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Le prime tariffe postali del Regno d'Italia
 di Giuseppe MARCHESE (Nuovo Corriere Filatelico n. 40 - 1982)

Collezionare francobolli, o interessarsi di filatelia, è uno dei tanti mezzi per interessarsi di qualche cosa, di conoscere, di approfondire, oltre che di divertirsi o di nutrire un hobby con il quale ognuno, a seconda dei casi, cerca distrazione, desiderio di possesso, e tante altre cose di cui è inutile occuparci in questa sede. Ovviamente la prima cosa in primo piano è il francobollo, collezionato, studiato e sviscerato in ogni minima sfumatura e dettaglio.

Ciò non poteva bastare ed infatti fin dalla fine del secolo scorso si cominciano a intensificare gli studi e approfondire le conoscenze sugli uffici postali e sulla loro più o meno intensa attività nel corso degli anni; ciò comportò lo studio dei vari annulli in uso presso i singoli uffici e di conseguenza venne esaminata la busta in quanto insieme delle componenti francobollo-annullo che si voleva studiare e collezionare.

Un collezionismo più evoluto o solo diverso dal precedente? Dipende dal punto di vista; fatto è che questo sistema di collezionare impone un maggiore impegno da parte del collezionista, una visuale più ampia e una conoscenza dei luoghi e della storia che non è necessaria per chi colleziona i francobolli e ne studia le differenze di colore, le varietà, o lo stato di nuovi e usati.

Tutto questo vasto campo di conoscenza e di ricerca non può essere racchiuso in un solo volume standardizzato, ma diviso in tanti settori, generalmente delimitati geo-politicamente, con sottodelimitazioni temporali secondo una determinata visuale, oppure per alcuni usi particolari di annulli o timbri largamente collezionati.

Dopo 80 o 90 anni di studi e di ricerche indirizzate in questo campo ben poco viene lasciato all'immaginazione. Eppure questi progressi e queste conoscenze non sono ovviamente tutto lo scibile filatelico, anzi direi che le conoscenze filateliche sono ancora una parte minima rispetto alla conoscenza globale e approfondita.

In pratica sono ancora in larga parte inesplorati i capitoli relativi alle comunicazioni postali e che riguardano:

- vie di comunicazione;
- mezzi di comunicazione;
- leggi e tariffe postali.

Questa semplice enumerazione non deve trarre in inganno. Dietro queste tre voci vi è un complesso sistema di comunicazioni che, iniziato circa cinque secoli fa, si è andato man mano sviluppandosi, modificandosi nel tempo sino a raggiungere quelle dimensioni macroscopiche di oggi.

In questa prima parte si spera di dare un contributo a quanto fino ad oggi noto sulla "storia postale" nel suo complesso in un periodo ben definito e circoscritto che va dal 1° gennaio 1863 al 31 dicembre 1864.

A base di quest'argomentazione vi è la Legge del 5 maggio 1862 che estendeva a tutto il territorio del nuovo regno l'ordinamento postale in vigore nel regno di Sardegna. Ad integrazione di questa Legge si è fatto ricorso al D.L. del 21 settembre 1862 quale regolamento di attuazione della Legge stessa.

Il testo della legge 5.5.1862 in definitiva contemplava soltanto le tariffe per l'interno. Infatti con la nuova normativa fu esteso in tutti i nuovi territori il sistema della tariffa unica per l'interno, salvo il porto del distretto postale, a prescindere dalla distanza.

Anche se questa disposizione era stata già praticamente attuata nei territori meridionali e centrali di nuova acquisizione, con questa legge si soppiantava definitivamente il vecchio ordinamento così laborioso e antiquato nella sua distinzione per destinazione e per quantità di scrittura - un foglio, un foglio e mezzo - che rendeva, nelle province del regno delle Due Sicilie e nello Stato Pontificio, il servizio postale un gravoso balzello imposto dallo Stato ai cittadini.

Questa situazione normativa rimase vigente fino al 1860 nel Regno delle Due Sicilie e fino al 31.12.1863 nello Stato Pontificio, mentre la necessità di un ammodernamento delle tariffe veniva avvertita in Sardegna fin dal 1850, sulla scia di quanto già praticato in Francia e in Inghilterra, a cui si adeguavano di lì a poco anche l'Austria e gli altri paesi dell'Europa per forza di cose costretti a una gara di basse tariffe e di ammodernamento del servizio per battere la concorrenza agguerrita degli altri Stati. La Sardegna più che mai avvertiva quest'esigenza di tariffe concorrenziali stretta com'era fra la complessa macchina postale austriaca che cercava di soffocare i traffici sardi per terra, avendo la preponderanza di quelli di mare, e quella francese che mirava ad avere il predominio marittimo nel Mediterraneo verso la penisola iberica, in concorrenza anch'essa con l'Austria che aveva il predominio verso il Levante e gli Stati Germanici e in genere con l'Europa centrale. Il nostro Stato si trovava così nel mezzo di una dura guerra diplomatica, combattuta sul fronte postale a colpi di convenzioni internazionali miranti a far avere la preferenza alla propria rete postale con una serie di agevolazioni e basse tariffe reciproche.

Tornando al sistema delle Tariffe Sarde si riscontra che nella relazione del senatore Antonio di Pollone al parlamento sabaudo del 12.4.1850, questi elencava una serie di motivi che imponevano una tariffa unica per tutto il territorio, in luogo delle tariffe per zone da pagarsi sulle distanze lineari tra l'ufficio postale di partenza e quello di destinazione. Per renderci meglio edotti delle valide ragioni del Pollone riportiamo le considerazioni finali del documento:

"... Insomma, colla tassa unica, si solleva il pubblico dal peso della attuale tariffa;

Si soddisfa ad un voto generalmente espresso;

Si facilitano le transazioni commerciali;

Si porge maggior agio alle classi le più interessanti della società di dare sfogo ai sentimenti di famiglia;

Si toglie un impellente motivo di contrabbando;

Si agevola la conclusione di convenzioni colle potenze estere;

Si rende men difficile l'attivazione del servizio postale in Sardegna sulle stesse basi di quello di terraferma.

Si reca un immenso vantaggio all'amministrazione, e quindi al pubblico, in quanto che si semplificano tutte le sue operazioni, sopprimendo la tassazione e la verificazione delle lettere semplici; e così si acquista facilità, rapidità e si antivengono errori;

Si assicura una più sollecita distribuzione;

Si ottiene più facile e particolarizzata una compiuta statistica numerica delle lettere in circolazione.

A tutti questi vantaggi un solo inconveniente si contrappone: la prevista perdita pel tesoro durante quattro anni, perdita tuttavia che viene largamente compensata dagli enumerati vantaggi, che ad ogni modo non si può dire vera perdita, perché si rivolge a benefizio del pubblico, e che in fine, ogni cosa concorre a dimostrarlo, non solamente cesserà nel giro di cinque anni di essere perdita, se tale si vuol dire, ma sarà convertita in progressivo aumento dei prodotti".

Sono argomentazioni le quali dimostrano una attenzione dell'amministrazione postale verso i problemi dei cittadini, cosa che francamente non ha riscontro nelle altre amministrazioni "italiane" dell'epoca.

L'altra caratteristica della legge postale che stiamo esaminando riguarda le tariffe postali per l'interno.

È d'uopo ricordare che nel periodo in esame vigeva il sistema delle convenzioni tra i singoli stati i quali si accordavano formalmente sulle reciproche tariffe da praticarsi sia per le lettere dirette nei reciproci territori, sia per le lettere in transito attraverso gli stati firmatari.

Anzi questo aspetto delle convenzioni postali era ancora materia di una lunga guerra diplomatica non solo per il lucro che ne ricavava lo Stato di transito - in Sardegna una lettera in transito era tassata c. 20 come per quella in partenza - ma anche per il vantaggio "politico" di avere la propria rotta preferita, e quindi sostanzialmente finanziata, rispetto alle rotte degli "avversari". Infatti l'avere un intenso traffico postale permetteva di sviluppare la propria organizzazione con un piccolo vantaggio sulle nazioni concorrenti - cosa che noi possiamo solo immaginare. Sotto questo aspetto per vari decenni vi fu una guerra accanita tra Sardegna e Austria da un lato per il controllo delle vie di terraferma, e tra Francia e Austria dall'altro per la supremazia delle vie di mare tra i vapori imperiali francesi e quelli del Lloyd austriaco.

Testimonianza di questo traffico sono le famose annotazioni manoscritte del porto da pagare che ogni amministrazione segnava sulla busta e sui propri registri e che poi alla fine del tragitto si sommavano fino a portare alle volte a cifre irragionevoli.

Nel periodo in esame questa guerra era in effetti quasi terminata. Infatti, per ridurre i lunghi e costosi conteggi relativi a ogni singola lettera, le convenzioni stipulate in quegli ultimi anni stabilivano il transito attraverso lo Stato in valigia chiusa e il pagamento del porto a Kg. di posta.

Con questo ultimo accorgimento si eliminavano il carico e scarico nel registro della posta transitata e le annotazioni e i bolli sulla soprascritta delle lettere - la qual cosa è un indubbio snellimento nelle pratiche burocratiche degli uffici postali di confine.

Un'ultima considerazione prima di passare all'esame della legge postale vera e propria.

Il servizio postale nacque e si sviluppò con una caratteristica che noi contemporanei non conosciamo; infatti, salvo casi sporadici o particolari, il porto della lettera veniva pagato a destinazione. Questa prassi era una mentalità talmente radicata che neanche la riforma postale e l'introduzione del francobollo di Sir Rowland Hill modificarono. Ciò era dovuto a tanti fattori, quali il prezzo esorbitante del trasporto postale e la precarietà dei collegamenti, che facevano preferire il pagamento alla consegna.

Ovviamente questo metodo non era gradito all'amministrazione, sia perché tale scelta determinava un notevole lavoro burocratico di trascrizione in vari registri del passaggio della posta, sia perché alimentava la piaga delle lettere cadute in rifiuto, di quelle lettere cioè che recapitate al destinatario venivano respinte con il rifiuto di pagare la tassa postale.

Per scoraggiare questa prassi venne quindi introdotto, prima in Francia e poi anche in Sardegna, il sistema di aumentare la tariffa postale per le lettere spedite in porto assegnato: nel nostro caso per la prima volta le lettere non affrancate furono assoggettate alla penale del doppio porto.

Lettere in franchigia, non passate per posta e non francate.

Mettiamo assieme questa "accozzaglia" anche se ogni tipo di lettera ha uno sviluppo diverso. Ciò che li unisce è la scarsa attenzione, anzi la disaffezione, di cui sono oggetto da parte dei collezionisti.

Per quanto riguarda le lettere in franchigia, queste abbondano e sono comuni a ritrovarsi. La loro caratteristica è quella di avere sulla sinistra in basso un timbro o un'annotazione manoscritta e la firma del funzionario che aveva diritto alla franchigia, in quanto questa era concessa alla carica "pro tempore" e non all'ufficio in generale.

Esistono anche lettere non passate per posta e ciò quando avviene con mezzi privati non sembra rilevante. Ci interessa invece quando questo trasporto avviene in modo particolare e in qualche modo collegabile al servizio postale: per esempio, in Sicilia era usanza ampiamente tollerata che il capitano di un battello cui veniva affidato un collo potesse prendere anche una lettera di "accompagnamento" e recapitarla a destino. Questo trasporto non veniva effettuato dalla posta ma è indubbio che questo tragitto sia interessante dal punto di vista storico-postale. L'art. 3 della Legge 5.5.62 asseriva che il servizio postale sarebbe stato esteso a tutti i comuni del regno entro l'anno 1873. Intanto per quei comuni non serviti da un ufficio postale "il trasporto potrà farsi liberamente a cura dei privati e dei comuni ...".

Questa disposizione fece sì che per un periodo di tempo più o meno breve alcuni comuni potessero inoltrare la corrispondenza al proprio interno senza pagamento di alcuna tassa; tuttavia l'amministrazione delle poste venne incontro a quei comuni che non erano serviti creando le collettorie rurali. In pratica questi potevano richiedere al Ministero delle Poste un timbro lineare di attestazione di provenienza che veniva adoperato dai comuni stessi: il ritrovamento di annulli corsivi di collettorie nel periodo 1863-64 non dovrebbe essere poi tanto comune.

Potevano verificarsi i seguenti casi per le lettere spedite da un paese sprovvisto di ufficio postale:

1) posta interna al comune o diretta a comune vicino sprovvisto di ufficio postale:

a) recapitata senza apposizione di timbri o di segni di tassazione;
b) con il solo corsivo che attesta la provenienza.

2) posta diretta a luogo fornito di ufficio postale:

a) con o senza corsivo di provenienza e segni di tassazione;
b) con o senza corsivo di provenienza, segno di tassazione e annullo di arrivo;
c) con o senza corsivo di provenienza e segnatasse c. 10 in arrivo.

Oltre alle precedenti appartengono alla categoria delle "non francate" anche le lettere spedite senza apposizione del francobollo. Per queste lettere l'ufficio postale di provenienza doveva segnare al recto la tassa da percepire, in decimi di lire italiane, che l'ufficio postale di arrivo doveva riscuotere dal destinatario (Fig. 1), (Fig. 2).

Tariffe postali

È l'argomento principe e sebbene possa sembrare di avere a che fare con poche tariffe, tutte per uso interno, a un esame più approfondito ciò si dimostra errato.

Innanzi tutto la legge esordisce con due importanti principi:
- la lettera viene tassata in funzione del suo peso e l'unità minima viene fissata in 10 gr.; ogni frazione in più farà scattare il doppio della tariffa fino a 50 gr.; oltre tale peso la tassa si pagherà per ogni 50 gr. o frazione.
- la tassa per le lettere si intende fissata per spedizione sia per terra che per mare "coi piroscafi postali".

È un'importante innovazione, con le eccezioni che vedremo in seguito, che permette di sfruttare le immense risorse delle "vie di mare" in una penisola lunga e stretta, con vie di comunicazioni terrestri risibili e insicure.

La tariffa delle lettere fu fissata in c. 15 diminuendo così di c. 5 il porto in vigore già da alcuni decenni. Per le lettere nel distretto venne mantenuta la tassa già esistente di c. 5 e per i militari di truppa la tariffa fu stabilita in c. 10. Per le lettere raccomandate che, si precisava, non dovevano essere gettate in buca ma consegnate agli ufficiali postali i quali ne rilasciavano attestazione, fu stabilita una tassa fissa di c. 30 oltre la normale affrancazione della lettera o plico. Era tuttavia ammessa la possibilità di raccomandare d'ufficio quelle lettere "che contengono e che si suppongono contenere denaro od oggetti preziosi".

Per queste lettere era fatta dall'amministrazione delle poste un'eccezione consentendo l'affrancatura a carico del destinatario, altrimenti non ammessa per le raccomandate, nella misura di c. 30 per il diritto fisso oltre la tassa delle lettere non francate, di c. 30 per il primo porto. Di contro però l'amministrazione postale, vista l'incuria del mittente, non offriva indennità di sorta per una eventuale perdita (per una raccomandata normale la perdita era compensata con un risarcimento di L. 50).

Era ammessa altresì la spedizione di lettere assicurate recanti il valore assicurato scritto in tutte lettere sulla sopracarta. Il limite delle somme assicurate fu fissato in L. 3.000 (per questo servizio al mittente era richiesta la spesa del costo della lettera semplice + la tassa per raccomandazione + c. 10 per ogni 100 lire o frazione di cento lire).

Sia per le lettere raccomandate che per le assicurate era ammessa la richiesta di una ricevuta da parte del destinatario che le poste si impegnavano a recapitare a domicilio dietro pagamento di una tassa di c. 20.

Anche le carte manoscritte e i campioni merci potevano essere affrancati o spediti in porto assegnato e anche per questi il porto era doppio se non affrancati (porto di c. 20 fino a gr. 50 e poi c. 40 fino a gr. 100; la progressione dei porti proseguiva in c. 40 ogni 500 gr.).

Se assieme alle carte manoscritte era inserita una lettera questa doveva essere tassata. Per le carte e i campioni diretti nel distretto era applicata la tassa stabilita per le lettere per distretto. Per i giornali e le stampe era stabilita l'affrancatura obbligatoria in partenza e il sotto fascia. La tassa a cui erano assoggettati era di c. 1 per le stampe periodiche e giornali di peso non superiore a 40 gr.

I fogli di stampa non periodica, le circolari, incisioni, fotografie, carta da musica, opuscoli e libri erano assoggettati alla tariffa di c. 2.

Anche le stampe e le carte manoscritte potevano essere spedite raccomandate: la tassa relativa era sempre di c. 30.

Sia le stampe che i campioni dovevano essere spediti "sotto fascia" intendendo con questa dizione sia il vero e proprio fascettamento del giornale, sia i campioni avvolti e legati con uno spago.


Lettere trasportate via mare

Abbiamo già detto che la tariffa per le lettere trasportate via mare coi "piroscafi postali" era di c. 20. Da notare che i piroscafi postali erano quelli con i quali lo Stato stipulava una convenzione per il trasporto della corrispondenza.

Per i bastimenti mercantili che non facevano servizio per conto dello Stato, le poste ne stipulavano una "a cottimo", riconoscendo al capitano o padrone una retribuzione di c. 5 per ogni lettera e di c. 1 per ogni stampa non eccedente i 40 gr. circolante all'interno del regno e di c. 10 per le prime e di c. 5 per le seconde, se dirette o provenienti da un paese estero.

La tassa a carico dell'utente per l'inoltro con questo mezzo era la somma dell'importo spettante allo Stato più quello dovuto al capitano o padrone. Per poter usufruire di questo mezzo occorreva una espressa indicazione del mittente con nome del bastimento a vapore o a vela che avrebbe dovuto fare il trasporto.

In pratica questa disposizione fu largamente disattesa e il trasporto coi bastimenti mercantili veniva effettuato anche se sulla busta vi era apposta la generica dizione "col vapore" senza indicazione del nome; le lettere inoltrate con questo mezzo non potevano essere raccomandate o assicurate.

Dall'art. 62: "La tassa delle lettere e delle stampe da e per paesi esteri coi quali non vige una convenzione postale, trasportate da bastimenti mercantili, sarà uguale a quella che si riscuote per le lettere e le stampe circolanti all'interno del regno, rispettivamente accresciute della sopratassa di c. 10 per le lettere e di c. 5 per le stampe".

È un chiaro riferimento allo Stato Pontificio, unico stato europeo a non avere relazioni postali con l'Italia, che con questo articolo da un lato si vede ridurre le tariffe di c. 5, mentre dall'altro si sente inopinatamente considerato parte dello Stato sabaudo, suo acerrimo nemico. Infatti se non consideriamo l'art. 62 il porto delle lettere per lo Stato Pontificio sarebbe di c. 30 (20+10), mentre con questa disposizione la tariffa era di c. 25 (Fig. 3).


Lettere espresse

Non proprio di lettere "espresse" si tratta, ma dagli stradali ove erano stabilite stazioni di cavalli si potevano spedire lettere per "istaffetta" pagando la tassa stabilita per le raccomandate - c. 30 - oltre "il prezzo della corsa fissata dalle tariffe per la posta cavalli vigenti nelle diverse province del Regno". Quest'ultima disposizione non risulta molto chiara ed avrebbe bisogno di un ulteriore approfondimento circa le modalità e il sistema delle staffette che, per sommi capi, si sa di tre specie "ordinarie, espresse, corriere", ma che erano cadute in disuso negli anni 1860 e venivano pochissimo adoperate. In ogni caso il costo totale di una lettera "espressa" o per "istaffetta" doveva essere abbastanza alto: inoltre le lettere dovevano essere portate dal mittente in una stazione di posta-cavalli che, se per il Nord più sviluppato (Piemonte-Lombardia-Liguria) poteva essere abbastanza agevole, non lo era certamente per il centro o il sud (Fig. 4).


I francobolli

"Il francobollo postale è un rettangolo alto 23 mm. e largo 20, rappresentante nella base l'indicazione del prezzo e negli altri lati la leggenda: Francobollo-Italia­Poste, e nel centro lo stemma reale".

E ancora: "i francobolli sono di 8 prezzi, cioè:
- da c. uno, di colore giallo;
- da c. cinque, di colore verde-oliva;
- da c. dieci, di colore bruno;
- da c. quindici, di colore verde chiaro;
- da c. trenta, di colore azzurro;
- da c. quaranta, di colore arancio;
- da c. ottanta, di colore roseo;
- da tre lire, di colore violetto".

La prima considerazione, spontanea, è che non vengono presi in considerazione i francobolli fin qui adoperati e cioè i "Sardegna" e i "Sardegna dentellati" dell'emissione del 1862, ritenendoli quindi dei francobolli provvisori da eliminare al più presto non appena pronte le nuove emissioni.

La seconda considerazione è che questi francobolli descritti dagli articoli 67 e 68 del R.D. 21.9.1862 non sono mai esistiti. Infatti si tratta inequivocabilmente dei saggi di Peer Ambiorn Sparre di Stoccolma che proprio il 12 luglio 1862 aveva concluso un contratto quinquennale con il Ministero delle Finanze per la fabbricazione di valori in un unico bozzetto raffigurante lo stemma dei Savoia.

Il fatto che nella legge del 21.9.1862 venissero citati perfino i colori dei francobolli ci induce a pensare che il Conte Sparre fosse molto più avanzato nelle intese con la nostra amministrazione postale di quanto comunemente si pensi - intese che trovano conferma nelle parole di un funzionario del Ministero delle Finanze, in visita nello stesso mese a Parigi: "i macchinari sono a buon punto ... non vi è dubbio alcuno che l'affare dei francobolli possa riuscire in tempo".

Ma una qualche preoccupazione il Ministero delle Poste doveva averla, oppure si trattava di un eccesso di prudenza, perché nello stesso mese di settembre si prese contatto con la De La Rue per la fornitura di francobolli "del formato uguale a quello dei francobolli inglesi, con il ritratto del Re o altro disegno approvato" - come precisa in una lettera William F. De La Rue il 10 Ottobre 1862.

L'abile mossa "del ritratto" dovette incontrare il favore del re e nello stesso tempo far tacere quei funzionari che argomenteranno della legge già approvata con quel "o altro disegno approvato".

Il seguito lo sanno tutti. Il conte Sparre non riuscì a mantenere gli impegni e a consegnare in tempo utile il quantitativo di francobolli e i De La Rue videro la luce nel dicembre del 1863.

Dei travagli dell'amministrazione postale in quell'anno 1863 alle prese con i "Sardegna" che si volevano togliere, con i tipi Sardegna e i litografati commissionati a una stamperia di modesta levatura, costretta a stampare in litografia, nei decreti non vi è cenno. Ma di questo eccezionale anno filatelico, il 1863, ci rimangono le più belle miste, le più interessanti affrancature, una ricchissima bibliografia filatelica da approfondire e su cui innestare gli altri dati di storia postale.

È stato già accennato che nel 1863 era ancora radicato l'uso di non affrancare le lettere e di spedirle in porto assegnato. In questo caso le poste si limitavano a segnare sull'indirizzo della lettera la tassa da percepire; non era previsto l'uso di segnatasse.

Con il 1° Gennaio 1863 venne adottato un francobollo da c. 10 da servire esclusivamente per le tasse "delle lettere da distribuirsi nel distretto dell'ufficio di impostazione e di quelle raccolte e distribuite dai portalettere rurali ...". L'innovazione del segnatasse pare sia stata introdotta per evitare che la lettera nata e distribuita nell'ufficio potesse essere recapitata senza tassazione (Fig. 5).


Le affrancature

Dal punto di vista delle affrancature il periodo tariffario si divide nettamente in due parti: il 1863 con i suoi numerosi francobolli "provvisori" e "tappabuchi" quali i Sardegna non dentellati, il c. 2 e il c. 15 tipo Sardegna, i c. 15 litografati, cui si aggiunsero dal dicembre i "De La Rue". L'altro periodo è il 1864, assolutamente normale e nel quale i "De La Rue" sono gli unici francobolli disponibili sul mercato.

Nel campo delle affrancature un capitolo a parte, importante, meritano le affrancature miste per il fascino, l'interesse, e la notevole attrazione che esse emanano (Fig. 6).

Le affrancature miste si possono dividere in tre tipi di rarità:

a) miste "temporali". La rarità tiene conto del periodo di tempo in cui i valori restarono in corso. Di questo gruppo le rarità maggiori sono le miste formate dai "De La Rue" e i Sardegna non dentellati e tutti gli altri valori in corso nel dicembre del 1863 con cui poterono affrancarsi e formarsi questi eccezionali documenti;

b) miste "nominali". La rarità tiene conto della minore possibilità di accoppiamenti. Le miste più rare sono ovviamente quelle con uguale valore nominale, alle quali fanno seguito le affrancature strane o inconsuete;

c) miste tra francobolli e segnatasse. L'uso del segnatasse come francobollo ordinario assieme a altri francobolli è un caso fortuito e straordinario di cui si conoscono pochi esempi. Ma, se ci si pensa, altrettanto raro deve essere l'accoppiamento di un francobollo con il c. 10 segnatasse usato in arrivo, cioè per tassare una lettera insufficientemente affrancata, in quanto neanche questo era il suo uso legittimo. Comunque l'uso più comune dei segnatasse è, caso paradossale, in affrancatura "mista" con i francobolli dello stato Pontificio (Fig. 7).

Lo Stato Pontificio aveva rotto i rapporti diplomatici e postali con la Sardegna nel 1861 a seguito dell'invasione delle Marche da parte delle truppe sabaude: da quella data e fino al 1867 i due stati confinanti si ignorarono totalmente. Ne derivava che una lettera spedita dallo Stato Pontificio poteva essere affrancata solo sino al confine. Quindi le lettere provenienti dallo Stato Pontificio al loro ingresso in Italia erano sprovviste di porto e, benché non rientranti tra la categoria delle lettere da tassare con il segnatasse ma solamente in numerario, di norma venivano tassate con una coppia del c. 10 segnatasse che quasi sempre ricopriva il francobollo pontificio a voler visivamente eliminare qualunque riferimento a quello Stato.

Questo metodo doveva essere usato, di regola, solo per le zone confinanti con lo Stato Pontificio e non per le lettere dirette in posti per i quali poteva benissimo essere adoperato il sistema allora in uso.

Ma questa anomalia ci permette di avere degli interessanti documenti di storia postale che, sebbene abbastanza frequenti a incontrarsi, non sono affatto comuni.


Gli annulli

Durante il 1863-64 il bollo più comunemente adoperato è il doppio cerchio per le province del Nord (Piemonte, Liguria, Sardegna), mentre per la Lombardia e l'Italia centrale e meridionale vi è un'enorme confusione, dai "ducali" ai "provvisori", ai "sardo-italiani" (Fig. 8). L'Amministrazione postale italiana si sforza di consegnare agli uffici postali i bolli di nuova fornitura, ma non sempre questo è possibile. Molti uffici, generalmente di scarsa importanza, non vennero dotati del famoso doppio cerchio: se si scende al Sud notiamo come, specie in Sicilia, l'uso del doppio cerchio sia circoscritto a pochi uffici di nuova istituzione e agli uffici principali dei capoluoghi di provincia sul finire del 1863. Comunque il suo uso è notoriamente più raro di quanto non dicano i cataloghi specializzati in materia (Fig. 9).

Solo limitando la ricerca al campo del doppio cerchio e sul suo uso nel 1863-64 si potrebbe impiegare una vita.

Vedi anche (Fig. 10), (Fig. 11).

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