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Le istruzioni di servizio per le Collettorie

Franco Obizzi (Bollettino ASP - FVG n. 21)

Mi ero già occupato delle collettorie postali austriache in uno dei precedenti numeri di questo bollettino. In considerazione dell’elevato interesse manifestato dai collezionisti del settore è però opportuno ritornare su questo argomento per esaminare nel dettaglio le norme in materia emanate dalla amministrazione austriaca.

Anche se la esistenza delle collettorie risaliva sicuramente ad alcuni anni prima, la loro regolamentazione ha visto la luce soltanto il 21 aprile 1900, quando furono pubblicate le “Istruzioni di servizio delle collettorie”, approvate con l’ordinanza n. 21242 del 1899 del Ministero del Commercio e destinate ad entrare in vigore l’1 luglio 1900.

L’esigenza fondamentale su cui si fondava la decisione di affidarsi ai privati per alcuni compiti in materia postale era quella di raggiungere anche località di minime dimensioni, senza però gravare l’erario di costi rilevanti. Queste premesse spiegano la ragione per la quale le collettorie potevano essere istituite soltanto in località che si trovavano lungo gli ordinari percorsi dei corrieri o dei portalettere rurali, in modo da evitare spese supplementari per realizzare il necessario collegamento con l’ufficio postale dal quale dipendevano. Per l’inoltro o il ritiro di corrispondenza ordinaria già interamente affrancata era anche prevista la possibilità di un collegamento diretto con gli uffici postali ambulanti istituiti su alcuni treni.

La gestione delle collettorie era affidata “a persone meritevoli di fiducia che si dichiarino disposte ad accettare l’incarico nell’interesse degli abitanti della località”. Nonostante si trattasse di un incarico che poteva anche non essere retribuito e nonostante i collettori fossero per lo più persone dotate di un livello di istruzione modesto (quasi sempre l’oste del posto), sorprende la notevole complessità dei compiti loro affidati e la pedante meticolosità delle istruzioni di servizio, spesso di difficile comprensione e sicuramente ancora più difficili da eseguire con esattezza.

Il collettore doveva tenere a diposizione dei “clienti” i necessari valori postali, accettare la corrispondenza ordinaria (lettere, cartoline, stampe, campioni) ed anche le richieste dei telegrammi, prelevare la corrispondenza depositata nella apposita cassetta postale, ritirare dall’ufficio postale e consegnare ai destinatari la corrispondenza arrivata oppure gli avvisi delle raccomandate, dei vaglia e dei pacchi, trasmettere all’ufficio postale gli importi incassati, rendicontando ovviamente con precisione il proprio operato.

Raccomandate, lettere con valore dichiarato, pacchi ed il denaro per i vaglia postali non potevano essere accettati dal collettore, se non a seguito di accordi a titolo privato con il mittente ed anche l’eventuale compenso rimesso “al libero accordo tra la parte ed il gerente”; in ogni caso la responsabilità della amministrazione postale sorgeva soltanto al momento della presa in carico da parte dell’ufficio postale o di un portalettere rurale, ai quali soltanto spettava anche di rilasciare le prescritte ricevute.

Emblematiche sono le disposizioni riguardanti il conto deposito e lo smercio dei valori postali.
Questi erano ritirati presso gli uffici delle Direzioni Poste e Telegrafi o presso gli uffici erariali e servivano anche per determinare il compenso spettante al collettore, commisurato all’1% di quanto smerciato. A tal fine però il collettore doveva tenere una specifica contabilità, compilando il libro delle prese in carico, modello 646; altri adempimenti anche contabili erano previsti per rendicontare e trasmettere alla amministrazione postale gli importi incassati. Era possibile evitare tali incomodi, ma solo acquistando direttamente i valori necessari presso gli uffici postali; in tal caso però si perdeva il diritto alla percentuale!

La collettoria era tenuta inoltre a svolgere le funzioni di “ufficio informazioni” nel campo postale: il collettore doveva informare gli interessati circa “le tasse della corrispondenza e fa applicare i francobolli nella misura prescritta”. Se non fosse stato in grado di determinare l’entità della affrancatura, avrebbe dovuto chiedere una cauzione ed interpellare in merito l’ufficio postale, compilando naturalmente e trasmettendo il prescritto modulo.

L’annullamento dei francobolli con il timbro della collettoria era possibile soltanto nel caso di corrispondenza diretta a destinatari residenti nella stessa località in cui questa aveva sede (e quindi praticamente quasi mai, date le minime dimensioni di tali località e lo scarso interesse degli abitanti allo scambio epistolare reciproco), in quanto evidentemente il collettore provvedeva in tale ipotesi a consegnare direttamente al destinatario la posta ricevuta dal mittente, senza passare per l’ufficio postale. Altrimenti i francobolli dovevano essere annullati dall’ufficio postale ed il timbro della collettoria veniva impresso “sul margine superiore dell’indirizzo”. A proposito dei timbri delle collettorie va ricordato che un successivo provvedimento del 17 maggio 1900 aveva disposto che questi avessero “la forma di un rettangolo allungato”, ma per distinguerli da timbri simili usati dagli uffici postali doveva essere inserita “una stella a destra ed a sinistra del nome della località”.

La Direzione Poste e Telegrafi stabiliva a quale ufficio postale doveva essere inoltrata la corrispondenza consegnata alle collettorie e con quale “occasione di trasporto”. Le lettere ordinarie già affrancate dovevano essere riunite in un mazzo, legato con lo spago. Per la corrispondenza non ordinaria ricevuta dal collettore o rinvenuta nella cassetta delle lettere doveva essere compilato un apposito modulo in doppia copia (la norma si premurava di specificare da che parte andava collocato il lato inchiostrato della carta carbone): la copia destinata all’ufficio era inserita insieme con tale corrispondenza in un altro mazzo “avvolto in carta da imballaggio e da legare con lo spago”. Le copie del modulo rimasto alla collettoria andavano invece riunite ogni settimana per formare il libro della posta accettata.

I mazzi delle lettere, infine, andavano inseriti nella apposita borsa da corriere con serratura che era stata fornita alla collettoria insieme con la cassetta delle lettere, la tabella con la scritta “collettoria postale”, il timbro con il cuscinetto e l’inchiostro, i moduli stampati e la carta carbone.
Disposizioni analoghe valevano per la corrispondenza che gli uffici postali trasmettevano alle collettorie per essere consegnata ai destinatari. Anche qui ogni trasmissione era accompagnata da un modulo, compilato questa volta dall’ufficio, ma sul quale il collettore, previa verifica di quanto ricevuto, doveva annotare le eventuali mancanze. Il collettore doveva poi provvedere alla materiale consegna ai destinatari della corrispondenza ordinaria e degli avvisi delle raccomandate, delle lettere con valore dichiarato, dei vaglia e dei pacchi. Stranamente, però, non viene qui ripetuta la prescrizione di imprimere il timbro della collettoria sulla corrispondenza in arrivo. Evidentemente si trattava di questione non avente alcuna utilità concreta e rimessa quindi alla discrezione del collettore.

Per gli avvisi era prevista una tassa di avviso di 3 heller, da riscuotere mediante segnatasse “incollati a cura dell’ufficio postale nella parte posteriore dell’avviso di consegna o dell’indirizzo postale accompagnatorio”. Tale tassa veniva riscossa dal collettore. ma per conto dell’ufficio ed era quindi segnata a debito della collettoria nella complessa contabilità predisposta per determinare i rapporti di dare – avere tra uffici e collettorie. È appena il caso di aggiungere che anche per queste operazioni il collettore doveva compilare gli appositi moduli e doveva versare gli importi incassati “nel corso del mese in contanti all’ufficio postale”.

Da notare anche che in caso di ricevute di consegna ritirate dal collettore “l’autenticità della sottoscrizione del destinatario deve essere attestata dal responsabile del Comune mediante apposizione del sigillo comunale”; soltanto “in particolari circostanze” la Direzione Poste e Telegrafi poteva consentire che la attestazione fosse eseguita dal collettore mediante apposizione del timbro della collettoria.

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Ci sono nel regolamento ancora alcune disposizioni sulle formalità da compiere con riguardo soprattutto alla modulistica e nei rapporti con l’ufficio postale o a situazioni obiettivamente poco frequenti (ad es. posta inserita nelle cassette con indirizzi non completi, posta da restituire a mittenti non conosciuti, ecc.) che ho preferito omettere per non appesantire ulteriormente una trattazione già di per sé piuttosto arida. Anche così risulta comunque evidente come questo incarico, svolto “nell’interesse degli abitanti della località” e poco o addirittura per nulla retribuito dovesse essere estremamente oneroso per persone che per poter vivere dovevano svolgere un altro lavoro e prive oltre a tutto di una preparazione specifica (a volte anche di scarsa preparazione in assoluto). Non bisogna quindi meravigliarsi degli errori e delle omissioni che si riscontrano sulle buste o cartoline passate per le loro mani; stupisce, anzi, che errori ed omissioni non siano ancora molto più frequenti e più grossolani.

 

Timbro della collettoria di Unter Idria correttamente impresso nel 1916 “sul margine superiore dell’indirizzo”, ma usato erroneamente nel 1902 per annullare il francobollo.


La collettoria di Begliano era collegata all’ufficio postale di Pieris. In questo caso la cartolina, essendo regolarmente affrancata, fu portata direttamente all’ufficio postale ambulante sul treno Cervignano – Monfalcone

Timbro della collettoria di Sv. Marija v. Trenti erroneamente impresso sul lato opposto a quello dell’indirizzo.