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C'era una volta... la bicicletta

di Pasquale POLO (PHILASPORT n. 84)

L'amico Nino Barberis mi raccontava che nella primavera del 1933 ebbe l'opportunità di fare un giro sul piazzale della stazione di Domodossola con la bicicletta di Domenico Piemontesi. Era una delle prime bici in alluminio, leggerissima: pesava solo sette chili. Piemontesi era mitico fra i ragazzini di allora per il suo motto "O la va o la spacca!". Oggi abbiamo biciclette in titanio e in fibra di carbonio, che si sollevano con due dita. Cento anni fa non era così: con la bicicletta di Ganna, oggi, uno farebbe una fatica cane ad andare da Roma a Ostia, anche su una strada liscia come un biliardo.
Figurarsi come dovevano essere le biciclette "da viaggio". Come filatelista non sono mai riuscito a separare nettamente il "ciclismo" come competizione dall'uso della bicicletta di tutti i giorni. E anche nelle mie ricerche ho sempre ficcato il naso non solo nella parte sportiva della faccenda, ma anche nella "storia" delle due ruote. Voglio riferire alcuni gustosi spunti che ne ho ricavato.

A fine Ottocento il mezzo a pedali era chiamato indifferentemente al femminile "bicicletta" o al maschile "bicicletto" e si aveva il dubbio che fosse un mezzo "che nuoceva gravemente alla salute", non solo - ovviamente - per il fondo schiena e organi circostanti, ma anche per presunte deformità ai piedi provocate dai pedali.
Un certo Vincenzo Monaco, avvocato, si prese la briga di pubblicare un decalogo di consigli per l'uso della bicicletta. A parte l'ineffabile suggerimento di "evitare le strade polverose", ve ne sono altri abbastanza originali, accanto a quelli utili. Per esempio quelli di non staccare mai le mani dal timone (il manubrio), di rasentare sempre il marciapiedi, di scendere in prossimità di capannelli di persone. Mai usare il revolver contro i cani randagi, semmai lanciare loro delle pietre; mai accogliere le provocazioni dei cavallanti o rispondere alle ingiurie dei conducenti dei tram. Contro i monelli è preferibile usare il frustino.

Il primo numero del bisettimanale "La bicicletta", edito a Milano, porta la data 22-23 aprile 1894: era di colore rosa, colore poi ripreso dalla "Gazzetta dello Sport" e tra i redattori c'era Vittorio Luigi Bertarelli, che nello stesso anno fondò il TCCI (Touring Club Ciclistico Italiano), che nel 1900 mutò il suo nome in "Touring Club Italiano", nome che conserva ancora oggi salvo la parentesi nella quale il fascismo ..... suggerì di modificarlo in "Consociazione Turistica Italiana".

In uno dei suoi primi numeri "La bicicletta" pubblicò un supplemento "I preti in bicicletta" che riportava l'elenco dei preti della diocesi di Milano che la utilizzavano per il loro apostolato. Ma il vescovo di Mantova (diventato poi Papa Pio X) aveva vietato ai preti della sua diocesi di usare la bici. In quel periodo su "L'Osservatore Romano" passava addirittura l'idea di un legame tra "bicicletta e anarchia". Chi è mai questo ciclista?, si chiedeva il giornale. "Non è un pedone, né un cocchiere, né il macchinista di un treno e non è nemmeno un animale da tiro. E' invece uno che sfugge ad ogni legge di moto, di trazione, di trasporto". Il vero ritratto di un rivoluzionario!