Miei cari genitori - Mi trovo prigioniero

CARTOLINE DAI CAMPI DELL'UNIONE SOVIETICA
di Maria MARCHETTI


CENNI STORICI

Dalla metà di luglio ’41 al 30 luglio ’42 nella ex Unione Sovietica fu schierato il C.S.I.R., Corpo di Spedizione Italiano in Russia, che contò 321 dispersi che possiamo ragionevolmente annoverare fra i prigionieri.

Dall’agosto ’42, con l’arrivo del II Corpo d’Armata, del Corpo d’Armata Alpino e di altre truppe, fu schierata l’8^ Armata, più conosciuta come ARMIR, forte di 230.000 uomini circa.

Al termine dell’offensiva sovietica dell’inverno 1942/43, l’ARMIR ebbe a subire la perdita di 84.000 uomini circa, dei quali almeno 50.000 prigionieri. La cifra è calcolata consultando l’elenco dei campi con il numero delle presenze e il numero dei morti riportati sulla pubblicazione del Ministero della Difesa del 1996, risultato delle ricerche effettuate negli archivi sovietici dopo il crollo dell’U.R.S.S.

Un terzo gruppo di prigionieri, I.M.I. già detenuti dai tedeschi, raggiunse i campi sovietici in seguito alla caduta dei lager tedeschi nelle mani dell’Armata Rossa durante la primavera del ’45.

I prigionieri italiani furono dispersi in più di 300 campi e ospedali distribuiti sull’immenso territorio della ex Unione Sovietica, insieme agli altri prigionieri dell’Asse. La strategia di non suddividere i prigionieri in base alla nazionalità, ebbe come risultato che in alcuni campi la presenza italiana era limitata a pochissime unità.

Tra la fine del’ 45 e l’estate del ’46 furono rimpatriati 21.091 prigionieri italiani, dei quali 10.032 dell’ARMIR e 11.089 I.M.I.

Questa prigionia ebbe alcune peculiarità che vale la pena di sottolineare: una altissima percentuale di mortalità, di gran lunga superiore a quella delle altre prigionie molto crudeli, causata dall'indifferenza e dalla disorganizzazione dei detentori che condannarono i prigionieri a morire di malattie, di fame e di freddo e una intensa attività di propaganda politica, propaganda iniziata ancor prima della caduta in prigionia, nella quale ebbero un ruolo non insignificante i fuoriusciti italiani che si erano rifugiati in Unione Sovietica per sfuggire al fascismo.

Volantino di invito alla resa mis. 13,50 x 14 cm. con una vignetta satirica e commento in versi firmato da un esule italiano. Sul retro vi è il lasciapassare da utilizzare per arrendersi. Uno dei tanti volantini propagandistici che furono gettati sulle truppe italiane schierate in Unione Sovietica


 

LA CORRISPONDENZA DAI CAMPI

L’Unione Sovietica non sottoscrisse la Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra del 1929 che regolò i rapporti fra i belligeranti nel secondo conflitto mondiale e non osservò le norme per la corrispondenza in essa presenti.

Diede ai prigionieri italiani pochissime possibilità di comunicare e la distribuzione delle cartoline fu talmente occasionale che i libri di memorie scritti dai reduci la riportano fra i grandi eventi della prigionia, dettagliando il periodo e il campo in cui avvenne.

Ai militari divenuti prigionieri fu data la possibilità di scrivere una cartolina per comunicare la loro condizione e poi più nulla fino dopo la fine della guerra.

Per coloro che caddero prigionieri nel corso dei mesi di dicembre '42 e gennaio '43, quando l'Armir e tutto il fronte dell'Asse collassò, e che ebbero la “fortuna” di non morire durante il trasporto nei campi, le cartoline furono fornite in numero largamente insufficiente e quindi fu necessario provvedere al sorteggio. Mediamente, uno su quattro fu il favorito della sorte. E' per questo motivo che nelle cartoline relative a questo periodo colui che scrive si preoccupa di dare notizie anche di altri compagni di sventura.

I primi prigionieri

La prima cartolina che presento fu scritta il 30 aprile ’42 da un ufficiale che dice di essere stato catturato il 24 dicembre, quindi uno dei soldati del C.S.I.R. Furono molto pochi i militari italiani caduti in prigionia prima della disfatta dell'ARMIR e, probabilmente proprio per questo, fruirono di condizioni meno disumane.

Il testo è molto interessante: vi sono riferimenti alla sua cattura, al fatto di essere appena stato trasferito da un altro campo e alla sua malattia e poi vi è un elenco di alimenti e di vestiario che il prigioniero chiede che gli vengano spediti, raccomandandosi che i pacchi siano molto frequenti. Sebbene rivelatore di una situazione di grave carenza di beni di prima necessità, il testo fa trasparire una certa fiducia nel fatto che le garanzie minime per i prigionieri saranno rispettate e, soprattutto, non denota alcun timore della censura. Certo, ricevere pacchi era una sua illusione, però, forse, aspettarli lo ha aiutato a tenersi in vita.



Cartolina con gli emblemi della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, con scritte in russo e in francese. Il recapito del mittente è “Campo prigionieri di guerra n. 160” , a Suzdal, un’antica città russa fra Mosca e Gorki.
Testo fittissimo, per farci stare più parole.


Lì 30-4-1942

Caro papà,
dal 24 dicembre sono prigioniero. Sono stato per un po’ di tempo ammalato ma adesso sto benino e vado rimettendomi. Da una diecina di giorni mi trovo in un nuovo campo, ove si sta bene, dove ho trovato Alfio Del Prete di Canicattì. Tu scrivimi subito e spesso e a lungo. Mandami, perché permesso, pacchi di fichi secchi mandorlati, qualche scatola di latte condensato, tubetti di crema di acciughe, tubetti di vitamine, marmellata solida, aspirina, bismuto, cerotto, limonina, calze, fazzoletti, biancheria, pinoli, carta e un abito. Si raccomanda che i pacchi siano frequenti (parecchi al mese) e possano sostenere un lungo viaggio. Spero che stiate tutti bene in salute. Antonietta e Pino si sono laureati? Bianca studia? Zio Peppino sta bene? Per le mie competenze rivolgiti al distretto di Caserta e paga per me la rata della mia assicurazione di novembre. Non preoccuparti minimamente per me, stai tranquillo che sto bene e speriamo di riabbracciarci presto. Auguri sentiti (seppure in ritardo) per il tuo onomastico e per la Pasqua. Ti bacio con tutti di casa e più Geppino. Tuo Andrea
”.

Le comunicazioni di cattura del 1943

Di diverso tenore le cartoline scritte dai prigionieri dopo la disfatta dell'ARMIR. C'è sempre l'ansia di rassicurare sulla buona salute, mentendo, perchè le condizioni erano disperate, unita al bisogno di dare conferma ai propri cari dell'affetto con cui sono ricordati. Spesso questa cartolina fu l'ultimo segno di vita che arrivò alla famiglia. Poi c'è la preoccupazione di dare notizie anche di altri compagni, per testimoniare che al momento sono ancora vivi. Nonostante la scrittura fitta, nessun altro argomento appare in queste comunicazioni.



Cartolina scritta nel campo n. 58 di Tiomnikov, senza data, ma con il timbro postale di arrivo del 4 giugno 1943. Nel campo di Tiomnikov morirono 3.824 italiani.

Carissima madre,
vi scrivo questa mia cartolina per darvi mie buone notizie che fino a questo momento che vi scrivo sto molto bene di salute. Anzi con me si trova il cugino Borda Francesco figlio di Borda Alfonso e manda tanti bacioni in famiglia. Lui sta molto bene speriamo di riabbracciarvi presto. Non più mi prolungo tenetevi tanti baci uniti di famiglia per sempre sono vostro figlio Borda Rosario.
Cara madre vi faccio sapere che anche con me si trova anche uno di Sanmichele che si chiama Rinoli Antonio sua moglie si chiama Lobizzi Domenica gli manda tanti saluti e baci a sua moglie e baci suo figlio saluti sua madre e suo padre.


Radio Mosca

Il cupo silenzio che seguì queste comunicazioni di cattura fu interrotto all'inizio del 1945 dalle trasmissioni di Radio Mosca che, per evidenti motivi propagandistici, iniziò a trasmettere brevissimi messaggi, aventi un solo contenuto significativo: la conferma di esistenza in vita.

Modulo avente la forma di un telegramma con il quale la Gioventù Italiana di Azione Cattolica – Ufficio regionale Informazioni di Torino comunicava alle famiglie il testo del messaggio trasmesso dalla Radio Vaticana, che a sua volta l'aveva captato da Radio Mosca. Il modulo riprodotto fu spedito il 31 marzo 1945 ad una famiglia in provincia di Vercelli, affrancato per 1 lira, con un francobollo della serie “Monumenti distrutti” della R.S.I.

 

Cartoline del 1945 e 1946

I sopravvissuti dell'ARMIR, a cui si erano uniti circa 10.000 uomini rinvenuti nei campi di prigionia tedeschi, ripresero a scrivere nel mese di luglio 1945. La gioia per la fine della guerra e la speranza di un rapido ritorno a casa sono i sentimenti manifestati da tutti, insieme ai ricordi delle sventure che si sono ormai lasciati alle spalle. In entrambe le cartoline presentate traspare l'azione propagandistica sovietica, nella prima cartolina attraverso la glorificazione dell'Armata Rossa, nella seconda attraverso la visione dell'Italia post bellica.



Cartolina scritta in luglio '45 ma spedita il 23/08/45, come risulta dal timbro postale. Proviene dal campo n. 53 di Aleksin, in cui furono rinchiusi anche prigionieri trovati nei lager tedeschi. Dal febbraio 1943 al rimpatrio ne morirono 425.

"Mia adorata Mamma, finalmente dopo due anni posso darti mie notizie, io sto molto bene e lo stesso spero di te mio padre e i miei fratelli, dunque mia cara mamma se ancora sono vivo bisogna essere riconoscenti e grati ai russi con il loro valoroso esercito Rosso, perché i tedeschi ci avevano portato in un campo di concentramento in Russia, quando è arrivato il valoroso Esercito Rosso allora visto che non ci potevano portare in Germania ci volevano massacrare, ma però non hanno avuto il tempo perché fummo liberati dall’Esercito Rosso che non solo liberò noi ma anche tutta l’Europa dal fascismo e di ciò dobbiamo essere doppiamente riconoscenti. Dunque mia cara Mamma figurati che gioia sarà la mia quando avrò la fortuna di ricevere un tuo scritto, se sapessi quante ne ho passate dal momento che mi fecero prigioniero i tedeschi fino alla liberazione, dunque come ti dico sto molto bene e lavoro con volontà e gioia di essere ancora vivo.
Ti abbraccio ti bacio insieme a papà e fratelli, tuo Paolo Ferrara

 



Cartolina senza data ma riferibile al periodo febbraio - marzo '46 poiché nel testo si dice che i soldati sono già rimpatriati e loro, gli ufficiali, sono come “color che stan sospesi”. Il rimpatrio degli ufficiali iniziò il 7 aprile 1946. Nel testo tutta l'ansia di chi l'ha scampata fino a quel momento e non vede l'ora di mettere la parola “fine” a tutta la vicenda. Occorre considerare che la guerra fredda era già iniziata. Proviene dal campo n. 185 di Iureviez.

"Carissimi tutti
a parte le varianti dell'umore, che, certo in questo periodo, non è per nulla buono, tutto per me va bene.
Un po' demoralizzato e perché i nostri soldati sono già rientrati e noi ancora siamo come color che son sospesi, e ancora perché la netta maggiorità dei miei colleghi hanno ricevuto risposta da casa ed io no. Riguardo la mia bell'Italia so che le cose vanno male e per voi sono molto preoccupato.
Vi rivedrò? Vi abbraccio tutti con tanto affetto
Vostro Bruno
"