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I Campi di concentramento nel mantovano durante la prima e la seconda Guerra Mondiale
Sergio Leali

PRIMA GUERRA MONDIALE

Nella prima guerra, più che campo di concentramento vero e proprio, può essere definito “deposito” di prigionieri austriaci. Si trovava nei pressi della Valletta di Belfiore, in un vasto prato sulla sponda del Lago Superiore, oltre il passaggio a livello della ferrovia. Certamente non assomigliava ai campi di concentramento della seconda guerra che numerose, drammatiche immagini testimoniano. Non esistevano infatti garitte ma, per sorvegliare le diverse baracche nelle quali “alloggiavano” i prigionieri, era sufficiente un modesto corpo di guardia, protetto da filo spinato, posto vicino al comando dislocato all’ingresso del campo. Il numero degli internati si aggirava normalmente intorno alle trecento unità ma variava con una certa frequenza. I prigionieri, provenendo quasi tutti da zone di montagna, ove la lavorazione del legno era ed è molto diffusa, trascorrevano il tempo fabbricando piccoli oggetti ornamentali o attrezzi da cucina che vendevano, a cifre modeste o in cambio di qualche pagnotta o altro cibo, a quanti si avvicinavano ai reticolati.

Coloro che per varie ragioni volevano entrare nel campo dovevano essere muniti di lasciapassare rilasciato dall’autorità militare.
In alcuni casi i prigionieri, sotto stretta sorveglianza, erano accompagnati in zone nelle quali si dovevano costruire opere difensive o eseguire manutenzioni.

Fotografia nella quale compaiono, sotto stretta sorveglianza,
prigionieri austriaci incaricati di realizzare opere di difesa


Non si hanno notizie di fughe di prigionieri o di sommosse; si presume infatti, che gli internati fossero trattati con una certa umanità. Terminata la guerra, nel novembre 1918, in breve tempo il campo fu smantellato e i prigionieri, secondo gli accordi di pace, furono tutti rimpatriati.

Fino ad oggi non ci sono note fotografie che ritraggono il campo di Mantova mentre una pregevole e corposa raccolta di immagini di quello di Borgoforte, situato nel forte costruito dagli austriaci dopo la guerra del 1859, è conservata presso l’Istituto di Storia contemporanea.

Altri campi, oltre i già citati di Mantova e di Borgoforte, erano situati a Quingentole, a Porto Mantovano e forse in qualche altra località della provincia.

La presenza di un campo per prigionieri, a Porto Mantovano, località poco distante dalla città, è testimoniata da una cartolina, spedita il 2 maggio 1919 dal caporale Alfons Forster, che reca un timbro violetto con la dicitura 3023 CENTURIA PRIG.RI LAV.RI Porto Mantovano (manoscritto).


Le notizie riportate nelle cronache di allora riguardanti i vari campi sono piuttosto scarse, restano comunque alcune testimonianze della loro esistenza su cartoline postali, stampate appositamente per i prigionieri, che essi inviavano ai familiari. Su una di queste, indirizzata a Kranjsko in Austria, fu spedita da Mantova il 23 ottobre 1918, quindi pochi giorni prima della fine del conflitto. Su di essa sono riportate a stampa le scritte in italiano e in tedesco: Corrispondenza prigionieri di guerra (in franchigia) – Korrespondenz fur Kriegsgefangene (Taxfrei). Reca inoltre le impronte, impresse a tampone, “DEPOSITO PRIGIONIERI DI GUERRA DI MANTOVA – BARACCA N. 8”, “P.I. 278”, “CENSURA MILITARE PRIGIONIERI DI GUERRA – VERIFICATO” e “RR. POSTE – CROCE ROSSA ITALIANA”. Il mittente, Rudolf Zakota, indica come grado Prigioniero – Lavoratore dell’8ª Compagnia – 26ª Zona.


Un’altra cartolina, spedita sempre da Mantova il 25 novembre 1918, è indirizzata a Trieste e reca stampata la scritta “Corrispondenza Prigionieri di guerra – Campo di Concentramento Lugagnano (Verona)”. Probabilmente venne portata a Mantova per essere inoltrata assieme ad altra corrispondenza. Lo si desume dal fatto che reca i timbri a tampone: “Dep. Prigionieri di G. – MANTOVA – Campo Conc. N. 1” e “RR. POSTE – CROCE ROSSA ITALIANA”.


Interessante è poi una cartolina spedita da Sebenico la Vigilia di Natale del 1918 diretta a Matteo Music – Deposito Prigionieri di Guerra Mantova – Baracca N. 12 – Italija.

Poiché tutta la corrispondenza, da e per i prigionieri, era sottoposta a censura, su nessuna sono riportate notizie delicate o compromettenti; normalmente i prigionieri informavano i familiari sul loro stato di salute chiedendo altrettanto a loro.

Il servizio di raccolta della corrispondenza e il trasporto presso l’ufficio postale centrale di Mantova, venne svolto da un giovane fattorino delle poste, che ho personalmente conosciuto e che mi ha fornito qualche ragguaglio su quanto abbiamo scritto. Si chiamava Umberto Paglia ed è stato uno dei più noti collezionisti mantovani.

 

SECONDA GUERRA MONDIALE

Molto più importanti furono i campi di concentramento allestiti dopo l’8 settembre 1943 a Mantova.

A quella data, comandante del presidio era il generale Cesare Bartolotta il quale aveva ai suoi ordini circa 400 ufficiali e 5.000 tra sottufficiali e militari semplici, molti dei quali senza una adeguata istruzione militare appartenenti a vari reggimenti di fanteria e di artiglieria, oltre a unità minori e al Distretto militare.

Il 9 settembre si ebbero scontri tra soldati italiani e tedeschi nei pressi della stazione ferroviaria di Mantova.

Durante uno di questi rimase ucciso il comandante del reparto, il capitano Renato Marabini, al quale spettava il compito di assicurare il regolare movimento dei treni. Scontri si susseguirono anche nei giorni successivi durante i quali i tedeschi attaccarono a colpi di artiglieria alcune caserme catturando quanti vi si trovavano. Gli ufficiali furono rinchiusi nella caserma “Curtatone e Montanara” a Dosso del Corso mentre i sottufficiali e la truppa furono raggruppati nel deposito di artiglieria, in località San Giorgio nei pressi del cosiddetto “Nuovo arsenale”, noto anche come il “Capannone”; altri furono rinchiusi nel vecchio convento di Gradaro, da secoli adibito a caserma, e nei vicini capannoni del IV Reggimento artiglieria denominato San Nicolò. Qualche giorno dopo all’interno dell’ospedale cittadino fu ricavato un reparto destinato ai prigionieri mentre nella caserma Pietro Fortunato Calvi fu creata una infermeria.

Documento relativo a un internato presso l’ospedale di Mantova dal quale risulta
l’esistenza dello STALAG 337 (abbreviazione di Stamm-lager)

Espresso spedito da Novara il 22 ottobre 1943 indirizzato a un prigioniero di guerra
ricoverato nel reparto di dermatologia dell’ospedale civile di Mantova.
Il contenuto fu sottoposto a doppia censura: la prima da parte della commissione civile italiana e la seconda da parte tedesca che appose i bolli
“ Front-Stalag 337 15 geprüft” e “Kriegsgefangenenpost”


Per un breve periodo, nello stadio furono accolti prigionieri alleati (inglesi, francesi, indiani, canadesi e neozelandesi) catturati su vari fronti di guerra.

I campi di internamento del Mantovano dalla fine di ottobre/primi di novembre 1943 furono contraddistinti dalla dicitura STALAG 337, fino ad allora destinato a quello di Baronowitsche in Germania.

Cartolina Postale per le Forze Armate recante il timbro Mantova 1-12-1943.
Fu scritta da internato nel “Campo concentramento Gradaro – Mantova il 23.11;
reca i bolli di censura esagonale
“Front-Stalag 337 15 geprüft” e il lineare “Kriegsgefangenenpost”

Cartolina Postale con la dicitura a stampa VINCEREMO recante il timbro Mantova 29-11-1943. Fu scritta da internato nel “Campo di Smistamento di Cradarro – Mantova” il 21.11; reca i bolli di censura esagonale “Front-Stalag 337 15 geprüft”

 

Il 20 settembre 1943 furono chiusi i campi di Dosso del Corso e di San Giorgio e, alla fine di gennaio 1944, quello di San Nicolò; rimanevano attive solamente le strutture sanitarie precedentemente indicate. Tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile 1944 fu riaperto, e destinato a militari che erano stati obbligati a lavorare per i tedeschi, assumendo la nuova denominazione STALAG 339 che in precedenza contraddistingueva la “Risiera di San Sabba” di Trieste. Questa dizione fu mutata quasi da subito in DULAG 339 (campo di transito), tuttavia sui bolli essa non mutò restando ancora STALAG 339.

Non è dato sapere con precisione quando fu definitivamente chiuso il campo del Gradaro destinato oltre che a militari italiani anche a quelli alleati in attesa di essere inviati nei campi di concentramento tedeschi; si ritiene verosimilmente che esso cessò di essere attivo solamente con la fine del conflitto.

Terminata la guerra il Gradaro fu utilizzato ancora come campo di concentramento ma questa volta per soldati e seguaci della Repubblica Sociale Italiana.

Com’è ovvio tutta la corrispondenza, sia in partenza sia in arrivo, era sottoposta a censura e sulla stessa erano apposti in un primo tempo il bollo con la dicitura “Front-Stalag 337 15 geprüft” (Campo al fronte - controllata) e successivamente “1 geprüftStalag 339”. Effettuato il controllo da parte delle autorità germaniche, le cartoline e le lettere erano consegnate all’ufficio postale civile di Mantova che a sua volta apponeva il regolamentare bollo.

Riproduciamo alcuni documenti recanti detti bolli.

Cartolina prestampata per Prigionieri di guerra spedita da Mantova il 15-3-1943.
Reca il bollo di censura
“1 geprüft Stalag 339”

Cartolina prestampata per Prigionieri di guerra spedita da Mantova il 22-3-1943.
Reca i bolli di censura
“1 geprüft Stalag 339” e “Lagerführung”

Cartolina prestampata per Prigionieri di guerra spedita da Mantova il 2-9-1944.
Reca i bolli di censura
“1 geprüft Stalag 339” e “Lagerführung”

La Croce Rossa Italiana predispose apposite cartoline, sulle quali apponeva il proprio bollo, da inviare alle famiglie degli internati. Sul retro si comunicavano notizie che avevano diverso tenore.

Infatti sulle prime, stampate anche al retro, si informavano i familiari che il loro congiunto si trovava in un determinato campo di concentramento. Su altre, non stampate al retro, l’internato poteva dare direttamente sue notizie.

Recto e verso di cartoline predisposte dalla Croce Rossa sulle quali era apposto il bollo delle Regie Poste Italiane che consentiva l’inoltro in franchigia


Successivamente un incaricato della Croce Rossa informava che il loro congiunto era stato trasferito in Germania in località non precisata. Lo stesso incaricato si premurava di assicurare i congiunti della buona salute del loro caro e che ben presto avrebbero ricevuto da lui notizie più precise.


N.B.: alcune notizie e i documenti in bianco/nero mi furono forniti dall’amico Bruno Deandrea a corredo di un suo articolo pubblicato a cura del Centro Studi Internazionale di Storia Postale nel libro “Mantova 1704-2004 – Trecento anni di posta”.

Prima di terminare questa breve relazione sui campi di concentramento di Mantova, desidero ricordare un tragico evento, purtroppo non molto noto ai più, avvenuto il 19 settembre 1943.

Quel giorno il comando tedesco del campo di concentramento del Gradaro richiese la disponibilità di dieci internati per eseguire lavori di sterramento nelle vicinanze della città. Furono caricati su un camion e accompagnati nella valletta denominata l’Aldriga nei pressi del Lago Superiore, circa negli stessi luoghi ove si era combattuta la battaglia di Curtatone e Montanara.

Appena giunti furono incaricati di scavare una larga fossa; quando ebbero terminato il lavoro furono legati uno alla volta dagli altri disgraziati e passati per le armi. La fossa era destinata a loro tomba. Questi dieci innocenti pagarono con la vita il ferimento di due soldati tedeschi che, a detta delle autorità militari, era avvenuto ad opera di italiani.

Cosa che si rivelò assolutamente falsa in quanto durante una rissa essi si erano reciprocamente feriti. Un cippo, a loro ricordo, è stato innalzato quasi di fronte a quello che ricorda il fatto d’armi avvenuto il 29 maggio 1848.

Quest’anno i due avvenimenti sono stati celebrati con una cerimonia comune alla presenza del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale di corpo d’armata Salvatore Farina.

 

Sergio Leali
06.11.2020