto città Ginevra - stop”. Al momento rimanemmo, dobbiamo dire, leggermente delusi, tuttavia dovemmo ammettere che l’età e la nazionalità di questo signore non erano conciliabili col ruolo di amante e di avventuriero che avevamo pensato per lui. Immediatamente però ci trovammo di fronte ad un altro interrogativo: Cosa spingeva un uomo di settantadue anni, a un anno dalla morte e dunque probabilmente già malato e debole, a intraprendere un viaggio impegnativo come quello? La questione era molto delicata. I ginevrini, ci fu detto, sono molto affezionati a questo Revilliod, cittadino benemerito cui sono state dedicate strade, istituti, monumenti. Bisognava usare la massima cautela e ci imponemmo, prima di avanzare ipotesi azzardate, di esaminare attentamente, molto attentamente, i documenti.

Per prima cosa confrontammo i percorsi e i tempi della lettera, e dunque anche di Revilliod, con quelli di un altro viaggiatore, Phileas Fogg, protagonista in quegli anni di un famoso giro del mondo in 80 giorni; essi sono sorprendentemente simili:
Phileas Fogg:
Tratto in piroscafo da Suez (ingresso del canale) a Bombay: 13 giorni;
Tratto in ferrovia da Bombay a Calcutta: 3 giorni;
Tratto in piroscafo Calcutta - Honk Kong - Yokohama: 19 giorni (13+6)
Gustave Revilliod:
Tratto in piroscafo da Porto Said (uscita del canale) a Bombay: 12-13 giorni (6/2 - 18/2 1889);
Tratto in ferrovia da Bombay a Calcutta: 3-4 giorni (18/2 - 22/2 1889);
Tratto in piroscafo Calcutta a Yokohama: 24 giorni (25/2 - 21/3 1889):
  
Su quest’ultimo tratto c’è da dire che i viaggiatori che giungevano a Bombay da Occidente e che intendevano proseguire per l’Oriente, preferivano fare in ferrovia il tratto Bombay-Calcutta (ultimato in quegli anni) riprendendo quindi la navigazione da Calcutta anziché fare il periplo dell’India passando da Ceylon. Anche Revilliod fa così, solo che transita comunque da Colombo da dove il 9 di marzo la lettera parte su un piroscafo veloce che in soli 12-13 giorni la depositerà a Yokohama. Evidentemente a Calcutta Revilliod non trova un piroscafo in partenza per Yokohama (non ne partono certo tutti i giorni!) e ripiega quindi sull’antica linea Colombo-Yokohama. In ogni caso sembra che il settantaduenne e probabilmente malandato Revilliod, stia correndo più o meno come Phileas Fogg in un viaggio concitato, con pochi bagagli e con molti soldi in tasca, verso Yokohama. Le tappe di questo viaggio sono tappe tecniche, soste per preparare la tratta successiva e non già per fare acquisti e vendite o per partecipare ad aste: Stavolta Revilliod non ha tempo per tutto questo, stavolta ha fretta, una fretta maledetta di arrivare a Yokohama. Perchè questa fretta? Cosa deve fare Revilliod a Yokohama? Chi deve incontrare?

Ci accorgemmo ad un certo punto che anche il nostro interesse, così come la famosa lettera, stava viaggiando lungo un percorso a tappe spostandosi in un primo tempo dalla busta al suo contenuto e successivamente da qui al suo destinatario e in ultimo da questi al motivo stesso del suo viaggio. La busta, qualunque messaggio avesse contenuto, restava in fondo solo una testimonianza, una traccia dei passaggi di Revilliod, una sorta di filo d’Arianna steso fra il punto di partenza e l’inconsapevole viaggiatore lungo i suoi spostamenti, ed era -guarda caso- proprio “Ariana”, versione francese di “Arianna”, il nome del museo fondato da Revilliod. Sapevamo che Revilliod aveva scelto quel nome in memoria della madre che così si chiamava, nondimeno interpretammo quella coincidenza come un segno del destino, come se la chiave dell’enigma, l’altro capo del filo, stesse proprio lì, in quel museo. Oppure nel suo parco; già, proprio in quel parco ove ancora all’inizio del ‘900 faceva bella mostra di sé una campana, una misteriosa campana giapponese, la “Cloche de Shinagawa”. Demmo incarico al nostro corrispondente a Ginevra di svolgere accurate indagini su quell’oggetto ma, nonostante il lauto compenso che gli anticipammo, fu in grado di fornirci unicamente la versione ufficiale dei fatti: “Il tempio di Honsen a Shinagawa, sobborgo di Tokio, possedeva una campana fusa nel 1657 a Kyoto, dono del quarto Shogun della dinastia Togukawa che governava il Giappone dell’epoca. Questo capolavoro di scultura e di fonderia scomparve misteriosamente dal Giappone dopo l’incendio del tempio avvenuto nel 1867 durante i sommovimenti che portarono alla caduta degli Shogun e al ripristino del potere imperiale. Essa riapparve nel parco del museo Ariana dove Revilliod l’aveva posta dopo averla acquistata nel 1873 per 3186 franchi dalle Fonderie Ruetschi di Aarau, costruttori di campane e di cannoni, salvandola così dalla fusione.” Bene, questa era la versione ufficiale dei fatti ma anche - non siamo nati ieri - versione sicuramente di comodo.

Anzitutto in un Giappone di metà ottocento, appena uscito da secoli di chiusure feudali e mentali, è abbastanza difficile immaginare personaggi tanto disinvolti da far sparire un oggetto di culto amato e venerato come quello per andare a venderlo in Europa a suon di franchi svizzeri.

Quand’anche poi tali personaggi fossero davvero esistiti ci chiediamo quale tornaconto avrebbero mai tratto costoro da un’impresa che comportava i rischi e i costi di un trasporto avventuroso per mare e per terra, con l’unico ricavo del prezzo che può pagare una fonderia svizzera per una tonnellata di bronzo da fondere. E dunque, se proprio si voleva fondere, perché non farlo fare in Giappone anziché nella lontana Svizzera? Evidentemente, al momento del “passaggio”, la campana doveva trovarsi già in Europa, probabilmente fattavi giungere per scopi culturali o di rappresentanza da qualcuno che aveva i mezzi per farlo o il potere per farlo fare. Ma soprattutto, perché mai fondere un oggetto d’arte come quello? Perché di un oggetto d’arte si trattava. Chiunque, svizzero o giapponese, l’avrebbe capito a prima vista ed esistevano vivaddio anche allora fior d’antiquari e di collezionisti che per esso avrebbero pagato ben altre cifre! Revilliod era appunto uno di questi. Anzi, Revilliod era qualcosa di più: era uno di quelli che si innamorano degli oggetti e che talvolta per essi commettono imprudenze e follie. Fortunati e ricchi, costoro fanno spesso la fortuna e la ricchezza di personaggi senza scrupoli: ladri, ricettatori, concussori. Meditava Revilliod, ne siamo certi, nei suoi lunghi e comodi viaggi, meditava su quanto diversa fosse una campana occidentale da una orientale. Nella prima è la campana che, muovendosi, colpisce il batacchio centrale, concettualmente fermo; nell’orientale è il contrario: la campana sta ferma ed è il batacchio, esterno ad essa, che viene mosso in qualche modo e che va a colpirla. Il risultato sonoro può essere identico, ma quale differenza di metodo! “Ecco,” deve aver pensato ancora Revilliod, “il batacchio è l’uomo e la campana è tutto il resto, il cosmo: l’occidente, individualista ed egocentrico, ha posto l’uomo al centro dell’universo, creato per lui e che intorno a lui ruota. La visione orientale, copernicana, è opposta: il cosmo è lontano, immobile e assoluto ed è l’uomo che compie un viaggio, un percorso che lo porterà a ricongiungersi ad esso.” Dio solo sa quanto Revilliod abbia pagato quella campana ma quasi certamente dai giapponesi la comprò lui; probabilmente da qualche funzionario o da qualche diplomatico corrotto, e anche questo non lo sapremo mai. Quel che è certo è che l’”acquisto” deve essere stato fatto di nascosto, “al nero”, con tutte le precauzioni atte a salvaguardare l’onorabilità di quegli ambigui personaggi. Ora, finché fece parte della collezione privata di Revilliod quella campana ne fu uno dei pezzi di maggior prestigio ma quando, insieme all’intera collezione e al parco che l’accoglieva, fu donata alla città di Ginevra la sua ingombrante visione divenne oltremodo imbarazzante: prima o poi qualcuno l’avrebbe riconosciuta, forse il governo giapponese ne avrebbe addirittura richiesto la restituzione e nessuno sarebbe stato in grado di giustificarne la presenza nel parco dell’Ariana. La mancanza di un qualunque atto di cessione o di vendita, di una minima “pezza d’appoggio” gettava un’ombra di dubbio sulla legittimità di tale presenza e inevitabilmente sull’origine stessa dell’intera collezione. Se questa situazione sarebbe stata grave in un qualsiasi altro paese, in Svizzera diventava addirittura intollerabile. Quando, poco dopo la donazione e l’inaugurazione del parco avvenuta nel 1887, Revilliod si rese conto di questo, pur nelle condizioni di età e di salute che sappiamo, decise di compiere il famoso viaggio in Giappone, a Yokohama. Lì qualcuno convinse, qualcuno comprò e il risultato fu questo: le Fonderie Ruetschi avevano acquistato in anni lontani la campana da alcuni personaggi giapponesi di comodo (se non addirittura inventati) e l’avevano rivenduta a Revilliod, con un atto retrodatato addirittura al 1873, al di là di ogni limite di impugnabilità. Con ciò la campana, la collezione e lo stesso Revilliod erano al sicuro; Alle Fonderie Ruetschi, che oltretutto avevano agito nel loro legittimo interesse di impresa, nessuno sarebbe andato a chieder conto e ragione di quelle transazioni un po’ strane. Quanto ai Giapponesi, convinti in qualche modo da Revilliod, tacquero per molti anni, fino al 1919 quando, in visita al parco dell’Ariana, “scoprirono” improvvisamente il sacro arredo e a quel punto fu giocoforza restituirlo. Revilliod, estetizzante epigono di Vanni Fucci, sistemate dunque tutte le sue faccende poteva ora morire elveticamente in pace, sanza il timore di essere inseguito da qualcuno oltre la morte e raggiunto all’inferno; e questa cosa - il morire - lui fece puntualmente un anno dopo, nel 1890. Quanto alla campana come abbiamo detto fu restituita. I giapponesi ricambiarono con una lanterna Zendoji da giardino recante impressa una frase tratta dalla iscrizione dedicatoria della campana. La sua traduzione, ultima spesa sostenuta, suonò come convalida e suggello dell’indagine:

“La luce della saggezza dissipa tutte le oscurità”
La cloche de Shinagawa, fondue en 1657 à Kyoto, cadeau du quatrième shogoun de la dynastie des Togukawa, disparut mystérieusement dans la seconde moitié du 19ème siècle.Elle fut retrouvée dans le parc du Musée Ariana où son fondateur, Gustave Revilliod (1817-1870) I'avait placée après l'avoir achetée à la Fonderie Ruetschi d'Aarau.

pagina iniziale le rubriche storia postale filatelia siti filatelici indice per autori